martedì 25 giugno 2013

Arcevia (AN) Gli ulivi di Casavecchia



L’ulivo ultramillenario di Casavecchia.

  1.550 anni -  italiano 


Di Giosetta Guerra

Le Marche non finiscono mai di stupire: ogni sito, ogni angolo ha qualcosa di particolare e di unico, che spesso passa inosservato, ma che prima o poi qualche appassionato della natura o dell’arte o della musica riesce a scoprire. E io ho scoperto il regno degli ulivi a S. Pietro in Musio, un luogo pressoché sconosciuto nelle campagne del comune di Arcevia (AN).

Per arrivarci parti da San Lorenzo in Campo (PU), oltrepassi il ponte sul fiume Cesano, che divide le due province, e inizi a percorrere la strada che dopo trenta chilometri giunge a Sassoferrato; superato il passo di Nidastore, vicino a Madonna del Piano sulla sinistra trovi una stradina con l’insegna “Casavecchia vivai”. Entra in quella strada e ti troverai nel mondo incantato degli ulivi. Innumerevoli piante di ogni età e di ogni dimensione come mai ne avevo viste tutte insieme occupano un vasto spazio che sale verso la collina, ma ciò che attira l’attenzione sono le forme elaborate e contorte dei tronchi degli ulivi più vecchi, quasi una gara di contorsionismo o un sofferto avvinghiamento su se stessi, che ti fanno pensare a qualcosa di umano. Mi riportano in mente le due pietà di Michelangelo, la Bandini e la Rondanini o la Sagrata Familia di Gaudì a Barcellona (Spagna).  L’ulivo impiega molto tempo a crescere e anche quelli che vediamo nei giardini, seppur di piccole dimensioni, non hanno mai meno di trenta-quarant’anni, è un albero molto longevo e può vivere migliaia di anni.

650 anni - spagnolo

 

 

Nel vivaio di Leonello Casavecchia ulivi centenari

(da 150 a 650 anni) provenienti dalla Spagna e dall’Italia con tronchi intrecciati e nodosi, compatti o divisi, rami  mozzi o sbilanciati, sono magnifiche sculture della natura più fantasiosa, ma ciò che lascia senza fiato è la magnificenza dell’ulivo ultramillenario, dal tronco fortemente scolpito, enorme per circonferenza e altezza, compatto e solido come una montagna: ha millecinqucentocinquanta anni ed è italiano. L’altro ulivo millenario si trova nei pressi di Roma.

 

  350 anni - italiano

 

 

 

 

 

 

Per sradicare e ripiantare alberi di tali dimensioni occorrono mezzi e cure speciali, per trasportarli bisogna chiedere l’autorizzazione come trasporto eccezionale. 

Casavecchia, grande appassionato ed esperto di ulivi, non ci pensa due volte per prendere un aereo e andare a visionare esemplari speciali sia in Italia che in Spagna (nei Paesi Baschi soprattutto), e per completare l’ampio assortimento non si è fatto mancare gli ulivi bonsai che io non avevo mai visto, anzi non ne conoscevo proprio l’esistenza.

bonsai

 

 

250 anni - italiano

L’azienda Casavecchia Piante, nata nel 1985, si occupava inizialmente della produzione e del commercio all’ingrosso di alcune piante ornamentali, si è specializzata nel settore florovivaistico e del giardinaggio, oggi è un’azienda leader nel settore dell'architettura del verde ed ha ottenuto la certificazione SOA e l'attestato di qualificazione per l'esecuzione di lavori in spazi pubblici.





S. Lorenzo in C. Memorial Fausto Guerra

San Lorenzo in Campo (PU)

Concerto in memoria di 

Fausto Guerra,

cantante e chitarrista, 

maestro d’arte e scenografo


Son trascorsi ben 40 anni da quando Fausto veniva travolto sulla strada, detta della morte, che da Nuova Gradisca (Jugoslavia) porta verso la frontiera italiana. Erano le 14.30 del 28 luglio 1973, Fausto e Viscardo su una moto di grossa cilindrata e altri due amici su un’altra moto se ne stavano tornando tranquillamente a casa dopo un bellissimo e meritato viaggio in Grecia, ignari che la bella gioventù dei primi due sarebbe stata interrotta dalle carambole catastrofiche di un’auto proveniente dalla direzione opposta, che, per un colpo di sonno del suo autista turco, invadeva l’altra carreggiata e li investiva in pieno lasciandoli privi di vita sull’asfalto.

