venerdì 29 gennaio 2010

Hin und Zurück di Paul Hindemith e L’heure espagnole di Maurice Ravel - Teatro delle Muse, Ancona


Foto: Sonia Ganassi
Teatro delle Muse, Ancona



ANCONA– TEATRO DELLE MUSE - APERTURA DELLA STAGIONE D’OPERA E BALLETTO con Hin und Zurück di Paul Hindemith e L’heure espagnole di Maurice Ravel. (recita del 24 gennaio 2010)

di Giosetta Guerra


L’allestimento delle opere rare al Teatro delle Muse di Ancona crea sempre un forte impatto visivo, che rimane negli occhi anche a distanza di tempo. Quindi è azzeccata la scelta di non far seguire nient’altro alle opere rare, seppur brevi o brevissime come nel caso di Hin und Zurück e L’heure espagnole che insieme durano solo 75 minuti. Eravamo un po’ perplessi prima di entrare, ma siamo usciti convinti e soddisfatti, anche se, come è consuetudine da qualche tempo, l’allestimento scenico prevale sulla musica. E Stefano Poda nelle vesti onnicomprensive di scenografo, regista, costumista, coreografo, disegnatore luci, si è imposto all’attenzione del pubblico.
La bellezza delle scene, visionarie ma attinenti, incollate ai protagonisti ma in continua evoluzione con l’ausilio di proiezioni e di cambi di luci, la sobria eleganza dei costumi femminili e l’austerità con qualche stravaganza di quelli maschili, la simbologia dei movimenti meccanizzati (nell’opera di Ravel una breve teoria di uomini in bianco scandisce i minuti con passettini e scatti, in quella di Hindemith alcuni personaggi gesticolano e non ho capito perché), la presenza dell’alter ego dei personaggi in un gruppo speculare e contrapposto in quella di Hindemith, l’uso di soli tre colori a forte contrasto (nero, rosso e bianco), con l’aggiunta dell’argento lavico per le pareti e gli ingranaggi dell’orologio della seconda opera e del nero traslucido delle pareti a specchio e del pavimento riflettente per la prima, contribuiscono a captare l’attenzione degli spettatori su queste due storie tra loro contrastanti (la prima drammatica ma sdrammatizzata se vista al rovescio, la seconda piccante e intrisa di amaro opportunismo), ma unite dal tema del tempo che va a ritroso nell’opera di Hindemith e va avanti in quella di Ravel. Due letti neri alla turca ai lati del palcoscenico e tante lettere dell’alfabeto argentee traslucide dondolanti dal soffitto sono gli elementi scenografici della prima opera, il passaggio alla seconda avviene gradualmente con l’introduzione di un grosso pendolo argenteo filigranato oscillante, di una serie di clessidre di cristallo sospese, di due metronomi che segnano il tempo e si trasformano in pendole, di una fantastica cascata d’acqua sul retro, di un grosso ingranaggio d’orologio che scandisce le ore, di una calda pioggia di petali rossi sulla protagonista alle prese col primo amante, petali che formano un prato rosso sul pavimento nero. Non manca la seminudità degli uomini nell’opera di Ravel. Tutto in un’atmosfera visionaria di grande fascino. Il lavoro di Stefano Poda è una sorta di work in progress, perché scivola dalla prima alla seconda opera gradualmente senza stacchi, toglie, aggiunge, modifica gli elementi scenici con la complicità delle luci, sì che lo spettatore, in attesa di un intervallo dopo la prima opera (anche se di soli 12 minuti), si domanda perché i protagonisti riprendano a cantare se la vicenda era conclusa, poi si rende conto invece di trovarsi in un’altra atmosfera perché sente che la musica è cambiata e si accorge solo dopo che anche gli elementi scenici hanno un altro significato. Una mente geniale.
Vediamo le trame.

