domenica 29 dicembre 2013

Fano prosa: BOEING BOEING



Fano Teatro Fortuna

BOEING BOEING

commedia in due atti di Marc Camoletti

21, 22  dicembre 2013

 Vista da Giosetta Guerra


Un uomo che si destreggia con disinvoltura tra tre femmine, giovani, belle, disinibite, è il sogno proibito di ogni maschietto, che Bernardo, un architetto italiano di successo trapiantato a Parigi, è riuscito a realizzare, grazie al lavoro delle tre donne e alla complicità di una servante arguta e discreta.
Le tre fidanzate straniere, l’americana Gloria, la spagnola Gabriela e la tedesca Greta, sono hostess di tre compagnie aeree con orari di lavoro diversi. Bernardo tiene puntigliosamente e con successo il calendario dei loro voli, in modo che le tre donne non si incontrino mai. E lo spiega con orgoglio a Roberto, un suo vecchio compagno di scuola piuttosto imbranato, arrivato inaspettatamente dall’Italia.
Ma……..non tutte le ciambelle vengon col buco…..o……tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino……., perché la perfezione di questo calendario romantico viene intaccata dalla tecnologia moderna: un jet Boeing nuovo di zecca, più veloce e tecnologico, accorcia i tempi di lavoro alle tre hostess, che possono tornare più spesso e alla fine si ritrovano tutte e tre insieme nello stesso momento nella casa del loro amante a Parigi.  
I piani sono totalmente stravolti e Bernardo va sul pallone.
Inizia quindi un rocambolesco susseguirsi di situazioni imbarazzanti ed esilaranti, in parte districate dall’abilità della furba domestica, nelle quali viene coinvolto anche l’ospite italiano, prima imbarazzato ma poi per niente contrariato dalle attenzioni delle donne, lui che di donne era proprio digiuno.  
In assenza di Bernardo, Roberto è preso d’assalto dalla focosa hostess americana che vuol perfezionare la tecnica del bacio, poi è preso di mira dall’autoritaria hostess tedesca che vede in lui l’uomo della sua vita. Il balletto delle porte, che vengono aperte e chiuse con ritmo insistente dai protagonisti per comparire e scomparire al momento opportuno, acuisce la frenesia e la suspense.
Materiale bollente per una commedia scoppiettante, che ha trionfato a Londra e a Broadway, ora riproposta dopo 40 anni nella stessa edizione anche in Italia dall'Associazione Culturale Artù in coproduzione con Ente Teatro Cronaca diretta da Mico Galdieri, in accordo con la Sonia Friedman Ltd.
Materiale stimolante per il regista Mark Schneider, che si è avvalso dell’altissimo livello del cast per allestire uno spettacolo esilarante dal ritmo serrato e trascinante senza un minimo arresto o una sbavatura, con una comicità sottile e perspicace mai banale o plateale e con punte esplosive da Boeing Boeing. La professionalità e la bravura degli attori conferiscono una naturalezza quasi istintiva ad ogni frase, ogni gesto, ogni movimento, ogni espressione, ogni atteggiamento.
L’irresistibile mimica e gestualità di Gianluca Ramazzotti nel ruolo del flemmatico, spaesato, confusionario e represso Roberto, la signorile spavalderia di Gianluca Guidi in quello dello spregiudicato viveur Bernardo, la vivace arguzia di Ariella Reggio nelle vesti di un’irresistibile Berta, la governante brontolona e insinuante ma con stile (più volte ha scatenato le nostre risate), 
 
la bellezza e la tenuta scenica delle tre hostess che parlano italiano con inflessioni della loro lingua madre,  

 Barbara Snellenburg l’affascinante americana Gloria,  
 
















Marjo Baratasegui l'ipercinetica spagnola Gabriela,  



 




 

Sonja Bader la rigorosa tedesca Greta

creano uno spettacolo di incontenibile comicità e di grande eleganza. 
  