Fausto si era brillantemente laureato scenografo all’Accademia delle Belle Arti di Urbino con 30 su 30 soltanto sedici giorni prima e credo che non abbia neanche avuto modo di vedere il suo certificato di laurea. Aveva solo 25 anni. Cruda sorte!

Ma in questa pagina di memorie vogliamo ricordare lo spirito libero e il musicista che convivevano in questo giovane poco più che ventenne negli anni ’70 e che si esprimevano con quella apertura verso gli altri e quella comunicativa, che fecero di Fausto un leader tra i suoi coetanei e un pioniere della musica in questo paese. Appassionato di musica, suonava benissimo la chitarra ed aveva una voce estesa e di bella pasta. Negli anni 1967/68 ad Urbino aveva formato con il cantante urbinate Ivan Graziani il gruppo “I Duchi di Urbino”, che verso gli anni ’70 hanno tenuto acclamatissimi concerti al Torchio di San Lorenzo in Campo nel giardino di Palazzo Amatori e nella nostra zona aveva un complesso beat con dei coetanei tra cui Viscardo Paolini (il suo compagno di sventura), che aveva una sala da ballo al Passo di San Vito.

I giovani del luogo lo seguivano con entusiasmo, anche perché Fausto, oltre ad istruirli sulla pratica della musica, li portava in locali lungo la costa dove si faceva musica ad alto livello. Roberto Guerra, di qualche anno più giovane di lui, ricorda ancora la meraviglia di un concerto di Lucio Battisti e la Formula Tre all’Altro Mondo di Rimini, dove Fausto lo aveva portato una sera con la sua cinquecento blu insieme a Castiro Vinella e a Piero Priori. La gioia di vivere era sempre presente, nonostante i tempi non facili, non si navigava nell’oro e la mentalità era alquanto chiusa.

Iscritto al Club Nazionale degli Artisti, Fausto ha partecipato come attore alla Rassegna San Fedele di Milano 1972-73, con la rappresentazione “Violenzazione, in quanto faceva parte del Gruppo Teatrale dell’Accademia delle Belle Arti di Urbino,

San Fedele di Milano

 

 

 

 

 

ha tenuto molti concerti in varie parti d’Italia, si è esibito con successo come cantante solista in manifestazioni di varia importanza ed è stato apprezzato da Mike Bongiorno, Pippo Baudo, Gino Latilla, che hanno avuto modo di ascoltarlo in spettacoli ad alto livello da loro presentati.

 

Fausto con I ricchi e i poveri

Aveva pronti due contratti discografici come cantante con la “Car” di Milano e con la “Matata” di Torino, è stato finalista al concorso “Voci e Volti nuovi delle Marche in televisione”, organizzato dal Radiocorriere a Pesaro, dove gli è stato impedito di cantare “Tanta voglia di lei”, perché, al dire del cantante Gino Latilla, avrebbe fatto sfigurare i Pooh, che avevano in programma la stessa canzone, e Fausto cantò “Signore, io sono Irish, quello che verrà da te in bicicletta”. Canzone fatidica, perché, dopo poco, lui ci andò in motocicletta.

 

Poi il tempo passa e annebbia i ricordi, le generazioni cambiano e la gente dimentica. Ma tutti quelli che oggi fanno musica a San Lorenzo in Campo sappiano che Fausto è stato il primo ad aprire le porte alla musica nel nostro territorio, ha radunato attorno a sé il mondo dei giovani, che hanno messo in pratica la sua lezione, continuando a formare gruppi musicali, a dedicare il loro tempo libero all’hobby più creativo e più gratificante del mondo, facendone a volte anche una professione.

Per non perdere la memoria del passato, non sarebbe improprio intitolargli la stanzetta della musica dietro l’oratorio, dove oggi molti giovani laurentini fanno le prove per continuare il percorso musicale iniziato da Fausto. Intanto l’Associazione Musicale Mario Tiberini, in collaborazione coi musicisti del luogo e dell’Amministrazione Comunale, col sostegno dell’Alluflon di Mondavio e di Casavecchia Vivai di Arcevia, gli dedica un mega concerto che si terrà il 7 luglio alle ore 21 ai giardini pubblici di S. Lorenzo in Campo con la partecipazione di quattro gruppi locali e non: Algoritmo, Kite, I Fottutissimi, dr.gam. Peccato che la Pro loco si sia dissociata.