HIN UND ZURÜCK (Andata e ritorno), musica di Paul Hindemith su libretto di Marcellus Schiffer scrittore e cabarettista, prima rappresentazione a Baden-Baden, Theater der Stadt il 15 luglio 1927, è un’opera in miniatura, composta in tre giorni, una divertente parodia delle convenzioni del teatro musicale della durata di un quarto d’ora.
Emma, totalmente sorda ed estranea ai fatti, è in soggiorno e ricama, entra sua nipote Helene, per la colazione, poco dopo giunge suo marito Robert con un regalo per il compleanno della moglie. La cameriera porta una lettera ad Helene, che nel leggerla rimane imbarazzata e dice al marito che viene della sarta ma, pressata dai sospetti di Robert, ammette che chi scrive è un amante. Robert infuriato le spara. Il medico, seguito da un’infermiera che elenca nomi di medicinali, dichiara che per la donna non c’è più nulla da fare. Robert, disperato, si getta dalla finestra. A questo punto compare un saggio per dire che se si guarda dall’alto non ha importanza che la vita si svolga dalla culla alla morte, o che l’uomo prima muoia e poi rinasca; se si capovolge il destino tutto ritornerà a posto come prima. (Affermazioni assurde sotto ogni profilo, perché ciò che non esiste non può morire né rinascere, ma il teatro è finzione e dà vita anche ai “nonsense”). L’azione quindi riprende e gli avvenimenti si replicano in ordine inverso. Robert rientra dalla finestra, riappaiono medico e infermiera, Helene si rialza, il dialogo relativo alla lettera si svolge al contrario (prima Helene parla dell’amante poi della sarta) e Robert dona alla moglie che si prepara per la colazione il regalo di compleanno.

L’HEURE ESPAGNOLE (L’ora spagnola), farsa boccaccesca di Franc-Nohain sulle peripezie di una giovane sposa di Toledo, fu vista all’Odéon da Maurice Ravel che ne restò fortemente impressionato, sì che la mise in musica in breve tempo e ne fece una commedia musicale in un atto, rappresentata per la prima volta a Parigi, Théâtre National de l’Opéra Comique, il 19 maggio 1911. Parla dell’orologiaio Torquemada che ogni giovedì, sempre alla stessa ora, ha l’incarico di regolare gli orologi del municipio, delle chiese e delle torri del paese. E la moglie ne approfitta per ricevere i suoi amanti. Ma questo giovedì, mentre sta per uscire, si presenta Ramiro, un giovane e vigoroso mulattiere, per farsi riparare un orologio. Conception, la focosa moglie di Torquemada, esorta il marito a sbrigare il suo incarico municipale, lui va dicendo a Ramiro di aspettarlo lì in bottega. Conception, contrariata, cerca un escamotage per usufruire della sua ora di libertà: chiede a Ramiro di portare una grossa pendola nella sua camera da letto al piano superiore. Puntuale arriva il poeta Gonzalve e Conception lo fa nascondere in un’altra pendola. Ramiro ritorna e la donna lo prega di riportare giù la prima pendola e di portare su in camera la seconda con dentro Gonzalve. Frattanto si presenta un altro amante, il ricco banchiere Don Inigo Gomez, ma lei non gli dà retta e accompagna Ramiro con la pendola occupata da Gonzalve al piano superiore. Don Inigo si nasconde allora nella prima pendola. Conception si intrattiene col poeta che si prodiga in effusioni liriche, ma non arriva al sodo, perciò fa riportare la pendola con il carico inconcludente al piano inferiore e fa trasportare in camera sua quella con dentro il vanesio Don Diego, che però è incapace di uscir fuori dalla pendola e così Ramiro deve riportare giù anche la pendola con Don Inigo. Conception comprende a questo punto che il prestante Ramiro è l’unico in grado di appagare i suoi desideri e chiede al mulattiere di seguirla in camera da letto senza pendola. Al suo ritorno Torquemada potrebbe immaginare cosa sia successo, ma troppo grande è la sua gioia quando scopre nelle sue pendole due clienti ai quali potrà venderle a caro prezzo.
Per questo dittico gli interpreti, tutti all’altezza dei loro ruoli, sono gli stessi. L’unica donna cantante è il noto mezzosoprano Sonia Ganassi (Helene moglie di Robert e Concepcion moglie di Torquemada), al suo debutto in scena nel repertorio del 900, che calca il palcoscenico con l’allure della primadonna (buffa in questo caso), interpreta con grande precisione i due personaggi, esibisce il suo bel timbro brunito, vibrante e ricco di armonici, una tessitura acuta luminosa, una zona grave non sempre sonora, voce agile ed estesa, fluidità d’emissione, incisività d’accento e di fraseggio. Lo spagnolo Vicenç Esteve (Robert e lo studente Gonzales) esibisce una vocalità estesa e limpida di tenore chiaro e brillante che si espande in filati; l’inglese Nicolas Rivenq (Il professore e il mulattiere Ramiro tutto muscoli) è un baritono leggero; Giovanni Battista Parodi (L’infermiere e il banchiere Don Inigo Gomez che entra spargendo banconote) possiede una bella voce di basso, corposa ed estesa; il francese Thomas Morris (Il saggio e l’orologiaio Torquemada) è un tenore che usa anche il falsetto; Cristiane Hunger è la cameriera e Gilda Bartoccetti la zia Emma che non canta. A preparare e a dirigere l’Orchestra Filarmonica Marchigiana per queste opere “nuove” viene sempre chiamato ad Ancona il M° Bruno Bartoletti, sempre aperto alle novità nonostante i suoi 84 anni, che coglie la tinta delle partiture e non invade mai il palcoscenico con sonorità debordanti.