 
La scenografia (un signorile interno bianco con pochi arredi) e gli eleganti costumi (nella norma quelli maschili e quelli della domestica, colorati i tailleurs delle hostess, bianchi e trasparenti i completi da notte), tutto in stile anni ’60, sono opera di  Rob Howell, le luci di Stefano Lattavo lasciavano troppo in ombra i visi degli attori ("Non c’è stato tempo di perfezionarle" mi è stato detto) e io ero in prima fila……..,da dove son dovuta però scappare a causa di uno spiffero d’aria che mi congelava la testa (l’uomo accanto a me si è messo un berretto di lana). 
Uno spettacolo da vedere che sta facendo il giro della penisola.










 

 
 
 



martedì 17 dicembre 2013

Cagli L'opera da tre soldi



TEATRO COMUNALE di CAGLI (PU)

L’Opera da tre soldi  
(Die Dreigroschenoper)

Commedia musicale in un prologo e tre atti
musiche Kurt Weill - libretto Bertolt Brecht
traduzione e versione ritmica del testo Giorgio Strehler

(Sabato 7 dicembre 2013)
 
Servizio di Giosetta Guerra

L'opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper), opera teatrale scritta da Bertolt Brecht, rielaborata dal Beggar’s Opera (Opera del mendicante) di John Gay, musicata da Kurt Weill e andata in scena per la prima volta nel 1928, è ambientata nella Londra vittoriana e pone rilevanti questioni politiche e sociali con intento provocatorio nei riguardi del pubblico borghese, descrivendo l’ambiente della malavita, dove il crimine non è elemento discriminante e il cinismo regola la quotidianità.
In Italia ha avuto diverse edizioni, ma rimane un punto di riferimento quella di Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano con Tedeschi, Modugno e Milva, della quale ricordiamo la provocante interpretazione della ballata di Mackie Messer, Die Moritat von Mackie Messer, tema iniziale dell’opera.
Il protagonista è il noto criminale Macheath, detto Mackie Messer, che sposa Polly Peachum. Il padre di Polly, Gionata Geremia Peachum, che controlla i mendicanti di Londra, disapprova la scelta e tenta di far arrestare e impiccare Mackie, che però è protetto dal capo della polizia Tiger Brown, suo amico di gioventù. Alla fine comunque Gionata  riesce a farlo condannare all'impiccagione, ma poco prima dell'esecuzione, Brecht fa apparire un messaggero a cavallo mandato dalla Regina che grazia Mackie e gli conferisce addirittura il titolo di baronetto.
Lo spettacolo alterna prosa, musica e canto, attingendo all’opera lirica, al cabaret e al jazz.
Non è facile far seguire le contorte vicende di quest’opera, senza il supporto di scene e sovratitoli, ma gli allievi del Conservatorio Rossini di Pesaro ci hanno provato, accontentandosi della forma semiscenica, con l’orchestra in palcoscenico e i cantanti seduti davanti, ma liberi di muoversi sul boccascena e in platea e, direi, con un buon risultato.
Apre la scena il narratore ufficiale che è anche un cantastorie di strada, il quale, dopo aver annunciato “Questa sera vedrete un’opera pezzente”,  canta la ballata di Mackie Messer (Die Moritat von Mackie Messer);  sostiene bene il ruolo il baritono Giovanni Ribuoli, vestito appunto da pezzente, quasi sempre presente in scena o in platea come figura incombente che parla anche nelle orecchie della gente, spingendo un carrello del supermercato pieno di cianfrusaglie.
Nelle vesti di Gionata Geremia Peachum il baritono chiaro Hyunseok Park ha una bella proiezione del suono e dizione poco chiara.
La Sig.ra Clelia Peachum, sua moglie, è Sonia Sheridan, un mezzosoprano chiaro dalla voce piccola e dizione incomprensibile, scenicamente sfrutta la sua avvenenza con pose provocanti nella Ballade von der sexuellen Hörigkeit (Ballata della schiavitù sessuale).
Polly Peachum, sua figlia e nuova sposa di Mackie, è Samanta Pagnini, un sopranino acuto dall’accento chiaro ed incisivo, con lo sposo canta una bella  Canzone d'amore (Liebeslied).
Macheath, detto Mackie Messer, è il tenore Luca Narcisi, che ha un mezzo vocale robusto ma non impostato; Brown, capo della polizia di Londra, è Kato Fumijuki, baritono con vocalità piena ed emissione poco fluida; il loro duetto iniziale per ricordare i vecchi tempi, Kanonen-Song (Canzone dei cannoni), è sottolineato da una musica ritmata e ripetitiva. Ripetitività ossessiva e agitazione in orchestra anche nei dialoghi tra i coniugi Peachum.
Il Coro posizionato all’inizio sul loggione canta a cappella in onore degli sposi, che, introdotti da una dolce pagina orchestrale, duettano a tempo di valzer inglese: Luca Narcisi produce suoni acuti puliti e sicuri, accompagnato dal pianoforte solo; alla fine il coro scende e si posiziona intorno alla platea per introdurre col canto su musica agitata il messo che porta la grazia accompagnato da musica imponente. Maestro del coro Aldo Cicconofri.
La musica densa e sensuale del tango introduce Jenny, una prostituta che ha avuto una relazione con Mackie e, sentendosi ingannata,  lo consegna alla polizia; il mezzosoprano Ekaterine Mazmishvili la presenta in modo piuttosto sguaiato.
Lucy Brown, figlia del poliziotto e altra moglie di Mackie, è Gabriella Catapano, un sopranino puntuto, che nel Duetto della gelosia (Eifersuchtsduett) sfoga la sua rabbia contro la nuova sposa con gesti strani e suoni staccati sostenuti dal pianoforte.
L’opera è un insieme di canzoni, ballate, arie e marce e le voci sono amplificate. 
Maestro Concertatore e Direttore dell’Orchestra del Conservatorio "G. Rossini" è Jacopo Rivani, la regia di Andrea  Maria  Mazza, i costumi di Agnese Rabatti e Giulia Giannino, supervisore costumi  Paola Mariani,
l’audio e il suono Swansound di Enzo Geminiani. Progetto e organizzazione  Giovanna Franzoni, Paolo Vignani.
Anche se le voci sono in fase di formazione e quindi con vari obiettivi da raggiungere, va lodato il lavoro di questi giovani artisti per il loro debutto  fuori Conservatorio.