Giosetta Guerra




lunedì 17 giugno 2013

Bologna-Comunale-Il trionfo di Clelia



Bologna, Teatro Comunale

“Il trionfo di Clelia”

…ma non degli altri.


(Recita del 19 maggio 2013)


Di Giosetta Guerra


 


Duecento cinquanta anni fa, il 14 maggio 1763, il Teatro Comunale di Bologna fu inaugurato con  Il trionfo di Clelia, dramma per musica in tre atti su libretto di Pietro Metastasio, musica di Christoph Willibald Gluck; con la stessa opera si è festeggiato quest’anno il 250°anniversario dell’apertura della sala del Teatro Comunale. L’opera, abbastanza lunga, noiosetta sul versante cantato, più ricamata nelle parti strumentali, è un susseguirsi di arie solistiche (18), lunghi recitativi secchi, alcuni recitativi accompagnati, un duetto e un breve coretto cantato da tutti i solisti.

Si basa sul contrasto tra libertà e potere assoluto che si concretizza nell’eroismo di Clelia, nobile donzella romana, ostaggio del campo toscano comandato da Porsenna, arrivato nei pressi di Roma al fine di ristabilir sul trono della città Tito Tarquinio, ultimo figlio di Tarquinio il Superbo, che n'era stato scacciato. La giovane, insidiata da Tarquinio ma destinata sposa all’eroico Orazio (Coclite), ambasciatore di Roma, fugge dal campo toscano  e, attraversando a nuoto il Tevere, giunge a Roma, suscitando l’ammirazione di Porsenna per quel gesto eroico. C’è un’altra coppia formata da Larissa, figlia di Porsenna promessa a Tarquinio, e da Mannio, principe dei Veienti, di cui Larissa è innamorata.

L’allestimento scenico di Bologna con regia e scene di Nigel Lowery e luci di George Tellos riprende quello di Atene dell’anno scorso, più che minimalista è stilizzatissimo, piatto e scialbo, non definisce tempi, luoghi e ambienti, un po’ di rilievo vien dato all’incendio del ponte Sublicio e alla fuga a nuoto di Clelia in compagnia di un cavallino usando una botola. L’azione si svolge sia davanti ad un arco da teatrino parrocchiale coperto da un telo bianco sul quale vengono proiettati la sinopsi, un lungo discorso politico contro gli oppressori, un missile che esplode e si disintegra in tante bamboline (perché?), una scena di guerra con aerei e carrarmati, sia dietro, quando il telo si alza, dove compare una parete in legno chiaro che ogni tanto si apre lateralmente e lascia intravedere una fabbrica con ciminiera in miniatura. La scena più originale e azzeccata è la costruzione a vista del ponte con archi sottostanti per lasciar scorrere l’acqua del fiume, fatta con scatoloni sovrapposti; sul ponte nero e fondale rosso si proietta una battaglia in miniatura poi scoppia l’incendio, il ponte crolla e travolge Orazio che si getta nel fiume. 

Non ho capito il significato della bambolina in mano a Larissa, del personaggio ignoto che ogni tanto sbuca da una botola, perché Clelia in redingote rossa, calze nere e scarpe col tacco, arriva con la valigia in apertura d’opera, perché Porsenna aziona il ventilatore e Orazio avanza trascinando un palo come fa Cristo con la croce, perché si gioca con un mappamondo e si bruciano carte, perché sono i cantanti ad aprire e chiudere (troppe volte) il sipario del teatrino e altre cose discutibili proposte da questa regia incomprensibile.

I costumi di Monica Benini sono un miscuglio di stili, Larissa ad esempio ha un abito alla charleston, quindi più che per coerenza è per effetto visivo che risaltano gli originali mantelli a più colori dei personaggi maschili o la giacca a righe orizzontali nere e rosse di Orazio.

Sul versante vocale alcuni ruoli sono en travesti. Maria Grazia Schiavo (Clelia) con voce sopranile di bel timbro, agile e ben proiettata, si trova a suo agio nel canto di coloratura (Tempeste il mar minaccia), è una brava virtuosa con acuti lanciati e gravi deboli, sa dare incisività all’accento nonostante l’incomprensibilità delle parole, si destreggia bene in tutti i registri nell’aria di furia con grandi sbalzi e slanci acuti “Mille dubbi mi destano in petto” eseguita di forza.