lunedì 25 gennaio 2010

Idomeneo - Teatro Regio de Torino

Fotos: Matthew Polenzani (Idomeneo), Ruxandra Donose (Idamente), Eva Mei (Elettra). Ramella & Giannese © Fondazione Teatro Regio di Torino.

Massimo Viazzo

Per Davide Livermore, il regista di questa nuova produzione di Idomeneo andata in scena al Teatro Regio di Torino, la nota frase della Genesi “e Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza” deve essere ribaltata completamente, capovolta, invertendo soggetto e complemento oggetto. Sì! E’ l’ “uomo” il vero protagonista di questa produzione, con tutte le sua paure, le sue ansie, le inquietudini, ma anche le convenzioni, i patti, le leggi da lui stesso create per soverchiare, per decretare, per comandare, e che in realtà lo vincolano e lo soffocano (un Idomeneo che potrebbe essere addirittura accostato al Wotan della Walküre!). La morale è che solo guardando nell’intimità più segreta, distruggendo questo mondo parallelo generato per atto di autoritarismo, sarà possibile vivere liberi, finalmente, la propria esistenza al di là di ogni ipocrisia. Alla fine del terzo atto, infatti, la Voce comunica le sue decisioni attraverso la bocca di Idomeneo illuminata da una luce accecante (perché non può essere che Idomeneo a dichiarare la sentenza definitiva) e dopo l’ultima Aria di Elettra è proprio il re di Creta a distruggere il mondo fittizio da lui stesso creato con un energico fendente. Livermore parrebbe, forse, affrancare l’opera dalla specifica poetica settecentesca (ma l’Illuminismo stava già tagliando le sue teste), restituendocela più moderna, più immediata, più figlia del nostro tempo. in una parola più psicologicamente umana. Purtroppo ad una lettura registica così interessante ed intelligente ha corrisposto una realizzazione musicale solo in parte adeguata.
Il cast non ha demeritato dal punto di vista strettamente vocale, ma teatralmente i solisti sono parsi un po’ sbiaditi e poco carismatici. Certo, Eva Mei (Elettra) ha riscosso un mare di applausi dopo le sue due Arie pirotecniche e anche Matthew Polenzani (Idomeneo), che ha cantato la versione più lunga e faticosa di “Fuor del mar”, ha mostrato sicurezza e un certo piglio, mentre l’Idamante di Ruxandra Donose è parso solo corretto e Annick Massis (Ilia), invece, ha mostrato qualche difficoltà nella ricerca della linea migliore, ma in generale sono mancate le intenzioni che potessero giustificare appieno i movimenti scenici. Molto deludente la prova di Tomas Netopil alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio, che ha concertato con poca tensione, scarsa energia ritmica, stendendo sul capolavoro mozartiano un triste velo di monotonia.

venerdì 22 gennaio 2010

RECITAL del mezzosoprano ELENA OBRAZTSOVA

FANO TEATRO DELLA FORTUNA 20 gen. 2010
RECITAL del mezzosoprano ELENA OBRAZTSOVA

Foto: Torreliana 2010 - Obraztsova. Teatro della Fortuna, Fano.