Orchestra del Conservatorio “G. Rossini”
Flauto -Ottavino Cristina Cenci
Sassofoni - Valentina Darpetti, Ruggiero Leone, Leonardo Rosselli
Clarinetti – Myrto Frenkli, Carlos Villanueva
Fagotto - Simone Ruggeri
Trombe – Andrea Magrini, Francesco Sanchini
Trombone - Maurizio Bocchini
Percussioni – Stefano Guiducci , Enea Guerra
Chitarra - Irene Placci, Valentina Benvenuti, Gabriele Orso
Banjo - Marco Sanguigni
Armonio - Elena Gentiletti Drago
Fisarmonica - Raffaele Damen
Pianoforte - Andrea Alessandrini, Tamar Giguashvili
Violoncello – Manuela Pompizii
Contrabbasso – Matteo Panni

Coro del Conservatorio “G. Rossini”
Annalisa Cancellieri, Sheyla Companioni Leiva, Antonia Di Capua, Maria Luce Gamboni, Anita Genga, Isabella Orazietti, Francesca Rosa, Maria Sassi, Jiwon Shim, Mariam Zurabishvili, Tommaso Baldassarri, Andrea Di Marzio, Luca Gasperini, Matteo Goffi, Xiongfei Guo, Federico Raffaelli, Luca Romanelli,Michele Spinazza


mercoledì 11 dicembre 2013

VE La Fenice-L'Africaine



Venezia Teatro La Fenice
Stagione 2013-14

Opera inaugurale
“L’AFRICAINE” di Meyerbeer
Nuovo allestimento per il 150° anniversario della morte del compositore

(recita dell’1 dicembre 2013)

Servizio di Giosetta Guerra

Concretezza ed esotismo in scene di massa da grand-opéra e quadri poetici d’intimità e di solitudine. Cast di ottimo livello.

