sabato 31 agosto 2013

R.O.F. 2013 Guglielmo Tell



R.O.F. 2013
Pesaro Adriatic Arena

Guillaume Tell

Una sinfonia di cinque ore con arie di bravura
e due grandi coprotagonisti: l’orchestra e il coro.

 (11 agosto 2013, prima)
 
Di Giosetta Guerra

Sul sipario rosso e bianco giganteggia un pugno chiuso. L’orchestra comunica una sensibilità penetrante fin dalla Sinfonia, che inizia in pianissimo con gli archi, cui si aggiungono le voci isolate dei fiati, poi esplode in un fortissimo tutto orchestrale, agitato e ghignante, per tornare alla calma cosmica col noto tema con flauto che fa pensare al sorger del giorno e per riaprire la via al trionfo delle trombe e alla cavalcata degli archi e del tutto orchestrale. Ovazione.
Il direttore è Michele Mariotti, preciso ad ogni nota e attentissimo alle esigenze del canto nel dirigere la brava Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Una lettura personale di una partitura divina, interiorizzata capillarmente e comunicata all’orchestra con gli occhi, col corpo e col gesto sicuro, si concretizza nelle sonorità mai debordanti, nel nitore del suono e nella trasparenza dei colori, sì che le cinque ore di musica sono state percepite come un’immensa e sublime sinfonia.
Purtroppo le danze scomposte e rumorose del Divertissement, cui è riservato un lungo spazio (coreografie di Ron Howell), contrastano con la raffinatezza di una musica rifinita  e trascinante, eseguita da un’orchestra fantastica.
Il coro quasi sempre presente contribuisce all’eleganza delle immagini e la sua compattezza scenica dà l’idea di solidità. Gli sono riservate pagine morbide e cullanti che il Coro del Teatro Comunale di Bologna, preparato dal M° Andrea Faidutti, interpreta con  possente lirismo e con sonorità impressionanti. Disposto su due piani, le donne in piedi sul balcone e gli uomini seduti in basso, canta con magnificenza vocale le choeur de Suisses “Hyménée, Ta journée”, mentre dei ballerini si dimenano e una coppia simula le nozze. Il canto è morbido e melodioso, l’orchestra a tempo di danza completa un’atmosfera pregnante.
Ottima la scansione della parola nella grande pagina corale “Enfants de la nature” con un coro euforico e in parte saltellante e un’orchestra osannante. La suggestione del canto a mezza voce arriva dal choeur de Pâtres “Au sein de l’onde” all’inizio del II atto, cantato fuori campo, coi rintocchi delle campane e un delicato accompagnamento dell’arpa. Il canto è sommesso e cadenzato e accompagnato dal corno nel Choeur d’Habitants d’Hunterwald “Nous avons su braver”.
Con Guillaume Tell Nicola Alaimo aggiunge un personaggio importante alla sua nutrita lista. La sua bella voce scura, ampia e imponente, ben si adatta a questo ruolo genitoriale e alla fierezza dell’eroe svizzero, la nobiltà del fraseggio e il modo di porgere morbido e disteso impreziosiscono l’aria “Sois immobile”, aperta dal violoncello. Sentimenti ed emozioni trapelano dal suo canto, perché tecnica e interpretazione non sono mai disgiunte.
Il duetto con Arnold (“Où vas-tu?”) è l’incontro di due titani sorretti da una magnifica orchestra: l’autorevolezza vocale di Alaimo si scontra con lo scintillio del timbro di Florez che svetta in sovracuti  (“Ah! Mathilde, idole de mon âme”), canta col fil di voce (“Mon père…mon pays…”), dà piglio eroico a un canto morbido ma deciso (“Ô ciel! Tu sais si Mathilde”).
Juan Diego Florez (Arnold, ruolo debuttato anche da Mario Tiberini al Teatro Regio di Torino nel 1860, insieme a sua moglie Angiolina Ortolani nel ruolo di Matilde) si lancia e ammorbidisce con accento ora forte ora dolce, grazie ad una vocalità che arriva ovunque e ad una tecnica d’emissione assolutamente perfetta.
Canta con sentimento e con enfasi “Il me parle d’hymen!”
Sognante è il lungo duetto con Mathilde (“Ma présence pour vous est peut-être un outrage”), con musica carezzevole e le voci del corno e del clarino.