Più che la sostanza poté la forma
di Giosetta Guerra

Introdotta al pubblico dal Sovrintendente Simone Brunetti, coadiuvato da una traduttrice russa per il pubblico straniero in teatro, ELENA OBRAZTSOVA si presenta in sala con una splendida mise nera, accompagnata dal pianista Giulio Zappa. Ci viene annunciato che il mezzosoprano russo, nonostante una forte tracheo-bronchite, contratta nel suo recente peregrinare per teatri, canterà lo stesso. Ahi!
Il programma viene ovviamente privato delle arie più famose della Carmen e del Sansone e Dalila e si snocciola in un susseguirsi di brevi pagine poco note di Vivaldi, Hahan, Poulenc, Satie, romanze russe, cui si aggiungono due arie conosciute da Werther di Massenet e da La dama di picche di Ciakovskij e tre bis (La vucchella, l’aria dell’ubriaca dalla Périchole e la musicalissima canzone a tempo di walzer lento Im Chambre separée dall’operetta fine ottocento Der Opernball di Richard Heuberger).
Artista d’alto rango, la Obraztsova, originaria di San Pietroburgo, dove attualmente tiene una scuola di canto lirico, ha riscosso plateali consensi nei principali teatri del mondo dopo il suo debutto al Bolscioj nel 1963, ha cantato con i più noti direttori accanto ai più famosi artisti lirici e l’impronta della sua arte resterà indelebile nei secoli. Purtroppo il tempo fa il suo spietato percorso e, se non cambia il carattere, che nel caso della Obraztsova mantiene la comunicativa e la determinazione, lede a poco a poco le peculiarità vocali di un cantante, intaccando la fermezza e la brillantezza del suono, l’omogeneità dell’emissione, la tenuta dei fiati, lo smalto e la potenza della voce.
La Obraztsova canta ancora, grazie soprattutto alla sua tecnica consolidata, e si sente la sua classe, ma non inonda più le platee col fiume della sua voce, risolve tutto con le mezze voci, i filatini e qualche falsetto nel passaggio di registro, mentre i gravi risultano pieni ma poco musicali. L’interpretazione resta sempre quella di una grande artista.
Sarebbe stato meglio presentare alcuni allievi della sua scuola e far cantare al mezzosoprano alcune arie come una chicca della serata. Sarebbe stato più gratificante per tutti.
E poi questa platea rialzata, con l’artista quasi tra le braccia della gente, dà un’atmosfera più salottiera, ma meno importante.
Torreliana 2010 - Obraztsova. Teatro della Fortuna, Fano.

lunedì 18 gennaio 2010

Stefano Bollani piano solo - Teatro della Fortuna, Fano

Più che la forma potè la sostanza.

Fano, Teatro della Fortuna: apertura di stagione nel segno della creatività.
Stefano Bollani piano solo

Di Giosetta Guerra

Informale, abbigliamento casual, spettinato, inizialmente schivo, si siede al pianoforte ed inizia il suo dialogo con lo strumento intrecciando medley che spaziano dagli standard jazz ai Beatles fino alla musica sudamericana, ed è proprio con un omaggio a Jobin, dove spiccano le note del tema di “One note samba”, che inizia il concerto.
È Stefano Bollani, il pianista milanese di formazione classica dotato di stupefacente capacità d’invenzione e d’improvvisazione, conosciuto ed acclamato da platee di giovani e non ed insignito di premi al merito in varie parti del mondo.
Non c’è una scaletta prestabilita nelle sue serate, c’è il suo ego e c’è il suo alter ego che è il pianoforte e la sintonia che si instaura tra i due è veramente grande fino a diventare simbiosi.
La musica che Bollani sente ed elabora necessita di più vie d’uscita e, se il flusso sonoro
si espande attraverso il tocco delle dita e perfino delle mani sulla tastiera, il tumulto della musica si esprime attraverso l’ipercinesia del corpo e delle gambe che non trovano una posizione statica, dei piedi che battono il tempo, del capo che sembra volersi scontrare materialmente col pianoforte.
Il pianista alterna temi caldi e melodiosi a brani vigorosi, alcuni talmente vigorosi da rasentare il rumore, seguendo la struttura classica tema-improvvisazione-tema, la rielaborazione è talmente personale che ne esce un brano nuovo, in cui si fa fatica a riconoscere l’originale.
Del resto il jazz è un incontro di molte musiche, di molte razze che continuano a mischiarsi,
e con Bollani l’espressione musicale diventa effervescenza.
Ma c’è anche un secondo ego, quello che vuol fare il cantante e Bollani dà anche a lui la possibilità di esprimersi, prima in modo delicato e sommesso, poi prediligendo l’imitazione in versione umoristica.
Una serata effervescente, tanto per restare in tema.