 
L’Africaine, grand-opéra in cinque atti con libretto di Eugène Scribe e musica di Giacomo Meyerbeer, debuttò nel 1865 all’Opéra di Parigi, dopo la morte del compositore.
Per l’allestimento veneziano in lingua originale di quest’opera che, nonostante il titolo, si svolge in Portogallo, in mare aperto e in India, il regista Leo Muscato e lo scenografo Massimo Checchetto creano sia ambienti realistici che ambientazioni di fantasia, arricchiti dai bellissimi costumi di Carlos Tieppo e completati dalle suggestive luci di Alessandro Verazzi (che usa anche l’occhio di bue puntato sui protagonisti) e dai video di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii proiettati all’inizio di ogni atto per ripercorrere la storia del colonialismo e delle scoperte fino allo sbarco sulla luna.
L’aspetto visivo è molto affascinante e accattivante, il lavoro d’équipe ha curato quasi tutti i dettagli. All’inizio il planisferio dei navigatori mostra il viaggio di Vasco de Gama (meglio Dom Vasco da Gama), protagonista maschile, noto navigatore ed esploratore portoghese, primo europeo a raggiungere l’India doppiando Capo di Buona Speranza, poi la scena si apre sulla maestosa sala del Consiglio reale del Portogallo; nel secondo atto troviamo una vera prigione con inferriate a scacchi dove si trova Vasco prima addormentato poi vagheggiante insieme a numerosi prigionieri; nel terzo è perfetta la ricostruzione della nave di don Pedro su due piani con scale in legno e in corda, sartie, cordame vario e tutto l’equipaggio al suo posto impegnato anche a fronteggiare l’assalto del nemico durante l’uragano, bellissima la scena d’azione dell’attacco degli indiani guidati da Nélusko che faceva il doppio gioco; nel quarto una poetica pioggia di petali rosa crea l’esotismo dell’isola di Paradiso che accoglie Vasco (adoro la pioggia di fiori, la faccio sempre nel momento clou del Premio Tiberini) e una fantasmagoria di luci e di colori accompagna l’ingresso della regina Sélika con un abito strabiliante  e del suo seguito con splendidi costumi indiani; nel quinto atto un romantico e crepuscolare angolo vicino al mare azzurro increspato, con una passerella traballante da un lato e la chioma verde che si punteggia di rosso del manzaniglio dall’altro, accoglie l’ultimo respiro di Sélika, avvelenata dal profumo venefico dei fiori di quell’albero.
Certo le luci hanno un ruolo molto importante e completano la cura certosina del regista che ha guidato ogni gesto, ogni movimento, ogni figura, ogni espressione dei personaggi e il magnifico lavoro dello scenografo e del costumista. Artistica la distribuzione delle masse e attiva la loro presenza.
Ma allora perché prima ho scritto “quasi”? Perché in un allestimento così d’effetto le danze dovevano avere maggior rilievo, inoltre non amo essere distolta dall’ascolto per decifrare il significato delle immagini proiettate durante l’Ouverture e gli entr’acts, che hanno una musica di grande bellezza. Anche se queste immagini sono una denuncia al colonialismo, allo sfruttamento dei neri, agli interessi delle multinazionali, sinceramente possiamo farne a meno, ci basta la mannaia che Scribe abbatte sull’inquisizione, autrice di efferati delitti in nome di Dio.
Gli artisti sono tutti bravi cantanti, bravi interpreti e bravi attori.
La voce melodiosa di Jessica Pratt si addice al carattere romantico e sognante di Inès, innamorata di Vasco e figlia di don Diego che l’ha promessa in sposa a don Pédro, il profilo frastagliato della linea vocale del personaggio è adatto alle sue doti di soprano lirico-leggero d’agilità.
Nel dialogo iniziale con Anna, il soprano trasmette l’accorato lirismo della Romance “Adieu rive du Tage” con una morbida linea di canto intessuta di suoni a fior di labbra che con la tecnica della messa di voce si espandono in acuti sfavillanti e tenuti o si sciolgono in struggenti filati arricchiti di trilli e di gorgheggi.
