giovedì 18 agosto 2011



Premio Tiberini 2011 super

Grandi ospiti e alta qualità al Premio Tiberini istituito fin dal 1989 e diretto artisticamente da Giosetta Guerra.

di Anna Indipendente

1. Il Coro del Teatro Regio di Parma al Premio lirico Internazionale Mario Tiberini

Cattolica (RN).
Quest'anno il Premio Lirico Internazionale Mario Tiberini si è articolato in quattro appuntamenti di prestigio: 26-27-30 giugno e 16 luglio 2011. Per il primo appuntamento, una delle voci verdiane più rilevanti di quest'ultimo periodo è stata incoronata "Regina del melodramma italiano":

Dimitra Theodossiou che si è esibita nel concerto dal titolo Le eroine del melodramma, accompagnata al pianoforte dal M° Simone Savina; in concomitanza il Premio Tiberini d'argento è stato assegnato al Coro lirico della Regina di Cattolica, diretto dal M° Gilberto del Chierico;

per l'appuntamento del 27 giugno 2011, l'elevata qualità musicale del Coro del Teatro Regio di Parma, diretto al pianoforte dall'ottimo M° Martino Faggiani in un concerto in omaggio al 150° dell'Unità d'Italia: i Cori del Risorgimento Italiano; per il 30 giugno una serata a metà tra il Barocco e il belcanto, in cui nella prima parte la presenza del M° Claudio Scimone, in veste di maestro al cembalo e alla guida dei suoi Solisti Veneti, ha dato lustro al Premio Tiberini d'oro, mentre nella seconda parte il belcanto ha avuto come protagonista l'ineffabile voce del mazzosoprano Sonia Ganassi, che si è alternata al tenore in carriera Enrico Giovagnoli, rispettivamente Premio Tiberini d'oro alla prima e d'argento al secondo; la chiusura della manifestazione, il 16 luglio, non avverrà sul palco del Teatro della Regina di Cattolica (RN), come nel caso dei primi tre appuntamenti, ma al Teatro Mario Tiberini di San Lorenzo in Campo (PU):

protagonisti della serata in un concerto tra il serio e il faceto i cantanti Simone e Nicola Alaimo che riceveranno il Premio Tiberini d'oro, mentre al soprano Silvia Tortolani andrà il Tiberini d'argento, tutti accompagnati al pianoforte dal M° Mirca Rosciani, premiata con l'argento. Tutta la manifestazione è presentata da colei che, guidata sempre da un instancabile amore per il teatro d'opera, ne è stata la creatrice, ben venti anni fa nel lontano 1989, e ne è tuttora il Presidente e Direttore Artistico, la prof.ssa Giosetta Guerra, affiancata dalla giovane Chiara Gamurrini. È importante inoltre precisare che l'intero festival è in realtà anche un GALA DI BENEFICIENZA con lo scopo edificante di trovare i fondi per portare a termine la costruzione di una scuola secondaria in Tanzania a Karansi, ai piedi del Kilimanjaro e in questo l'associazione musicale Mario Tiberini è stata coadiuvata dall'associazione Cattolica per la Tanzania (onlus), coordinata dal dottor Maurizio Lugli, già da qualche anno impegnato a portare sollievo alle popolazioni di questi luoghi, grazie all'opera galvanizzante del sacerdote tanzaniano Padre Calistus Tarino.
Veniamo alla serata del 27:

Un suggestivo progetto di spettacolo ideato dal M° Marti no Faggiani che inquadra storicamente i brani corali, dirige il coro e lo accompagna al pianoforte (così recita il pro gramma di sala). Ma il pubblico, formato essenzialmente da melomani dalla chioma un po' argentata, come ha reagito dinanzi a questa nuova formula, quasi una lezione-concerto? Ebbene, si è letteralmente lasciato sedurre e coinvolgere dalla personalità istrionica e appassionata del Faggiani che con abile intelligenza musicale lo ha saputo condurre, quasi prendendolo per mano, all'interno delle partiture verdiane (quelle più famose, scritte dal 1842 al 1853), facendogliele gustare una ad una, attraverso il suo personale stile, caratterizzato da una profonda e
magistrale perizia tecnico-musicale. In questo modo il pubblico è entrato direttamente a contatto con l'essenza della
personalità drammaturgico-musicale verdiana. Non è stato un caso se il Maestro Faggiani ha espresso in maniera chiara e inequivocabile il suo pensiero su certe attualizzazioni registiche delle opere del compositore bussetano, oggi tanto in voga, ma che spesso finiscono per essere dei meri tradimenti della sua drammaturgia. Cosa voleva esprimere Verdi nelle sue opere? Semplicemente l'uomo, nella sua verace realtà: nel bene e nel male, scandagliato senza pregiudizi di sorta (vedi Violetta o Rigoletto) in tutte le sfumature: è caro al cigno di Busseto il confronto dell’individuo con la propria coscienza e identità, la presenza del male nella natura umana e la lotta con esso, il rapporto con il potere. Tutte tematiche presenti nel suo poeta prediletto, Shakespeare, verso il cui teatro Verdi nutrì un rapporto particolare, quasi una sorta di venerazione che durò per tutta la sua vita: Macbeth, Otello, Falstaff lo testimoniano, ma anche Amleto, Re Lear, sogni accarezzati e mai realizzati (Baldini). Uno dei mezzi privilegiati scelti dal c ompositore bussetano per mettere in pratica i propri convincimenti drammatici fu la cosiddetta "parola scenica", una prosa concisa, forte, significante, in grado di tradurre precisamente la situazione drammatica , sul cui altare sacrificò il rapporto con fior fiore di librettisti. Ai cantanti Verdi non si stancava mai di raccomandare di studiare bene la posizione e le parole, la musica sarebbe venuta in maniera conseguenziale. Quella stessa parola che il Coro del Teatro Regio di Parma, pur nella sua formazione non completa, ha saputo ben mettere in evidenza, permettendo a noi del pubblico di immaginare la scena
anche senza rappresentazione.
Gli elevati standard qualitativi del Coro sono subito apparsi evidenti nell'accuratezza e precisione degli attacchi, nell'articolazione chiara, compatta e uniforme de lle parole: sembrava di ascoltare una sola voce, piuttosto che soprani, tenori, contralti e bassi. La scaletta del programma di sala è stata stravolta dal direttore che ha ritenuto opportuno aggiungere qualche brano, come ad esempio l'allegro, fortemente ritmato dall'atto I del Rigoletto (1851) Zitti, zitti moviamo a vendetta, in cui il Coro, rappresentato dai nobili cortigiani, rapisce Gilda, facendo credere a Rigoletto che si tratta del ratto della contessa di Ceprano e non della figlia; in questo brano il Coro ha mostrato un controllo e un addestramento certosino nell'esecuzione del sillabato a mezza voce, deliziando il pubblico; l'altro brano è stato il famosissimo Noi siamo zingarelle e Di Madrid noi siam mattadori, dall'atto II della Traviata (marzo 1853), anch'esso dal ritmo rapido e st accato, in cui il M° Faggiani aggiungendo una nota di colore presenta gli zingari come degli hippies ante litteram o anarchici contestatori. Interessante è stato poi il confronto impari, per diversità di stile, tra le due opere patriottico-corali di Verdi, una il Nabucco (1842), unitaria e compatta, e l'altra La Battaglia di Legnano (1843), discontinua e frammentaria. Dal I Atto del Nabucco il Coro ha eseguito Gli arredi festivi, canto di disperazione degli ebrei oppressi dal re d'Assiria, Nabucco, che ha invaso la loro terra e allora i Leviti incitano le vergini ebree a pregare per la salvezza d'Israele; si tratta di un brano in cui il Coro del Teatro Regio di Parma ha rivelato nitidezza e duttilità vocale tra le altre sue qualità. Il brano O Signore dal tetto natio dal IV Atto, de La battaglia di Legnano, forse la pagina più celebre di tutta l'opera, è un'accorata preghiera al Signore, che ha chiamato i crociati dalla terra natia per liberare Gerusalemme dal dominio dei musulmani, dal caratteristico ritmo giambico che fa da tessuto musicale: fra le sabbie infuocate ricordano l’aria fresca, i ruscelli, i laghi della terra lombarda, ma qui nella rimembranza il ritmo si stempera in un andamento più disteso ed elegiaco. A questo punto il riferimento alla celeberrima pagina di Va pensi ero sulle ali dorate dal III Atto del Nabucco è d'obbligo, in quanto ha in comune lo stesso sentimento di nostalgia dolorosa per la propria patria, ma, mentre La battaglia di Legnano fu stroncata dai critici come opera tagliata con l' accetta (Baldini) e addirittura dal France musicale come opera che non valeva un soldo, il Nabucco invece ebbe un grande successo con settanta repliche solo alla Scala . Vale la pena di ricordare qualche differenza tra le due versioni del brano Patria oppressa del IV Atto di Macbeth, quella del 1847 e del 1865, anche qui si tratta di una preghiera dolorosa e rassegnata dei deportati scozzesi che piangono la loro patria, insanguinata dal tiranno. Nella versione francese del 1865 questo Coro fu riscritto (compreso il testo) daccapo. Un ultimo cenno va a Vedi le fosche notturne spoglie dal II Atto del Trovatore (gennaio 1853): ai piedi di un monte in un accampamento di zingari, Azucena ricorda la morte della madre sul rogo, accusata di stregoneria dal Conte di Luna; il brano è stato commentato dal M° Faggiani che ha evidenziato gli elementi descrittivi della scrittura operistica del cigno di Busseto. Alla fine il pubblico ha cantato con partecipazione entusiastica l'I nno di Mameli (1847).