Foto: Amati Bacciardi



Stagione lirico-concertistica del Teatro La Fortuna, Fano

Fiorenza Cedolins


Giosetta Guerra


Fano - Stagione lirico-concertistica del Teatro La Fortuna
Lunedì 11 gennaio 2010 alle ore 11.30, nella Sala della Concordia del Comune di Fano, è stato fatto uno duplice annuncio al pubblico e ai giornalisti presenti: la presentazione del nuovo Direttore Artistico, che porta il nome del noto soprano Fiorenza Cedolins, e il calendario della stagione lirico-concertistica 2010.
È un onore per la nostra zona avere un direttore artistico di tale portata, ha detto il Presidente della Fondazione Simone Brunetti, ed è una certezza di qualità, aggiunge la sottoscritta, perché è necessario che sia la competenza a guidare le scelte in qualsiasi settore.
La Signora Cedolins ha esternato le sue idee, che mirano a valorizzare le risorse del territorio e ad aprire nel contempo le porte a coproduzioni con teatri stranieri, quali Spalato e Bilbao, che presentano realtà logistiche simili a quelle di Fano e che il soprano conosce bene per averci lavorato a lungo e con professionalità, senza cancellare l’opera di punta prodotta dai laboratori del Teatro della Fortuna. Punterà sui giovani, per i quali istituirà corsi di formazione, inizierà una collaborazione col Concorso Tebaldi di San Marino da cui attingere artisti preparati, cercherà di riattivare il magnifico spazio della Corte Malatestiana e stimolerà la partecipazione all’opera delle scuole con incontri conoscitivi e preparatori all’ascolto. Noi apprezziamo questo progetto, ma ci auguriamo anche di avere l’opportunità di ascoltare, oltre ai giovani, il grande soprano, che, viste le sue note doti vocali, non ci può privare di questo piacere; il suo incarico di Direttore Artistico non contrasta affatto con la possibilità di impreziosire la stagione lirica di Fano con una sua performance operistica. Pier Luigi Pizzi docet (lui è direttore artistico e regista dello Sferisterio di Macerata e nessuno si è lamentato, anzi). Non dimentichiamo che una stagione incentrata esclusivamente su nuove leve non è di forte richiamo per i melomani forestieri.
Il programma si svolgerà nella stagione di carnevale, ma noi attendiamo anche il ripristino della stagione estiva alla Corte, che, secondo la Cedolins, dovrebbe rivisitare il grande repertorio, per la gioia di residenti e turisti.
Ecco il calendario:
13 gennaio ore 21.15 - Stefano Bollani, piano solo. Acclamato pianista di ambito Jazz, interpreterà alcuni temi di matrice carioca che introdurranno il pubblico nell'atmosfera carnascialesca della rassegna.
20 gennaio ore 21.15 – Recital del mezzosoprano Elena Obraztsova, una delle più grandi stelle mondiali della tradizione operistica, che, accompagnata al piano da Giulio Zappa, presenterà brani di Hahn, Poulenc, Satie, Massenet, Chaikovskij, Saint-Saëns, Bizet, Offenbach e della tradizione cameristica russa.
23 gennaio ore 21.15 - Recital pianistico di Pietro De Maria con musiche di Chopin (2 Notturni op. 27, la Sonata in si bemolle minore op. 35, e 4 Ballate).
30 gennaio ore 21.15 – Enrico Pieranunzi improvvisa Scarlatti.
4 febbraio ore 21.15 - opera buffa Il campanello di Donizetti, con Roberto De Candia, Alfonso Antoniozzi, Sefania Donzelli, Elena Bresciani, regia di Mauro Avogadro, direzione orchestrale di Matteo Beltrami. In questa versione fanese si recuperano i dialoghi parlati in dialetto napoletano presenti nella prima stesura dell'opera che debuttò a Napoli il 1° giugno 1836; l'anno dopo l'autore trasformò i dialoghi in recitativi e tradusse tutto in italiano per favorire la diffusione del lavoro.
6 febbraio ore 20.30 – Replica de Il campanello, segue Ballo mascherato, Buffet e Dj.
13 febbraio ore 20.30 - in piena settimana grassa, tradizionale Gran Veglione di Carnevale
16 febbraio ore 15.30 - martedì grasso dei bambini, La Storia di Babar l'elefantino di Francis Poulenc, con Noris Borgogelli alla guida dei Solisti dell'Orchestra Sinfonica Rossini.
27 febbraio ore 21.15 - Enrico Dindo, violoncellista e direttore dei Solisti di Pavia (musiche di Bridge, Piazzolla e Britten).
14 marzo ore 18.00 - Premio Antonio Bigonzi alla violonista Mihaela Costea (Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, Requiem di Fauré). Dirige l'Orchestra Sinfonica Rossini Vito Clemente, maestro del coro del Teatro della Fortuna Angelo Biancamano.
16 aprile ore 21.15 – Casanova, spettacolo di danza di Aterballetto con le coreografie di Eugenio Scigliano.