Nel bellissimo terzetto con Tell e Walter (“Quand l’Helvétie est un champ de supplices”)  scenicamente statico, Florez è fantastico perché tra slanci e pianissimi lascia trapelare sentimento nelle lunghe frasi che si sciolgono in acuto, mentre le due voci gravi fanno da supporto col colore e la morbidezza del suono, e quando sbucano i suoi sovracuti scatta l’ ovazione del pubblico.
Con dizione chiara affronta il recitativo “Ne m’abandonne point”, accompagnato da una musica che ricorda l’introduzione musicale dell’incontro di Violetta con Germont padre (“Madamigella Valery”) e canta l’aria più famosa “Asile héréditaire” con grande afflato, voce piena e distesa  e tenuta del suono, dolcezza nelle mezze voci e graduali progressioni acute. Funambolico nei sovracuti e nelle puntature più irte (tipo Fille du régiment) della cabaletta “Amis, amis, secondez ma vengeance”, dove esce la vena eroica di Arnold, Florez si riconferma campione del canto di coloratura e di bravura.
Il soprano Marina Rebeka (Mathilde) produce belle arcate acute che smorza e fila con la messa di voce, dà melodia ai trilli, ma gonfia i suoni medi per ingrossare la voce e i gravi sono poco naturali. La voce è bella e fredda, va più alle orecchie che al cuore.
Nel Recitativo e Aria dolcissimi con musica di sostegno “Ils s’éloignent enfin…Sombre fôret canta di forza ma sa anche ammorbidire, elle a une voix aiguë (nel duplice senso di acuta e aguzza, perché i suoni sono taglienti), ma fa belle scale cromatiche discendenti e dissolvenze in acuto.
Pur avendo una voce apprezzabile, il tenore Celso Albelo non mi è sembrato a suo agio nella non facile parte del pescatore Ruodi.
Amanda Forsythe (Jemmy) dopo qualche strilletto iniziale, entra nella parte del figlio di Tell con proprietà scenica e vocale, esibisce  suono limpido e pulito, acuti pieni con sovracuti e assottigliamenti, buoni filati e scale cromatiche discendenti (lunga aria “Ah, que ton âme se rassure”).
Simone Alberghini (Melcthal) presenta voce ampia e vibrante dal bel colore scuro.
Luca Tittoto (Gesler, gouverneur Suisse) usa con irruenza una gran voce dal suono pieno, bravo attore, balla, fuma e fa il viveur.
Wojtek Gierlach (Leuthold e un chasseur) è un basso dal bel timbro, il canto è in maschera ma un po’ tirato (“Mon devoir…”)
Simon Orfila (Walter Furst) è un basso autoritario con bella voce e pienezza del suono
Veronica Simeoni (Hedwige) esibisce voce intensa nel dialogo con Mathilde, sonora e ben proiettata, ma i suoni chiusi nei centri nel terzetto con Mathilde e Jemmy “Je rends à votre amour”
Alessandro Luciano è Rodolphe. 
La regia è di Graham Vick.
Tra gruppi di rivoltosi col pugno chiuso e fazzoletto rosso al collo o in mano, lo sventolio di alcune bandiere rosse, un set cinematografico o televisivo, una barca nel lago di montagna, una scuderia di cavalli prima ritti poi ribaltati e uno decapitato, chiazze di sangue sui muri, persone che fumano, una gigantesca scala rossa che scende nel finale, non è che abbia visto tanta natura svizzera e tanta attinenza con la storia descritta dal libretto, dal quale sono stati comunque estrapolati gli ideali di libertà e di affrancamento dal potere.
Il periodo storico che Vick porta in scena è quello del primo novecento e il tema è la contrapposizione tra borghesia e mondo operaio.
L’insieme comunque è gradevole all’occhio sia per la nitidezza dei colori, sia per l’eleganza delle scene e dei costumi, sia per alcune idee geniali, come quella di aprire le pareti su ambienti retrostanti per mostrare scene di interni in contemporanea, ambienti dai quali le persone si spostano per entrare in palcoscenico o come quella di calare una grande scala rossa nel cuore di una scena bianca alla fine dell’opera, come elemento liberatorio e di fuga. C’è una certa crudezza, nel finale primo i militari infieriscono contro Melcthal  e lo appendono ad un gancio. Suggestive le immagini riflesse, artistica la disposizione delle masse, belle le figure in controluce.
Le scene essenziali e pulite di Paul Brown prediligono il colore bianco e la geometricità delle linee e i suoi costumi sono belli e accurati, soprattutto quelli degli austriaci più ricchi e quelli elegantissimi di Mathilde. Le luci sono di Giuseppe di Iorio.
  
