venerdì 12 novembre 2010

Maria Stuarda - Teatro Comunale di Modena



Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena

Tragedia lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Bardari, dalla tragedia omonima di Friedrich Schiller. Musica di Gaetano Donizetti

Maria Stuarda con una Mariella Devia sopraffina

al massimo dello splendore vocale

(6 novembre 2010, prima)

Di Giosetta Guerra

Al suo apparire applausi scroscianti, come succede per i grandi attori del teatro classico, dal pubblico che gremiva il teatro fino al loggione. Non ho memoria di aver mai assistito ad una simile accoglienza nel teatro d’opera, ma Mariella Devia è un’icona del belcanto, una cantante di riferimento per la gestione del mezzo vocale, per gli esercizi di alto virtuosismo, per il controllo eccezionale del fiato, per la melodiosità infinita del canto, per la pulizia incontaminata del suono, per la sublimità dei sovracuti, per l’aderenza al personaggio sul versante interpretativo. Mariella Devia è una star di prima grandezza che, pur nel massimo del suo splendore vocale, non si atteggia a diva.La sua Maria Stuarda è stata superba: imponente e furente nel pezzo di bravura che è l’invettiva contro Elisabetta “Figlia impura di Bolena”, ha piazzato un sovracuto da brivido sulla parola “oscena”; delicata e dolcissima nel ricordar Arrigo, morto per lei, (“Quando di luce rosea”), ha tenuto un melodioso canto sospeso sulle parole “ombra adorata” con fiati lunghissimi su fili di seta lucidissimi ed è stata artefice di un ossimoro forse mai realizzato, la morbidezza degli acuti taglienti; ieratica e sublime nell’augurar felicità ad Elisabetta, sua sorella e sua aguzzina, (“D’un cor che muore reca il perdono…Dille che lieta resti sul trono”), ha fatto svettare la voce sopra la massa corale e allo scatto acuto su “implorerò” ha fatto seguire un florilegio di filati terminanti in una strepitosa scala discendente. Una tenuta vocale ed una gestione del fiato fuori dal comune ed un’intensità drammatica da manuale. Bravissima. Il pubblico ha risposto con un boato interminabile ed un entusiasmo incontenibile.

Un’Elisabetta credibile, sprezzante e talvolta dubbiosa, è stata delineata da Nidia Palacios, che al suo ingresso “Sì, vuol di Francia il Rege” ha evidenziato una voce abbastanza melodiosa, poco fluida nelle agilità, ma in grado di cantare in maschera e di eseguire acuti e trilli. Il ruolo è difficile perché esteso, svetta nell’acuto e scende nel grave, ma il mezzosoprano argentino lo ha interpretato con dignità e competenza sia vocale che scenica. Il giovane tenore turco Bülent Bezdüz, che ha sostituito l’indisposto Adriano Graziani nel ruolo di Roberto conte di Leicester, ha avuto un ingresso vocalmente incerto, ma poi ha acquistato sicurezza ed ha cantato sul fiato usando con generosità una voce di timbro chiaro e pulito, un po’ rigida ma estesa, è stato un conte focoso e si è prodigato in puntature acute e suoni tenuti fino agli acuti lancinanti dell’invettiva finale contro Cecil e contro tutti in difesa di Maria. Buone le voci del basso Ugo Guagliardo nel ruolo di Talbot e del baritono Gezim Myshketa nella parte di Cecil: peso e ampiezza erano gestiti con morbidezza; Caterina Di Tonno, come Anna Kennedy, ha messo in luce una delicata vocina di soprano.