mercoledì 6 gennaio 2010

Il Barbiere di Siviglia di Rossini - Teatro Pergolesi, Jesi





Foto: Teatro Pergolesi, Jesi

Jesi - Teatro Pergolesi: Il Barbiere di Siviglia di Rossini con pochi elementi e molte idee, rappresentato come una divertente favola fantasiosa.
Di Giosetta Guerra

Ero curiosa di vedere un’altra creazione del trentenne regista veneziano Damiano Michieletto, dopo la fantasiosa Gazza ladra e la splendida Scala di seta viste a Pesaro. Per Il Barbiere di Siviglia la regia e le scene, che Michieletto aveva firmato per il Maggio Musicale Fiorentino quattro anni fa, sono qui riprese dal trentaduenne Matteo Mazzoni, il regista jesino che il 4 gennaio 2010 ha riprodotto la casa di Pergolesi nel trecentesimo del suo genetliaco. Poco spreco di materiale e molte idee.L’azione inizia con la simulazione di un treno che arriva da Siviglia e di tutto ciò che accade in una stazione, rumori e annuncio compresi, i movimenti e la deambulazione dei passeggeri seguono il ritmo della musica, non mancano le gags dei bagagli che si aprono spargendo intorno il contenuto e dei passeggeri che corrono tra i lampi aggrappati a dei parapioggia di vari colori. Bello l’effetto, ma non sulla Sinfonia, vi prego. Tutti i brani strumentali, purtroppo, come l’introduzione alle arie, sono animati e tutto il ritmo della musica rossiniana viene mimato. Questo non va bene. Alcuni ingressi avvengono dalla platea. Durante il temporale molti corrono attraverso la platea con pile accese e ombrelli. Nel duetto All’idea di quel metallo due figuranti disegnano la bottega di Figaro con bombolette spray su un telo giallo. Bell’idea!
Alla fine dell’opera se ne ripartono tutti col treno.
I pochissimi e semplicissimi elementi scenografici (sedie rosse, ombrelli colorati, enormi palloni, cuscini e una scala blu a libro, quella che serve per la fuga finale dei due innamorati, ma che funge anche da balcone nel primo atto), opportunamente gestiti dalla fantasia del regista, sono sufficienti a simulare gli ambienti e a far risparmiare le casse del teatro. Onore al merito. Ottime le luci di Alessandro Carletti, che valorizzano questo gioco fantasioso di colori e d’azione.
La gestualità è forte, caricaturale ma non caricata.
I personaggi, truccati come animali che rispecchiano i loro caratteri, sono vestiti dalla brava Carla Teti. Figaro, bardato da pagliaccio con parrucca cornuta, sembra il grillo parlante o una volpe, Basilio è un orripilante ramarro con lunga coda e tuba in testa, tutto verde anche in viso. Bartolo è un bulldog, un temibile cane da guardia. La “Forza” è composta di poliziotti con in viso la maschera di Paperino e in mano colorate pistole ad acqua, i loro movimenti scenici sono accompagnati da tanti palloni bianchi. Tutti calzano scarpe rosse.