foto Amati e Bacciardi











lunedì 26 agosto 2013

R.O.F. 2013 - L'occasione fa il ladro



Rossini Opera Festival 2013

XXXIV Edizione

Pesaro - Teatro Rossini 

L'occasione fa il ladro 

Un omaggio a Jean Pierre Ponnelle

(Recita del 15 agosto 2013)

Di Giosetta Guerra

Ho avuto il privilegio di veder lavorare Jean Pierre Ponnelle nel 1987 quando preparava l’allestimento de L’occasione fa il ladro all’Auditorium Pedrotti ed è emozionante ricordare quei momenti rivedendo ora il suo lavoro che non risente del tempo che passa.

Le sue scene dipinte, mobilissime durante il temporale, si combinano perfettamente col frizzo della musica rossiniana. Montate a vista dai tecnici all’inizio sulla musica del temporale, vengono cambiate durante lo spettacolo per differenziare gli interni, smontate alla fine e riposte dentro la valigia. Anche i costumi classici e un po’ sopra le righe non sono cambiati, era tutto talmente perfetto che non occorrono ritocchi. Solo la regia, ripresa da Sonja Frisell, ha aggiunto qualche gag approfittando della presenza di un animale da palcoscenico come Paolo Bordogna, che ha l’elasticità e l’agilità di saltare e di aggrapparsi dovunque, quindi non ci sorprende di vederlo sempre in movimento e anche semi sospeso tra la buca d’orchestra e il palcoscenico, o uscire e rientrare nella valigia che egli stesso ha posizionato sul palco arrivando dalla platea. Dalla valigia comunque passano tutti i protagonisti, era un’idea di Ponnelle che ci era piaciuta anche allora per la sua originalità di dare valenza teatrale ad un oggetto, ma anche per l’attinenza con l’argomento del libretto che si concentra appunto sugli equivoci causati dallo scambio della valigia.

L’opera, secondo Ponnelle, pur non essendo un capolavoro di letteratura, è una farsa naïve con un pizzico di poesia e di fantasia e gli interpreti di questa edizione si sono calati egregiamente nei loro ruoli. L’effetto comico, infatti, è reso con verve da una compagnia di cantanti/attori che sono entrati nelle sfaccettature dei differenti caratteri, naturali e fittizi, e nell’intreccio della burletta.


Enea Scala come Conte Alberto fa il suo ingresso con un’aria sognante (“Il tuo rigore insano”) mettendo in luce una voce tenorile chiara e decisa, che ha qualche suono indietro nell’aria amorosa  Se non m’inganna il core”; la sua è una bella voce rossiniana, robusta, che arriva ovunque e sostiene anche i suoni più alti che dovrebbero essere affrontati con minor forza (aria “D’ogni più sacro impegno” con bellissima introduzione orchestrale), il canto di coloratura e il corpo vocale di Scala ci ricordano un po’ Rockwell Blake (la cui fluidità d’emissione, però, resta unica insieme al gioco funambolico dei colori).


Martino, il deus ex machina della situazione e autore consapevole dello scambio, è Paolo Bordogna che con l’arte del grande affabulatore dirige i lavori e ne osserva gli sviluppi.
La padronanza scenica e la versatilità attoriale sono completate da una vocalità piena e sonora e buoni suoni gravi.