Il soprano turco lirico leggero Burcu Uyar (Larissa) produce suoni medi chiusi, fa uso della messa di voce e dà maggior sfogo agli acuti (Ah, celar la bella face) ed è proprio nella tessitura acuta che la voce risulta più bella (Ah, ritorna, età dell’oro); la dizione è incomprensibile.

Il mezzosoprano leggero greco Irini Karaianni (Tarquinio) ha voce piccolissima, i suoni sono belli ma corti e appena accennati, sa cantare (Sì, tacerò se vuoi), ma non ha né gravi, né estensione, né pronuncia chiara.

La greca Mary-Ellen Nesi (Orazio) è un mezzosoprano dal bel timbro scuro e peso vocale modesto (Resta o cara), la voce è impastata e intubata nei registri medio e grave, comunque è ben lanciata nell’acuto e agile nei vocalizzi, che sono incomprensibili, quando il canto si fa più morbido (Saper ti basti, o cara), modula con proprietà sopra un tessuto orchestrale sospeso e lungo, sa cantare ma non pronunciare.

Il tenore Vassilis Kavayas Porsenna canta bene e si capisce (A sì, bell’opra), ha voce chiara e pulita, di poco spessore e gravi vuoti (Sai che piegar si vede)… forse glieli porta via il ventilatore (Boh !!!!!!)…, il suono risulta un po’ piatto e si stringe quando sale, la rigidità della voce non è adatta al virtuosismo delle sue arie, piene di fioriture.

Il sopranista giapponese Daichi Fujiki (Mannio) usa bene il fil di voce che ha, producendo bei filati e leggerezza del suono (Vorrei che almen per giuoco).

I recitativi accompagnati dal cembalo erano uno zampillare di suoni incomprensibili fino a generare noia e in linea di massima l’intelligibilità fonica è stata carente anche nelle arie, perciò la vicenda è rimasta piuttosto oscura.La musica con armonie squisite e trasparenti è decisamente più accattivante. L’Ouverture si bilancia con ritmo danzante tra la densità dei fiati e la leggerezza degli archi che dominano anche sul tutto orchestrale, ogni aria ha un’introduzione, l’opera termina con musica trionfale e canto d’insieme. La brava Orchestra del Teatro Comunale di Bologna era diretta da Giuseppe Sigismondi De Risio.

Per me certe opere vanno fatte in costume d’epoca e con veri virtuosi del canto, altrimenti dov’è la <maraviglia>?




sabato 8 giugno 2013

Roma Carlo Lepore e il suo CD



ROMA - Libreria Feltrinelli

(6 giugno 2013)


CARLO LEPORE

NON SOLO BUFFO


Il basso Carlo Lepore presenta il suo ultimo CD

 

 


Servizio di Giuseppina Giacomazzi

 

Il basso Carlo Lepore, noto anche per l'interpretazione della Cenerentola televisiva con la regia di Verdone, nel presentare il 6 giugno 2013 alla libreria Feltrinelli di Viale Libia a Roma il suo nuovo CD "Non solo buffo", ha offerto un'ora di splendida musica dal vivo, accompagnato al pianoforte dal maestro Giovanni Velluti.
La scelta dei brani, non tutti presenti nel CD, come lo stesso Lepore ha spiegato introducendo il pomeriggio musicale, è stata quella di mostrare al pubblico la capacità di usare una vocalità anche per "il buffo", vocalità più baritonale per velocità e brillantezza, ma di vero basso per le note gravi. 

I personaggi dell'opera buffa non sono e comunque non devono essere mai ridicoli; la comicità deve scaturire infatti dalla situazione, come per il don Magnifico della Cenerentola o per il don Bartolo del Barbiere di Siviglia, "grotteschi nella loro cattiveria". Il CD contiene arie di Rossini, Verdi, Mozart, ma anche di Gounod, Respighi, Tosti, mettendo in luce la diversità dei personaggi.
Il maestro Velluti ha sottolineato il ruolo dell'accompagnamento pianistico, ruolo non secondario rispetto alla voce, avendo il difficile compito di ricreare i colori orchestrali. Ha eseguito poi uno splendido notturno postumo di Chopin , spiegando al pubblico il rapporto con l'opera lirica presente nel romanticismo pianistico, del quale Chopin è altissima espressione.
Lepore ha  cantato arie dalla Sonnambula (Vi ravviso o luoghi ameni), dalle Nozze di Figaro (Non più andrai farfallone amoroso), dal Simon Boccanegra (Il lacerato spirto), due lieder di Schubert, l'aria La Calunnia dal Barbiere di Siviglia, e, in conclusione una nota vecchia canzone, Old man river,  con ottimo fraseggio e capacità interpretativa, offrendo una profonda emozione al pubblico presente, particolarmente attento, partecipe, coinvolto. Di forte fascino la drammaticità dei toni bassi e il "crescendo" della Calunnia, nella quale testo e musica sono in stretto rapporto.  Perfetto l'accordo con l'accompagnamento pianistico.