Soddisfacente il cast vocale, formato prevalentemente di giovani cantanti provenienti dall’Accademia Rossiniana 2009 di Pesaro e dalla Scuola dell’Opera Italiana di Bologna che si destreggiano bene anche sul piano scenico.
Il Conte D'Almaviva è interpretato dal giovanissimo tenore siciliano Enea Scala con timbro vocale chiaro alla Florez (gli somiglia anche fisicamente), suono pulito, slancio negli acuti, ma con qualche lieve ingolatura e nasalità nelle agilità (Ecco ridente in cielo, cantata in cima ad una scala, indossando un abito maschile con gilè di raso rosso scuro e ombrello in testa); il tenore canta bene, riesce ad ammorbidire i suoni e sarà un vero belcantista quando con l’esperienza acquisirà maggior fluidità e naturalezza d’emissione.
Come Alonso, maestro di musica, indossa una redingote bianca e una parrucca con corna e una cetra al centro.
Nel finale, nel proclamare la sua identità “Almaviva son io”, doveva mettere più passione.
Bartolo è un “panzone” pelato vestito di bianco e fuma il sigaro. Bravissimo il baritono romano Roberto Abbondanza che ha fisico e timbro vocale alla Praticò, il gesto è caricaturale ma non caricato, la voce possente è usata nelle giuste dinamiche, il sillabato è ben fatto (A un dottor).
Rosina, tutta rossa dalla testa ai piedi, entra dal fondo della platea pavoneggiandosi. Il soprano moscovita ventiquattrenne Victoria Zaytseva ha un bel colore vocale denso ma costruito, ha voce lanciata e scintillante in acuto, flessibile nella coloratura, ma manca di spessore nei gravi, eccede nell’accentare e la dizione è incomprensibile nei recitativi. Deve mettere a posto la tecnica di canto (Dunque son io la fortunata) e affinare l’interpretazione (Oh che colpo inaspettato).
Figaro lo interpreta il baritono chiaro Marcello Rosiello, che ha voce acuta, lanciata, sonora, imponente, estesissima, ma poco incline alle agilità che sono un po’ scivolate (All’idea di quel metallo).
Basilio Alexey Yakimov (basso ventiquattrenne di Mosca) ha una buona voce, importante anche nei gravi, ma le agilità della calunnia (disturbata dai mimi e da sacchi neri volanti) sono “abbaiate”, perché i tempi non sono corretti e c’è uno scollamento tra canto e suono orchestrale.


Come Berta, la pugliese Anna Maria Sarra, un bel soprano pulito, leggero, brillante di soli 21 anni, emerge nell’esilarante concertato del finale dell’atto primo. Vestita di nero con crestina e grembiulino bianchi, canta “Il vecchiotto cerca moglie” mentre stira col ferro a vapore vero e in preda a bollori erotici. Mattia Olivieri (baritono venticinquenne di Sassuolo) ha una bella voce sonora, possente ed estesa nel duplice ruolo di Fiorello e di un ufficiale. Alla guida della FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana il giovane direttore milanese Giampaolo Maria Bisanti, restituisce la leggerezza e il ritmo serrato della partitura rossiniana, trascinando e coinvolgendo il pubblico in un’esilarante euforia sonora. Molto bravo. Ruolo importante, peraltro ben sostenuto sia scenicamente che vocalmente, quello del Coro Lirico Marchigiano, preparato da David Crescenzi. Il pubblico si è divertito ed ha apprezzato il lavoro degli artisti.