 

Roberto De Candia, bravissimo interprete di Don Parmenione, gestisce con morbidezza una voce ampia e possente, abile nel fitto sillabato ritmico.
Giorgio Misseri, nel piccolo ruolo di Don Eusebio, è un tenore dal suono deciso che si prende la sua bella soddisfazione alla fine con una squillante puntatura acuta.
Elena Tsallagova (Berenice) usa bene una voce non grande di soprano acuto dal timbro brillante, è melodiosa nel canto melanconico (cavatina “Vicino è il momento”), esibisce suoni rotondi nei centri e bei filati in acuto  (“Degna d’un tanto onore”), canta bene e con sentimento, gorgheggia e trilla con facilità nei duetti, raggiungendo tutti i registri.

Viktoria Yarovaya (Ernestina) è un mezzosoprano acuto con un bel getto vocale e dizione poco chiara.

Nei concertati, ma anche nei duetti d’agilità, le voci si fondono in un’osmosi poliritmica, esaltando il gioco di timbri e registri, che si riflettono in orchestra.
L’Orchestra Sinfonica “G. Rossini”, frizzante, rocambolesca, ma anche morbida e delicata nelle arcate leggere dei violini e nella voce calda del corno, ha obbedito al dettato rossiniano sotto la guida sicura e partecipata della Direttora Yi-Chen Lin, (venticinquenne cinese dai lunghi capelli neri lucidissimi), che ha diretto a memoria.
Maestro collaboratore responsabile e al fortepiano
Gianni Fabbrini.


  Foto Amati & Bacciardi

 

giovedì 22 agosto 2013

ROF 2013 L'Italiana in Algeri



Rossini Opera Festival 2013

Teatro Rossini: L'Italiana in Algeri

(10 agosto 2013 - Prima)

Apertura del Festival all’insegna del puro divertimento con un’Italiana d’avanspettacolo: scintillio, libertà e abbuffate d’ogni genere nell’era del petrolio e del potere dei soldi. 

  

Mancava solo la Carrà ma il tuca tuca c’era: stupiamoci e stupriamoci.


Di Giosetta Guerra

 
L’Ouverture è disturbata da vivaci proiezioni che definiscono la location e l’antefatto della vicenda: Algeri anni ’60 con vetrine coi saldi, trivelle (sulle prime note del clarino), getto del petrolio (all’esplosione dell’orchestra), barili dell’oro nero, pioggia di dollari, uomini col paracadute e filo spinato, petrolieri con belle donne, Lindoro in veste di agente segreto, pistola in mano alla 007 e occhio di bue che lo focalizza come nei film di James Bond, sbuca da una nave la cui sommità esce sul lato sinistro del palcoscenico. Molti personaggi entrano ed escono da lì, è proprio una bella idea, ma non è l’unica. Si comunica col telefono e ci si sposta in aereo, il viaggio di Isabella da Roma ad Algeri è illustrato sullo schermo e i pezzi dell’aereo che si schianta arrivano fragorosamente in scena (vero colpo di scena, ma quanto rumore!); ne esce Isabella in tailleur pantalone rosa e cappello in tinta e Taddeo cogli abiti bruciacchiati. Alcune scene sono illustrate con fumetti animati, come se non bastasse l’affollamento del palcoscenico con inutili individui ridicolizzati (eunuchi, gay caricati, cameriere, strane donne con parrucche esagerate) che fanno colore e distraggono, altre scene si materializzano all’istante dietro i cantanti (Lindoro canta “Languir per una bella” semi immerso nella proiezione di una piscina con squalo, che c’entra?). Trovate registiche di grande effetto, tantissime esilaranti gags, come Mustafà che si mangia l’Italia (e non so come faccia a mangiarne davvero tanta), il regista dà rilievo sarcastico a troppi particolari per cui non emerge la vera comicità della scena del Pappataci. Gestualità ridicola per tutti, agitata e confusa nel quartetto finale.
In quanto a idee il regista Davide Livermore ne sa una più del diavolo, del diavolo appunto e quindi senza freni né inibizioni, fino al punto di distorcere la natura dei personaggi e di lasciare in penombra la magnificenza della musica rossiniana o di usarla per movimentare la scena (errore gravissimo). Infatti se è magnifica l’idea di presentare una bellissima e stimolante Isabella come femme fatale che mostra le gambe in modo provocatorio, con lustrini, piume, pennacchi e costumi succinti stile “Follies bergères”, mi sembra eccessivo esaltare la stupidità del Bey Mustafà (che è pur sempre un re) facendolo circolare in tenuta da mare stile hawayano e occhiali da sole e farlo ballare come un rocchettaro, o in attillati completi fantasia da Arlecchino, farlo  
saltare e rotolare in continuazione anche addosso a Isabella, preso com’è da un’incontenibile smania di sesso tenuta viva col Viagra.  Inoltre sono presenti in scena tutti i sessi in tutte le versioni, perfino Haly ancheggia e Isabella fa qualche esplorazione “oltre la siepe”, il palcoscenico è una passerella per  una sfilata sarcastica di tante prime donne, maschi e figuranti compresi, se ne discostano Lindoro per la sua semplicità e Mustafà per la sua sfrenata dinamicità. Veramente troppo, mancava solo Raffaella Carrà col suo tuca tuca. Visto l’ambiente, io l’avrei chiamata, così lo scoop avrebbe completato la trasgressione. 