Nel canto disperato di Inès che restituisce a Vasco la libertà, sottolineato dalle note del corno, alla fine del secondo atto, gli acuti della Pratt emergono su un insieme di sette voci in una scena estatica e fissa con luci bianche.  L’armoniosità della sua voce inonda poi la platea, dove Inès compare nel quarto atto per cantare la canzone di Vasco durante le danze delle nozze di lui con la regina. 
Peccato che si stata tagliato il suo duetto con Sélika del quinto atto.                                                                                                         
Il mezzosoprano chiaro Veronica Simeoni presenta Sélika, regina indiana resa schiava da Vasco, con canto delicato, emissione corretta e buoni slanci acuti.
Nella tetra galera del secondo atto la voce è intensa e la pronuncia francese è buona (“Toujours son sommeil agité”); il suono è fresco, pieno, rotondo e morbido nell’aria del sonno (air du sommeil “Sur mes jenoux”), dove la cantante passa agevolmente da un registro all’altro, perché ha il controllo del fiato. Canta molto bene. Di grande impatto visivo ed emotivo è la scena finale della morte che la regina si dà col veleno dei fiori del manzaniglio. Tutti i suoni sono rotondi, calibrati e ben proiettati, la linea di canto denota una bella gestione del mezzo vocale e l’interpretazione carica di pathos comunica la rassegnata disperazione della regina. Meravigliosi i suoi abiti regali.
Gregory Kunde, fantastico nel ruolo del bell’ufficiale di marina Vasco de Gama, s’impone fin dal suo ingresso (“J’ai vu, nobles seigneurs”) per la bellezza del timbro, la robustezza del suono e la sicurezza dello squillo, vocalmente e scenicamente imponente sfoga l’indignazione contro gli inquisitori (“Insensés!...dites-vous. C’est ainsi que naguère”) con fiati lunghissimi e acuti che emergono sul coro e sulle alte sonorità dell’orchestra. L’arrivo sulla nave di Pedro è caratterizzato da un canto lanciato con acuti pieni e scolpiti, slanci acuti e acutissimi; nella notissima aria “Ô Paradis” la voce, gestita sulla tessitura acuta con estatiche sfumature, è straordinaria e densa di lirismo; nel canto d’amore per la sposa nel quarto atto il suono è squillante e sostenuto e questa voce possente e brunita, grazie ad un’emissione morbida e all’uso della messa di voce, snocciola fantastici sovracuti.
Nei dialoghi tra Vasco e Sélika le due voci si accomunano per spessore e bel modo di porgere.
Luca Dall’Amico (Don Pédro presidente del Consiglio del re del Portogallo), oltre ad un’imponente presenza scenica, possiede una bellissima voce di basso, ampia, ferma e corposa, con suoni gravi tenuti e bel modo di porgere.
Davide Ruberti (l’ammiraglio Don Diego) ha voce di basso autorevole ed ampia ma poco ferma.
Mattia Denti nelle bianche vesti del Grand inquisiteur de Lisbonne ha un bel colore vocale e un buon sostegno del fiato.
Il basso Ruben Amoretti nei panni del grand-prêtre de Brahma ha buone sonorità.
In un’opera che dà largo spazio alle voci scure il ruolo predominante di Nélusko  richiede una vocalità rigogliosa e sonora, il baritono Angelo Veccia, bravissimo interprete e attore versatile, canta bene, ma la voce, seppur ampia e sostenuta, è impastata e il suono è opaco.
Don Alvar è appannaggio del tenore leggero acuto Emanuele Giannino e Anna dama di Inès è interpretata da Anna Bordignon.
Completano il cast Giovanni Deriu (un usciere), Carlo Agostini (un marinaio), Dionigi D’Ostuni (un marinaio di vedetta), Cosimo D’Adamo (un sacerdote).
Il coro, preparato molto bene da Claudio Marino Moretti, tiene alto il prestigio del teatro:  magnifiche le sonorità della sezione maschile nella preghiera dei vescovi del Consiglio dell’inquisizione (preghiere poco ascoltate se si pensa ai soprusi dell’inquisizione); pastosità del suono e morbidezza del canto nel choeur des matelots dalle tinte ecclesiastiche all’inizio del secondo atto, “Ô grand saint Dominique”,  un’accorata preghiera a San Domenico, primo inquisitore della storia (e ce l’han fatto anche santo…), introdotta da un rullar di tamburi e da cupi rintocchi di campana, cui fa seguito un delicato coro femminile fuori campo sul quale emerge la voce sublime della Pratt.