Il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato da Corrado Casati, è stato capace di sonorità strepitose e di un amalgama maestoso. L’Orchestra Regionale dell’Emilia-Romagna è stata diretta in modo garbato da Antonino Fogliari. L’allestimento dell’Opéra Royal de Wallonie di Liegi in Coproduzione con Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena, aveva le scene di Italo Grassi (grate ferrigne a lato e sospese in tralice, pavimento in pendenza, un muro sulla destra, fondale apribile su panorami diversi, anche su una suggestiva nevicata) e le luci di Fabio Rossi che hanno sottolineato i sentimenti coi colori e con un gioco di ombre riflesse. Bellissimi i costumi d’epoca in velluto ideati da Francesco Esposito, che ha curato anche la regia (quadri statici nei concertati, movimenti lenti delle masse, incedere regale delle due regine, tappeto oro per Elisabetta, tappeto rosso per Maria, che va incontro al martirio dirigendosi verso il fondo con le braccia aperte, quasi ad abbracciare il mondo). Una regia garbata, ma il finale ci ha lasciato senza emozioni. Ricordo invece ancora la scena finale carica di pathos di una Maria Stuarda curata da Gabriele Lavia a Bergamo nel 1988.
Lo spettacolo è stato comunque positivo e la presenza della Devia lo ha reso prezioso. Io sono uscita soddisfatta, anche se col collo torto per la posizione poco comoda del posto assegnatomi.


mercoledì 3 novembre 2010

I Vespri Siciliani - Teatro Regio di Parma

Festival Verdi 2010

Teatro Regio di Parma. I Vespri Siciliani.

domenica 24 ottobre 2010 – ultima recita

di Giosetta Guerra

Il super cast scritturato dal Teatro Regio di Parma per I Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi ha attirato gente da tutto il mondo. Il teatro, completamente esaurito, domenica pomeriggio era affollato di Orientali, Tedeschi, Inglesi, oltre che di Italiani.

Purtroppo le nostre aspettative sono state inizialmente deluse dalla sostituzione del tenore, Fabio Armiliato stava male e lo ha sostituito Kim Myung Ho nel ruolo protagonista di Arrigo, ma la presenza di altri tre maghi dell’opera, come Daniela Dessì, Giacomo Prestia e Leo Nucci ha calmato la nostra agitazione e inoltre il tenore orientale se l’è cavata dignitosamente. Certo ci è mancata la bella figura di Fabio, le sue espansioni brucianti e la sua passionalità nelle scene d’amore che con Daniela sono così veritiere, tuttavia sentir Giacomo Prestia cantare l’aria di Procida del secondo atto “O tu Palermo” a 20 centimetri dalla mia faccia e guardarlo direttamente negli occhi è stato molto coinvolgente.

Sì, perché Pier Luigi Pizzi ha dilatato l’azione tra gli spettatori: tutti i personaggi si muovevano e cantavano non solo in palcoscenico ma anche tra il pubblico, entravano ed uscivano anche dalle porte di sicurezza e i coristi cantavano spesso schierati in fondo o ai lati della platea, o da un palco o fuori campo, creando una speciale osmosi tra audience ed artisti.

Per l’aspetto visivo Pizzi si è adeguato alle ristrettezze economiche del momento, optando per una scenografia minimalista fatta di simboli che, anche se non descrivevano le specifiche e ricche ambientazioni, davano lo spunto per immaginare ambienti approssimativi.

Atto primo: accoglienza a sipario aperto, palcoscenico in pendenza, non c’è la piazza di Palermo con i suoi edifici e la caserma, ma ci sono solo tre barche (Palermo è città di mare) contro un fondale bianco (perché non azzurro?); atto terzo: un divano celeste visto di spalle, un grande specchio piegato in avanti a rifletter la scena stile Svoboda (mitica Traviata a Macerata) per la scena del ballo; atto quarto: un’alta inferriata per il carcere con i frati incappucciati bianchi e neri ritti tra le sbarre; atto quinto: altare classico bianco per il matrimonio e pioggia finale di volantini tricolori sulla platea del Regio (Viva l’Italia!).

I militari francesi indossavano divise blu e sventolavano la loro bandiera, i siciliani avevano divise nere, la duchessa Elena era rigorosamente in nero e velata tranne alla cerimonia nuziale per la quale indossava un abito bianco, tutti della stessa foggia. Di bianco vestite le danzatrici della Tarantella, di nero i danzatori, tra cui spiccava il rosso di Ninetta (in bianco per le altre scene). Scena di stupro generale per il rapimento delle ballerine siciliane da parte dei soldati francesi (atto II).