L’irrefrenabile movimento è dunque la cifra stilistica di questa regia, farcita di eccessi e platealità, che divertono, ma stancano e distraggono e poi quanti rumori!!!! Dopo tre ore di gran varietà non vedi l’ora di tornare a casa per ascoltare l’opera in dvd.
La rapidità del cambio degli ambienti tramite l’uso di architetture mobili è in linea con una regia ipercinetica. Lo scenografo e light design Nicolas Bovey disegna scene semplici e funzionali: sulla destra un modulo architettonico bianco, rotondo, girevole, che quando è aperto mostra un interno con salotto bianco e quando si chiude funge da schermo per le proiezioni, sulla sinistra uno spazio vuoto con sabbia e la sommità di una nave per gli esterni, per cui si vede in contemporanea ciò che succede sia dentro che fuori. Quadri cromatici di grande bellezza coi cambi repentini di luce anche con figure statiche  investite da un enorme tirassegno alla James Bond, bolle di sapone per tutto il palcoscenico, colori e luci da avanspettacolo, scene luminosissime. Videodesign D-Wok.
I costumi ideati da Gianluca Falaschi sono particolarmente fantasiosi, di varia foggia quelli bellissimi di Isabella che passa da femme fatale a Bond girl a soubrette, inappropriati e ridicoli quelli di Mustafà che del Bey ha solo particolari scarpette d’oro e broccato, da guerre stellari quelli delle due servizievoli cameriere, orientaleggianti quelli degli eunuchi, sfavillanti quelli dell’esilarante chef de salle che si atteggia a prima donna.










Sul piano vocale (è per questo che vai all’opera e invece i registi ti si mettono davanti…uffa…) salta in primo piano la versatilità di Alex Esposito (Mustafà), un basso dalla voce bella e importante, poderosa ed estesa, abilissimo nel canto sbalzato e in quello sillabato e fortemente ritmato, ha una portata di voce che manda dove vuole dai gravi pieni alle puntature acute con  buone sonorità in ogni registro e con dizione chiara. Bravissimo attore dal bel fisico e dal piglio deciso e maschio, stupisce la sua resistenza: per tre ore ha cantato, ballato, saltato, corso, bevuto, mangiato e fumato senza fare una piega. Una vera abbuffata in ogni senso.
Anna Goryachova, mezzosoprano acuto d’agilità, è un’Isabella bellissima e con una sensualità venata d’ironia. Sensuale anche la voce che è di bel timbro morbido e vellutato, il suono rotondo e brunito avrebbe bisogno di maggior spessore in “Cruda sorte”, canta bene e correttamente, buona è la proiezione del suono che ha grande espansione in acuto, ma poca densità (“Per lui che adoro”) (“Pensa alla patria”). La cantante ha solo 29 anni e col tempo la voce maturerà.
Yijie Shi (Lindoro), puro virtuoso, agilissimo nel canto sillabato, esibisce voce chiara di tenore contraltino con acuti e sovracuti incisivi, acuti rinforzati, fiati lunghi ben modulati nei pianissimo “Languir per una bella”, ma è molto leggero nei recitativi. 
Il baritono Mario Cassi  (Taddeo) è un bravo attore e canta bene, ha un bel getto di voce e un buon peso vocale.

