XXXIX Festival della Valle d’Itria
Martina Franca Palazzo Ducale
Crispino e la Comare
Melodramma fantastico-giocoso in quattro atti, libretto di Francesco Maria Piave, musica di Luigi e Federico Ricci (Venezia, Teatro San Benedetto, 28 febbraio 1850)
Una parodia dell’escalation sociale, favorita dai
falsi valori e dalla credulità della gente,
ma anche una denuncia alla malsanità…del tempo…
ma anche una denuncia alla malsanità…del tempo…
(recita del 29 luglio 2013)
Di Giosetta Guerra
Un pozzo antico e un balcone marmoreo con ringhiera di ferro e scale laterali, appoggiato ad una parete del Palazzo ducale sì da sembrare parte integrante del palazzo stesso, sono la base di una scenografia completata da elementi moderni: farmacia, bar con ombrelloni, sedie e tavolini all’aperto, bancarelle di merce varia, avventori e belle donne in abiti moderni e un ciabattino al suo banchetto di lavoro. Turisti in bermuda e macchina fotografica si trastullano, un ragazzo sbava dietro donne provocanti, c’è un chirurgo estetico che rifà le bocche alle signore, ospedalieri con camice verde e guanti di lattice. Questo è l’ambiente in cui si svolge la storia di Crispino il ciabattino e della moglie Annetta che vogliono diventare ricchi a tutti i costi. I personaggi indossano vestiti attuali e semplici, alla Comare è riservato un sontuoso abito da sera, alcuni figuranti accanto al pozzo vestono costumi medievali e tre giovanotti “col fisico” ai lati del balcone sono seminudi.
L’opera ricalca lo stile rossiniano ed è uno spudorato mixage di “imprestiti” da compositori coevi o quasi: Rossini, Donizetti, Offenbach e persino Verdi vi compaiono quasi senza veli.
Gli artisti assecondano le idee del regista con grande abilità attoriale.
Il tenore leggero Fabrizio Paesano (Contino del Fiore che dovrebbe avere una vocalità elegiaca) si presenta cantando un’aria che riprende pari pari il cantabile del dottor Malatesta “Bella siccome un angelo” dal Don Pasquale di Donizetti; la voce di bel timbro, chiara e pulita, non è emessa con naturalezza, i centri sono forzati e gli acuti stretti e a volte nasaleggianti perché il canto non è in maschera.
Stefania Bonfandelli (Annetta) in un ridicolo costume settecentesco, si presenta
con un’aria frizzante sullo stile della Bambola
meccanica de I racconti di Hoffman di Offenbach. Gestisce bene una voce
aggraziata di non grande spessore, esegue trilli e passaggi d’agilità,
deliziose mezze voci, scintillanti acuti; è vezzosa e canta bene, anche se qualche
suono risulta stretto e qualche acuto poco controllato.
Asdrubale, vecchio ricco pretendente di Lisetta, alla fine viene mandato a letto da Crispino come
Don Basilio ne Il Barbiere di Rossini. Ha una parte più parlata, quasi un
parlar cantando. Lo interpreta il basso Carmine
Monaco in doppio petto grigio e cravatta rossa.
Lisetta è il soprano Lucia Conte e Bortolo il tenore Francesco Castoro.
Molto presente e decorativo in scena il Coro del teatro Petruzzelli diretto da Franco Sebastiani, scarno ma sonoro con buone voci gravi.
La musica è in generale molto gradevole: frizzante, agilissima, delicata, danzante, ma pesante e presaga al comparir della comare. L’Orchestra internazionale d’Italia, diretta da Jader Bignamini, sottolinea e sostiene questa follia generale con scioltezza, aderendo alla tinta richiesta dalle diverse situazioni. Buoni gli interventi del corno.
Sconosciuta l’opera, sconosciuti gli interpreti,
niente libretto a teatro: mi auguro di non aver fatto qualche scambio di
persona scendendo nel dettaglio delle voci scure.
Foto Lab.Fotografia ©
Fondazione Paolo Grassi
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