2. Serata elettrizzante per il 3° appuntamento del Premio Lirico Internazionale Mario Tiberini


Cattolica (RN). Tenutosi a Cattolica al Teatro della Regina, giovedì 30 giugno, il concerto fa parte di un GALA DI BENEFICIENZA che ha lo scopo edificante di trovare i fondi per portare a termine la costruzione di una scuola secondaria in Tanzania a Karansi, ai piedi del Kilimanjaro e in questo l'associazione musicale Mario Tiberini, organizzatrice del festival è stata coadiuvata dall'associazione Cattolica per la Tanzania (onlus), coordinata dal dottor Maurizio Lugli, già da qualche anno impegnato a portare sollievo alle popolazioni di questi luoghi, grazie all'opera galvanizzant e del sacerdote tanzaniano Padre Calistus Tarino.
Si è trattata di una serata più vari
a e meno omogenea rispetto alle due precedenti, ma pur sempre accattivante ed emozionante per la presenza sul palcoscenico di musicisti dal calibro internazionale quali Claudio Scimone, il quintetto de I Solisti Veneti e il mezzosoprano Sonia Ganassi che hanno portato letteralmente il pubblico in visibilio con le loro performances di alto profilo musicale, all'insegna del virtuosismo più sfrenato. La serata, presentata dal suo Direttore Artistico Giosetta Guerra, affiancata dalla giovane Chiara Gamurrini