 


Il basso Davide Luciano esibisce voce corposa e ottime capacità attoriali nel ruolo di Haly. 

Il soprano Mariangela Sicilia (Elvira moglie del Bey) ha voce di bel timbro, agile, che emerge negli acuti e nei concertati.
Si muove e canta bene anche Raffaella Lupinacci nelle vesti di Zulma ancella di Elvira.
 









Il coro maschile del Teatro Comunale di Bologna è bravo nell’articolazione della voce, dei piano e dei pieni, e svolge una buona funzione scenografica. Maestro del Coro è Andrea Faidutti.
Debutta al R.O.F. il direttore spagnolo Josè Ramon Encinar alla guida dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, che esibisce un magnifico corno per la presentazione di Lindoro (“Languir per una bella”), un fermento leggero e vibrante, bellissimo, per l’ingresso di Isabella con “Cruda sorte”, favolosi archi nei crescendo, sottolinea con leggerezza il duetto Taddeo Isabella, è brillante nel ritmo dei concertati (“Nella testa ho un campanello”), è complice del canto e della dinamicità dei quintetti, sestetti ecc..








sabato 17 agosto 2013

Teatro Tiberini - master con







MASTER CLASS
CON IL
SOPRANO
LUCIANA SERRA

Al Teatro Tiberini di San Lorenzo in Campo
(prov. Pesaro e Urbino)

INCONTRO-STUDIO
tecnica e interpretazione

                   11-12-13 OTTOBRE 2013

L’ASSOCIAZIONE  MUSICALE MARIO TIBERINI di San Lorenzo in Campo ( PU ) 
in collaborazione con 
L’ ARTE DEL BELCANTO  di Lugano / Tesserete ( Svizzera )
organizza un incontro studio di
“tecnica e interpretazione”
dall’ 11 al 13 ottobre 2013 .

L’incontro studio è riservato a 12 partecipanti.
Le lezioni si svolgeranno nel Teatro Mario Tiberini di San Lorenzo in Campo (PU) dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18.
Ogni allievo/a avrà a sua disposizione 30/40 minuti di lezione al giorno con il soprano Luciana Serra.
Gli allievi/e iscritti dovranno essere presenti a tutte le ore di lezione.
Il giorno 13 ottobre alle ore 17,30 si terrà una “LEZIONE / CONCERTO” aperta al pubblico, alla quale parteciperanno i migliori allievi/e del corso scelti ad insindacabile giudizio degli organizzatori.
M^ accompagnatrice al pianoforte Mirka Rosciani.
Alle fine della “ LEZIONE / CONCERTO “, verrà premiato con una pergamena dell’Associazione Mario Tiberini il migliore allievo, scelto da una giuria composta possibilmente da un agente lirico, un direttore artistico, un critico musicale, un maestro di canto, un esperto d’opera.

Verrà rilasciato un attestato di partecipazione.

L’evento verrà pubblicizzato e recensito su varie riviste quali “L’ OPERA”, sul gruppo di facebook Associazione Musicale Mario Tiberini, sulle testate on line

www.laltrogiornale.it,
www.proopera.org.mx (Messico),
Operaclick, e altri.

TERMINE PER L’ISCRIZIONE  : 10  SETTEMBRE 2013

QUOTA DI PARTECIPAZIONE  :
ALLIEVI  EFFETTIVI                  €  280,00 per le lezioni +     80,00 per l’iscrizione
ALLIEVI  UDITORI                        50,00  al giorno

Gli interessati dovranno inviare all’Associazione musicale, anche via email (giosetta.guerra@libero.it  oppure giomusica@alice.it), il modulo d’iscrizione compilato e un breve curriculum, senza nulla versare.
Entro il 15 settembre l’Associazione Musicale comunicherà agli iscritti l'accettazione della domanda e gli indirizzi cui inviare entro il giorno 25 settembre le quote d’iscrizione e partecipazione.