 

sabato 1 giugno 2013

Teatro Comunale di Bologna - Oscar della Lirica III Edizione

Teatro Comunale di Bologna

INTERNATIONAL OPERA AWARDS 2013


Oscar della Lirica 

III Edizione

(Sabato 18 maggio 2013)

Servizio di Giosetta Guerra

Il programma celebrativo del 250° anniversario del Teatro Comunale di Bologna comprendeva anche la serata degli Oscar della Lirica, promossa e organizzata dalla Fondazione Verona per l’Arena e dalla Fondazione Teatro Comunale, per la consegna dei premi a cantanti e personaggi dello spettacolo scelti tra una lista di candidati.

Il premio, nato nel 1995 per volontà di Alfredo Troisi, si prefigge l'obiettivo di "valorizzare e contribuire al rilancio della musica lirica, alla diffusione dell'arte del canto e dell'opera che è innanzitutto disciplina di vita e di cultura, scuola di sacrificio e di impegno, di studio e dedizione costanti".
Vincitori dell’edizione 2013 sono risultati il tenore Gregory Kunde (assente), il soprano Daniela Dessì, il mezzosoprano Elisabetta Fiorillo (assente), il basso Roberto Scandiuzzi (assente), il baritono Bruno Praticò, l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna (ha ritirato il premio il suo direttore Michele Mariotti, che lo ha consegnato al primo violino Emanuele Benfenati), la costumista Brigitte Reiffenstuel, il corpo di ballo del Teatro dell'Opera di Roma con il coreografo Misha Van Hoecke

I cantanti sono stati premiati con una statuetta che rappresenta la Nike di Samotracia e gli altri con un premio in scatola che da lontano abbiamo solo intravisto.
Sono stati conferiti anche un Premio Speciale alla memoria di Luciano Pavarotti consegnato a Nicoletta Mantovani da Giovanni Allevi (ospite d’onore della serata), un Premio Speciale Opera al cinema a Franco Zeffirelli (Ilenia Sirtori in rappresentanza dello sponsor principale Korff ha consegnato il premio ad una luccicante Priscilla Fiazza nipote di Zeffirelli), un Premio Speciale alla carriera al soprano Raina Kabaivanska (accolta in palcoscenico da una standing ovation) per i suoi cinquantacinque anni di attività con quattrocento produzioni di Tosca e quattrocento di Madama Butterfly, un Premio Speciale per la New Generation al tenore Stefano Tanzillo della Fondazione Luciano Pavarotti premiato da Nicoletta Mantovani e al mezzosoprano Chiara Amarù. 
Sono stati premiati poi il Sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna Francesco Ernani per mano di Daniela Traldi presidente di Conflirica, il sindaco di Bologna Virginio Merola (assente sostituito dall’assessore Patrizia Gabellini) per mano di Giorgio di Bisceglie della Fondazione Verona per l’Arena, ed è stata data una medaglia del Presidente Napolitano all’ideatore degli oscar della lirica Alfredo Troisi.
Infine è stato premiato dallo sponsor Jaguar Italia anche Alfonso Signorini, direttore del
settimanale Chi, anche lui melomane e per l’occasione garbato e simpatico conduttore della bella serata evento, che aveva la regia di Giovanna Nocetti.
I cantanti hanno offerto al pubblico un brano del loro repertorio.
Stefano Tanzillo, un tenore ventiquattrenne di belle promesse ma con una tecnica di respirazione e d’emissione da acquisire, ha aperto le esibizioni con la nota aria del Duca di Mantova “Ella mi fu rapita” da Rigoletto di Verdi (voce chiara di bel timbro, fiati corti e tutto quel che comporta un canto non in maschera).
Poi è entrata Chiara Amarù e si è aperto l’universo, perché il mezzosoprano è una rossiniana doc, ha una vocalità importante, estesa, voluminosa, con suoni rotondi fin dalla prima nota e ben impostati in ogni registro e con precisa proiezione del suono, voce densa e robusta negli affondi, duttile e agilissima nella fitta coloratura, nel canto di sbalzo e nei salti d’ottava dai trilli e dagli slanci acuti agli appoggi gravi pieni e consistenti, canta in maschera e fa uso delle mezze voci e della messa di voce. Ha cantato magnificamente l’aria “Nacqui all’affanno” dalla Cenerentola di Rossini che ha concluso coi fuochi d’artificio del rondò finale “Non più mesta”.
In sostituzione dei cantanti assenti è stata chiamata all’ultimo momento Dimitra Theodossiou che abita a Bologna a due passi dal teatro e che aveva vinto l’anno scorso il premio oscar della lirica. La scelta è stata azzeccatissima, perché il soprano greco si è presentata col cavallo di battaglia dei suoi esordi, un brano che soltanto una cantante con una grande voce può affrontare con sicurezza, un genere di canto spinto e lanciato che il soprano aveva via via sostituito con modulazioni più dolci e più intimistiche. Mi è piaciuto molto quindi sentire di nuovo la Theodossiou nella difficilissima aria di Odabella  con cabaletta “Santo di patria” da Attila di Verdi, affrontata con voce imponente e spiegata, slanci acuti formidabili e vibranti con salti temerari alle sonorità piene della zona grave, cesello della messa di voce, agilità vertiginose nei virtuosismi della cabaletta, naturalezza d’emissione, incisività d’accento, interpretazione intensa.