La partitura, ultimata l’1 maggio 1864, il giorno prima della morte del compositore e
revisionata dal musicologo belga François-Joseph Fétis, è ricca di bella musica, che annuncia o descrive atmosfere, colore locale e immagini poetiche con una finissima filigrana orchestrale e lascia spesso scoperte le voci solistiche dei singoli strumenti per tracciare accattivanti figure musicali. I preludi sono bellissimi.

Il maestro Emmanuel Villaume, che avevo ascoltato in quella magnifica Thaïs di Massenet allestita alla Fenice da Pier Luigi Pizzi, dirige l’Orchestra del Teatro La Fenice con gesto preciso e sensibilità musicale, facendo apprezzare la sublime bellezza della musica di Meyerbeer. 
J’adore la musique française!



domenica 17 novembre 2013

Fano Teatro della Fortuna, A piedi nudi nel parco



Fano, Teatro della Fortuna
A piedi nudi nel parco
(10 novembre 2013)

Servizio di Giosetta Guerra

La commedia A piedi nudi nel parco di Neil Simon, commediografo americano del 1927, fu rappresentata a teatro per la prima volta nel 1963, poi nel 1967 venne realizzata la versione cinematografica con Robert Redford e Jane Fonda come protagonisti.
Esternando una vena un po’ maschilista Simon mette in evidenza la superficialità della donna che, chiusa in un mondo di bambole, non riesce a calarsi nel tran tran quotidiano e nell’incapacità di adeguarsi alla realtà rompe proprio ciò che era l’oggetto dei suoi sogni, il rapporto coniugale. Dopo sei fantastici giorni di luna di miele in una camera dell'hotel Plaza, Paul e Corie si trasferiscono in un piccolo disordinato e fatiscente appartamento al quinto piano di un vecchio palazzo senza ascensore, dove manca quasi tutto e quel che c’è non funziona (telefono, termosifone), persino il lucernario è rotto e lascia entrare la neve. Corie cerca di riordinare e far aggiustare le cose per rendere l’ambiente vivibile, s’illude di prolungare l’atmosfera romantica dei giorni passati, ma Paul, un avvocato agli inizi di carriera, pensa più al lavoro dell’indomani. Da subito quindi cominciano i dissapori, causati dalla differente visione della vita e dalla mancanza di obiettivi comuni, ma soprattutto per l’incapacità di ognuno di entrare nel mondo dell’altro, dissapori che in breve tempo portano i due sposi alla separazione. 
Lei caccia lui di casa e lui finisce su una panchina di Washington Square Park a ubriacarsi e camminare a piedi nudi nel parco. Questa squallida visione sconvolge Cori che alla fine capisce di amare quest’uomo stabile e fidato. Interagiscono con loro due stravaganti personaggi, che invece sanno come prendere la vita: Ethel la madre di Corie prima castigatissima poi scatenata e Victor Velasco il misterioso inquilino del sottotetto; due personaggi di contorno sdrammatizzano la situazione con la loro ironia, il tecnico del telefono e l'uomo delle consegne.
La commedia messa in scena al Teatro della Fortuna di Fano da Synergie teatrali in collaborazione il 46° Festival di Borgio Verezzi, aveva una compagnia di bravissimi attori che, sotto la guida del regista Stefano Artissunch, hanno fatto un percorso interiore per giungere al personaggio attraverso l’emotività, fino a diventare i personaggi stessi, per cui nel loro agire e nel loro parlare si nota la spontaneità e non la costruzione teatrale; la delusione, la ribellione, l’ironia, il sarcasmo, il pentimento non hanno nulla di finto, ma sono esternazione di ciò che gli attori sentono in quel momento e questi esuberanti artisti riescono ad intrecciare dramma, farsa e commedia con forza vitale ed esilarante vis comica, senza risparmiarsi neanche fisicamente. 
 