La Presidente
Prof. Giosetta Guerra


                                  Associazione Musicale Mario Tiberini
Via Marzabotto, 10
San Lorenzo in Campo (PU)
0721776928    3333416088

in collaborazione con LARTE DEL BELCANTO di Luciana Serra  Lugano-Tesserete

MASTER DI CANTO LIRICO CON IL SOPRANO LUCIANA SERRA
11-12-13 ottobre 2013 / October 11-12-13, 2013

SCADENZA ISCRIZIONI / REGISTRATION DEADLINE:
10 settembre 2013 / September 10, 2013

MODULO DI ISCRIZIONE / APPLICATION FORM

Nome/Name...........................................Cognome/Surname.................................... .............

Nazione/Country ....................................Data di nascita/Date of Birth...................................

Città/City ...................................................................CAP/Postal Cod………………………

Indirizzo/Adress......................................................................................................................

Recapito telefonico/Telephone.....................................Cellulare/Mobile................................

E-mail................................................................................................

Registro vocale/Voice Type..................................................

chiede di partecipare in qualità di / asks for admission as:

  • ALLIEVO / STUDENT
  • UDITORE / LISTENER

Si autorizza ai sensi del D.lgs 196/03 ad utilizzare i suddetti dati personali a fini amministrativi / You can use my personal dates for administrative files of courses

Allega / Enclosures:
  • fotocopia di un documento d’identità valido / a photocopy of a valid identity document
  • breve curriculum / a short curriculum

Data / Date                                                                                                 Firma / Signature


Inviare tutto firmato per posta all’indirizzo dell’Associazione Musicale e per conferma anche via email (vedi intestazione in alto). Pagamento dal 15-09-2013, dopo nostra conferma di accettazione

Martina Franca - Crispino e la comare



XXXIX Festival della Valle d’Itria


Martina Franca Palazzo Ducale

Crispino e la Comare

Melodramma fantastico-giocoso in quattro atti, libretto di Francesco Maria Piave, musica di Luigi e Federico Ricci (Venezia, Teatro San Benedetto, 28 febbraio 1850)


Una parodia dell’escalation sociale, favorita dai falsi valori e dalla credulità della gente, 
ma anche una denuncia alla malsanità…del tempo…


 (recita del 29 luglio 2013) 

Di Giosetta Guerra

Un pozzo antico e un balcone marmoreo con ringhiera di ferro e scale laterali, appoggiato ad una parete del Palazzo ducale sì da sembrare parte integrante del palazzo stesso, sono la base di una scenografia completata da elementi moderni: farmacia, bar con ombrelloni, sedie e tavolini all’aperto, bancarelle di merce varia, avventori e belle donne in abiti moderni e un ciabattino al suo banchetto di lavoro. Turisti in bermuda e macchina fotografica si trastullano, un ragazzo sbava dietro donne provocanti, c’è un chirurgo estetico che rifà le bocche alle signore, ospedalieri con camice verde e guanti di lattice. Questo è l’ambiente in cui si svolge la storia di Crispino il ciabattino e della moglie Annetta che vogliono diventare ricchi a tutti i costi. I personaggi indossano vestiti attuali e semplici, alla Comare è riservato un sontuoso abito da sera, alcuni figuranti accanto al pozzo vestono costumi medievali e tre giovanotti “col fisico” ai lati del balcone sono seminudi.
La regia è mossa ma con garbo, spiritosa ma non caricata. Il tutto è condito da un buon disegno luci, che crea atmosfere solari o misteriose, dà rilievo alle persone o agli ambienti, che schiarisce o incupisce  secondo la necessità. Scene di Ruth Sutcliffe, regia di Alessandro Talevi, costumi di Manuel Pedretti, disegno luci di Giuseppe Calabrò per l’allestimento di Crispino e la comare dei fratelli Ricci nel cortile di Palazzo Ducale di Martina Franca.
L’opera ricalca lo stile rossiniano ed è uno spudorato mixage di “imprestiti” da compositori coevi o quasi: Rossini, Donizetti, Offenbach e persino Verdi vi compaiono quasi senza veli.