Bruno Praticò con soprabito di broccato bianco come un marajà ha snocciolato con dizione chiarissima e possente mezzo vocale la zampillante cascata di note del suo pezzo forte, l’aria di Don Magnifico “Miei rampolli femminini” dalla Cenerentola di Rossini, corredandola della sua nota mimica. Gli ha consegnato il premio l’assessore alla Provincia Maria Bernadetta Chiusoli.



Daniela Dessì, premiata da Raina Kabaivanska come artista cantante e regina del canto lirico (ma già la Dessì era stata incoronata regina della lirica nel 2007 dall’Associazione Musicale Mario Tiberini), ci ha donato una splendida interpretazione di “Io son l’umile ancella” da Adriana Lecouvreur di Cilea, con una voce dal colore vellutato e dal suono denso, mezze voci deliziose e messa di voce perfetta, struggenti filati in pianissimo poi rinforzati, una voce che dà i brividi e trasmette le vibrazioni dell’anima.

Annunciato come Guest Star della serata, il pianista-compositore-direttore Giovanni Allevi è entrato correndo in palcoscenico col suo look abituale (maglietta nera a maniche corte, jeans neri, capelli neri ricci arruffati) e la sua nota aria “allunata”, ha scambiato due parole affannose col presentatore (lo sappiamo come fa), poi ha ben diretto l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna che ha eseguito la sua composizione “A perfect day ”, un brano sinfonico con un tema di base reiterato all’infinito dalle varie sezioni orchestrali con tempi uguali ma con registri e sonorità diversi. Poi se n’è andato. Niente esibizione al pianoforte quindi. 

Cambiando genere di musica Giovanna Nocetti, in veste di cantante con chitarra in mano si è esibita in un omaggio a Lucio Dalla, cantando Caruso e duettando con la potenza vocale dello strepitoso soprano Francesca Patanè.

Poi tre ballerini del teatro dell’opera di Roma (Alessandra e due maschietti) hanno fatto qualche passo di danza partendo dalla platea su coreografia di Misha Van Hoecke, presentato in palcoscenico.

Il pittore Serafino Rudari, posizionato sul palco sinistro di boccascena, ha dipinto in contemporanea un quadro che ha poi donato al Sovrintendente del teatro Francesco Ernani.
L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna era diretta da Elisabetta Maschio, che indossava un elegante abito lungo di chiffon blu chiaro con maniche a pipistrello stretto in vita da un’alta fascia dorata e nel dirigere assumeva pose e movenze sinuose anche appoggiandosi ogni tanto alla sbarra come una ballerina.