Vanessa Gravina, nelle vesti ora casual ora sexy della giovane sposa ipercinetica e iperloquace, esprime benissimo l’affanno e l’insoddisfazione di Corie e tutte le manie del suo piccolo mondo. Stefano Artissunch, nel ruolo dello sposo Paul, passa con magistrale padronanza del palcoscenico dalla compostezza dell’avvocato serio e concreto alla sregolatezza dell’uomo deluso e ubriaco. Ludovica Modugno, una caratterista espressiva e vivace, carica d’enfasi e di ridicolo le effusioni della signora Ethel, Stefano De Bernardin è un Velasco tenebroso, imponente e sicuro di sé  
e Federico Fioresi è un versatile e simpatico  
tecnico del telefono e anche l’uomo delle consegne.
L’agitazione regna sovrana fra queste squallide mura e si esprime con la concitazione della parola e del gesto e con un’energia ipercinetica incontrollabile e continua, nonostante le sei rampe di scale che fanno arrivare tutti trafelati, col fiatone e col corpo contorto e gli occhi strabuzzati dalla fatica. Le situazioni sono esilaranti e gli atteggiamenti sono caricati per creare comicità.
Una resistenza al di là del normale per questi bravissimi attori, oltre ad una naturalezza di recitazione e d’interpretazione, a cui si arriva solo dopo lungo studio e lunghe prove.
Funzionali le trasparenze delle pareti e del lucernario che lasciano vedere ciò che accade fuori scena.
Scena di Francesco Cappelli, costumi di Marco Nateri, luci di Giorgio Morgese.
Uno spettacolo da vedere, ma anche da accorciare un po’ specialmente nella prima parte.

foto M. Coccia



lunedì 4 novembre 2013

Pesaro Teatro Rossini - Falstaff






Pesaro Teatro Rossini

Falstaff:  tutti soddisfatti

(24 ottobre 2013)
 