I duetti marito moglie e il lunghissimo terzetto dei tre dottori “Di Pandolfetti medico” sono di stampo rossiniano.

Gli artisti assecondano le idee del regista con grande abilità attoriale.
Il tenore leggero Fabrizio Paesano (Contino del Fiore che dovrebbe avere una vocalità elegiaca) si presenta cantando un’aria che riprende pari pari il cantabile del dottor Malatesta “Bella siccome un angelo dal Don Pasquale di Donizetti; la voce di bel timbro, chiara e pulita, non è emessa con naturalezza, i centri sono forzati e gli acuti stretti e a volte nasaleggianti perché il canto non è in maschera.

Domenico Colaianni esibisce grande voce e grande versatilità nel ruolo buffo comico di Crispino; l’artista è una vera forza come attore e anche la voce risponde bene sia al ruolo di buffo parlante sia a quello di baritono cantante, bravo interprete con buona dizione, si destreggia con sicurezza nel canto sillabato, scandisce le parole e le carica di significato. Una volta ripulito e diventato dottore per magia, assume l’enfasi e la pomposità del Dott. Dulcamara, spiazza la scienza di due medici che visitano un infortunato Bortolo (con rimandi a Il viaggio a Reims), poi ha un’aria sul tipo di “Medaglie incomparabili”.

Stefania Bonfandelli (Annetta) in un ridicolo costume settecentesco, si presenta con un’aria frizzante sullo stile della Bambola meccanica de I racconti di Hoffman di Offenbach. Gestisce bene una voce aggraziata di non grande spessore, esegue trilli e passaggi d’agilità, deliziose mezze voci, scintillanti acuti; è vezzosa e canta bene, anche se qualche suono risulta stretto e qualche acuto poco controllato.


Asdrubale, vecchio ricco pretendente di Lisetta,  alla fine viene mandato a letto da Crispino come Don Basilio ne Il Barbiere di Rossini. Ha una parte più parlata, quasi un parlar cantando. Lo interpreta il basso Carmine Monaco in doppio petto grigio e cravatta rossa.

Romina Boscolo (La Comare) è un mezzosoprano con timbro brunito e disomogeneità d’emissione, alcuni suoni sono belli e naturali altri costruiti, suoni strani ma efficaci per creare il mistero; enfatica ed elegante è scenicamente perfetta.

Molto bravi e dotati di voce duttile, sonora e di bella pasta i due veri dottori Fabrizio e Mirabolano (altro buffo), Fabrizio medico e speziale, è un distillatore e vende amore riprendendo la tipologia di Dulcamara, è introdotto nel III atto dalle prime note del Don Carlo, lo interpreta il baritono Mattia Olivieri con disinvoltura, bella presenza, buona dizione, voce ampia e di bel timbro (“Io sono un po’ filosofo”); Mirabolano è il basso Alessandro Spina che pomposamente imponente si confronta col Contino con la musica e il canto sillabato del dialogo di Nemorino con Dulcamara.
Lisetta è il soprano Lucia Conte e Bortolo il tenore Francesco Castoro.
Molto presente e decorativo in scena il Coro del teatro Petruzzelli diretto da Franco Sebastiani, scarno ma sonoro con buone voci gravi.
La musica è in generale molto gradevole: frizzante, agilissima, delicata, danzante, ma pesante e presaga al comparir della comare. L’Orchestra internazionale d’Italia, diretta da Jader Bignamini, sottolinea e sostiene questa follia generale con scioltezza, aderendo alla tinta richiesta dalle diverse situazioni.  Buoni gli interventi del corno.


Sconosciuta l’opera, sconosciuti gli interpreti, niente libretto a teatro: mi auguro di non aver fatto qualche scambio di persona scendendo nel dettaglio delle voci scure.



Foto Lab.Fotografia © Fondazione Paolo Grassi