Il ballo mascherato di dame e gentiluomini di entrambe le nazionalità (atto terzo, ballo delle quattro stagioni, che in realtà non sono state definite) si rifletteva nel grande specchio, si aggiravano anche degli incappucciati con mantelli cangianti di vari colori di tonalità scure. Le luci disegnate da Vincenzo Raponi davano le giuste atmosfere alle scene e agli ambienti. Le coreografie portavano le firma di Roberto Maria Pizzuto.

Tornando al versante vocale ribadisco la straordinaria da performance del basso Giacomo Prestia, che ha una cassa armonica unica, nel ruolo del patriota Procida (abito nero, capelli e barba bianchi): la voce è splendida e la figura non è da meno; al timbro conturbante si uniscono ampiezza, estensione, peso, ricchezza di armonici, naturalezza d’emissione dai gravi poderosi agli acuti pieni attraverso ampie arcate, un modo di porgere una voce cavernosa con grande morbidezza ed espressività. Magnifico.

Grande prova anche quella del baritono Leo Nucci (Guido di Manforte, padre segreto di Arrigo) per l’autorevolezza della figura e per un mezzo vocale ancor nel pieno dell’efficienza e dell’efficacia, sostenuto da una consolidata tecnica vocale e da una indiscussa maestria nel porgere: la voce è estesa, ferma e intatta in ogni registro (anzi direi che non l’ho mai sentita così perfetta nei passaggi di registro e nell’intonazione), i suoni sono pieni e rotondi, i fiati lunghi e sostenuti, il peso e il volume consistenti, l’interpretazione intensa. Insomma Nucci migliora col tempo e anche fisicamente.

Ci saremmo aspettati più passione e maggior impeto da Daniela Dessì per il ruolo di Elena che richiede una vocalità tirata all’estremo. Il soprano, invece, ha sfruttato la melodiosità della sua voce per un canto a fior di labbro, una linea sospirosa con bei filati anche rinforzati, una delicatezza d’accento con impennate acute e slanci brucianti che emergono nei concertati e ha fatto emergere la voce in tutto il suo splendore nel travolgente finale.


Kim Myung Ho
(Arrigo figlio ribelle di Manforte e innamorato di Elena) sapeva la parte (e non è poco per un ruolo estremo di un’opera poco rappresentata), ha esternato una voce che arriva ovunque, anche se il timbro piuttosto chiaro non è drammatico, ha cantato bene e con espressività, anche se la figura non è fascinosa.

Nelle parti di contorno hanno cantato Roberto Jachini Virgili (Tebaldo) un tenore incisivo di voce chiara, il basso chiaro ed esteso Alessandro Battiato (Roberto), il basso scuro Andrea Mastroni (Conte di Vaudemont), il tenore Raoul d’Eramo (Danieli), il basso Dario Russo (Sire di Bethune), il contralto Adriana Di Paola (Ninetta), il tenore Camillo Facchino (Manfredo).

Le pagine corali sono risultate molto coinvolgenti, grazie anche alla nota bravura del Coro del Regio preparato da Martino Faggiani.

L’Orchestra del Regio, diretta da Massimo Zanetti, ha esibito sonorità alte e dense nella nota Sinfonia d’apertura, ricca di poderosi crescendo e sensibili diminuendo, le grandi arcate della sezione archi, il frizzo dei violini, la potenza degli ottoni e delle percussioni, il guizzo dell’ottavino hanno contribuito ad annunciare il clima teso e ricco di contrasti di questo grand-opèra verdiano. Con maggior leggerezza è stata realizzata l’introduzione al II atto, una patina d’inquietudine ha pervaso il Preludio del IV e l’attenzione nell’eseguire il dettato verdiano ha reso tangibile l’immensa coralità dell’opera.

Il pubblico ha risposto con calorosi applausi.