è stata divisa in due parti: la prima, tutta destinata alla musica strumentale baroc ca quasi prevalentemente veneziana nella cu i diffusione da oltre cinquant'anni è impegnato l'ensemble de I solisti Veneti, fondati dal suo leader Claudio Scimone nel lontano 1959; la seconda parte invece ha visto come protagonista la vocalità belcantistica ottocentesca dell'impareggiabile mezzosoprano Sonia Ganassi e del giovane emergente Enrico Giovagnoli, accompagnati al pianoforte dalla pianista Donatella Dorsi. Al tenore pesarese è stato conf erito il Premio Tiberini d'argento, mentre il Premio Tiberini d'oro è stato assegnato sia al M° Scimone che alla mezzosoprano Sonia Ganassi. A dire la verità avremmo preferito essere deliziati dal M° Scimone e dal suo gruppo barocco per la durata dell'intera serata, piuttosto che per mezzo concerto, idem per la Sonia Ganassi, ma il pubblico ha comunque mostrato di aderire entusiasticamente a questa diversa articolazione del concerto.
Il M° Scimone ha diretto e accompagnato il quintetto a l cembalo con la consueta perizia musicale che lo contraddistingue, nonostante fosse su una sedia a rotelle per un incidente in via di risoluzione. Nel concerto di questa serata i solisti veneti contavano al loro interno la presenza di alcuni fondatori, veri pilastri del gruppo, come il violino solista Lucio Degani, il secondo violino Chiara Parrini, il violoncellista Giuseppe Barutti, ma si sono distinti per l'alto magistero tecnico anche il violista Giancarlo di Vacri e la consorte del M° Scimone, Clementine, all'ottavino. Il gruppo ha saputo ben manipolare l'attenzione del pubblico dirigendolo verso un crescendo di emozioni, via via che i brani divenivano di sempre più impegnativa esecuzione. Di repertorio la sonata a tre (due violini e B.C. Con cello) di Vivaldi (1678- 1741) op.1 n°12, sul tema celeberrimo de la Follia, danza contadina di origine portoghese, su cui si sono cimentati la maggior parte dei compositori del sei-settecento, da Frescobaldi (partite) a Lully (che la usò come Passacaglia) a Corelli; dopo l'oasi lirica dell'iper famoso Adagio in sol min. di Tommaso Albinoni (1671-1751) per archi e cembalo, comincia a crescere poco a poco la tensione
virtuosistica,
dapprima con le

Variazioni su un tema della Cenerentola di Rossini, in particolare il tema è quello dell'aria Non più mesta accanto al fuoco, composto da Chopin (1810-1849) per ottavino e archi, poi arriva all'acme con il famoso Trillo del diavolo, Sonata in sol min. G5 di Giuseppe Tartini (1692-1770) per violino solista e cembalo, fino alla Czarda di Vittorio Monti (1868-1922), composta nel 1904, su una famosa danza tzigana, di carattere rapsodico che ha strappato al pubblico un applauso entusiastico ed interminabile, anche perchè il violoncellista ad un certo punto della performance, mentre suonava recitava anche dei versi arrivando ad un grido impetuoso finale che sorprendendo il pubblico lo ha mandato in delirio. C'è stato anche un fuori programma con le Variazioni sul Carnevale di Nicolò Paganini (1782-1840), anch'esso molto applaudito. Nella seconda parte il mezzosoprano Sonia Ganassi si è esibita in un repertorio raffinato, tutto francese che ha ben messo in risalto le sue qualità vocali, da O mon Fernand da La Favorite di Gaetano Donizetti (1797-1849) a Ma lyre immortelle da Sapho di Charles Gounod (1818-1893), a Mon coeur s'ouvre a ta voix da Samson et Dalila di Camille Saint Saens (1835-1921), fino alla graditissima Habanera finale dalla Carmen di Georges Bizet (1838-1875). La cantante, che ha rivelato qualche leggerissima difficoltà nelle zone alte, si è alternata sul palcolscenico al tenore Enrico Giovagnoli, che si è esibito in un repertorio quasi nazional-popolare, molto apprezzato dal pubblico con una tessitura da tenore lirico-leggero che ha spaziato da Pourquoi me reveiller dal Werther di Jules Massenet (1842-1912) a La donna è mobile dal Rigoletto di Giuseppe Verdi (1813-1901) alla canzone napoletana Marechiare di F. Paolo Tosti, alla fine ha poi messo in risalto una discreta capacità di padroneggiare la zona acuta con un brano poco eseguito, perchè pochissimo conosciuto: il Salve Regina di Mario Tiberini (1826-1880) che oltre ad essere un tenore era anche un buon compositore.

(Anna Indipendente)

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