Di Giosetta Guerra

La commedia lirica in tre atti scritta da Arrigo Boito e musicata da Giuseppe Verdi è tratta dalla commedia shakespeariana The merry Wives of Windsor. In occasione del bicentenario della nascita di Verdi, tre Conservatori di Musica, il Maderna di Cesena, il Frescobaldi di Ferrara e il Rossini di Pesaro, hanno unito le loro forze per un progetto di tutto rispetto, l’allestimento di Falstaff, da rappresentare al Teatro Bonci di Cesena, al Teatro Rossini di Pesaro, al Teatro Comunale di Ferrara.
Il cast era formato in gran parte da giovani cantanti usciti dal concorso internazionale “Primo palcoscenico”, col supporto di un artista in carriera, il tenore Enrico Giovagnoli nel ruolo amoroso di Fenton, e di una star della lirica, il baritono Paolo Coni nel ruolo di Falstaff, che ha anche tenuto un master specifico per la preparazione dei cantanti scelti (Paolo Coni è docente di canto al Conservatorio di Ferrara).
Scelta migliore per il title rôle non poteva essere fatta. La più bella voce di baritono verdiano, ampia, estesissima e timbrata, si è librata su una linea di canto morbida sempre sul fiato in ogni registro, compreso il falsetto, su fiati lunghissimi, formidabili messe di voce, sonorità piene e ben proiettate, Paolo Coni con eccellente modo di porgere ha curato il fraseggio, come caratterista, ironico e non triviale (Quand’ero paggio), ha intriso la parola scenica d’eleganza e di humour inglese, perché questo Falstaff non è un vecchio babbione con smanie di sesso, ma un uomo che sa il fatto suo, che bada ai suoi interessi (legge e usa la macchina da scrivere tra una trincata e l’altra) e che ogni tanto ama sbizzarrirsi con qualche comare accondiscendente. Anche fisicamente questo Falstaff non è da buttare, ha la sua bella pancia, è vero, che muove a comando, ma è leggero nei movimenti, ha l’occhietto furbo e mobile sotto una capigliatura bianca da genio schizzato (tipo Einstein) e la piega ironica della bocca tra due baffoni bianchi e una bella barba bianca curata. Quasi seducente. Bravissimo cantante, dunque, e magnifico attore per un’autorevolezza innata e per padronanza del palcoscenico. Ero in prima fila.
Enrico Giovagnoli, Fenton con giubbotto di pelle e occhiali da motociclista, ha le physique de l’amoureux e una vocalità tenorile di bel timbro che s’illumina nel registro acuto.

Andrea Tabili (Fontana, alias Ford) ha una bella voce di baritono robusta ed estesa, canta bene ed ha una gestualità caricata ma con garbo.

 

Viktor Mickovski, bravo tenore acuto dal timbro deciso, presenta un isterico Cajus che saltella ad ogni acuto.

Pistola è Massimo Rotundo, un baritono con bella voce, Luca Narcisi è un bravo tenore nelle vesti di un paffuto e rubicondo Bardolfo.


 






 Tra i personaggi femminili, che
cantano quasi sempre insieme, emergono la freschezza di Nannetta (Yao Bo Hui, soprano melodioso, che usa con buona tecnica una voce di bel timbro dal suono sicuro e lunghi filati sostenuti) e la scaltrezza di Alice (Maria Giovanna Michelini, soprano con bella pasta vocale, dal suono pulito e sonoro, corretto modo di porgere e di cantare con brio).
Meg non ha una gran parte e il mezzosoprano Serena Dominici si barcamena, Quickly richiederebbe maggior peso vocale rispetto a quello del mezzosoprano Gloria Petrini, che comunque ha un bel timbro e un suono rotondo, talvolta chiuso fino a compromettere la dizione.
Questo progetto interregionale ha coinvolto la scuola di scenografia per il melodramma dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, sede di Cesena, e il corso tecnico dell’abbigliamento e della moda dell’IPSIA “U. Comandini” di Cesena, quindi un vero stage di formazione artistica. Ne è uscito uno spettacolo fresco, vivace, con quelle pruderies compresse, come succedeva negli anni cinquanta, periodo testimoniato dai costumi, dalle pettinature delle donne, dalla carta da parati sulle pareti degli interni, dalla presenza costante di un vecchio televisore acceso, che manda in onda film d’epoca in bianco e nero (davanti ad una scena d’amore di Clark Gable e Vivien Leigh Nannetta si scioglie in lacrime). Presenza di trovarobato in casa di Falstaff, poetica e suggestiva la scena del bosco con proiezioni. Splendida la regia di Gabriella Medetti e Simone Toni, c’è anche un getto d’acqua che schizza dietro quando il cesto dei panni sporchi cade nel fiume e alla fine tutti seduti sull’orlo del palcoscenico.
Mario Benzi ha diretto l’orchestra e il coro (68 strumentisti, 40 coristi) dei tre conservatori con grande competenza. Maestri del coro: Gianfranco Placci, Aldo Cicconofri, Paola Urbinati.
Uno spettacolo da far girare anche per le scuole.


(foto Perilli e Guadagnini)