sabato 17 agosto 2013

Martina Franca - Crispino e la comare



XXXIX Festival della Valle d’Itria


Martina Franca Palazzo Ducale

Crispino e la Comare

Melodramma fantastico-giocoso in quattro atti, libretto di Francesco Maria Piave, musica di Luigi e Federico Ricci (Venezia, Teatro San Benedetto, 28 febbraio 1850)


Una parodia dell’escalation sociale, favorita dai falsi valori e dalla credulità della gente, 
ma anche una denuncia alla malsanità…del tempo…


 (recita del 29 luglio 2013) 

Di Giosetta Guerra

Un pozzo antico e un balcone marmoreo con ringhiera di ferro e scale laterali, appoggiato ad una parete del Palazzo ducale sì da sembrare parte integrante del palazzo stesso, sono la base di una scenografia completata da elementi moderni: farmacia, bar con ombrelloni, sedie e tavolini all’aperto, bancarelle di merce varia, avventori e belle donne in abiti moderni e un ciabattino al suo banchetto di lavoro. Turisti in bermuda e macchina fotografica si trastullano, un ragazzo sbava dietro donne provocanti, c’è un chirurgo estetico che rifà le bocche alle signore, ospedalieri con camice verde e guanti di lattice. Questo è l’ambiente in cui si svolge la storia di Crispino il ciabattino e della moglie Annetta che vogliono diventare ricchi a tutti i costi. I personaggi indossano vestiti attuali e semplici, alla Comare è riservato un sontuoso abito da sera, alcuni figuranti accanto al pozzo vestono costumi medievali e tre giovanotti “col fisico” ai lati del balcone sono seminudi.
La regia è mossa ma con garbo, spiritosa ma non caricata. Il tutto è condito da un buon disegno luci, che crea atmosfere solari o misteriose, dà rilievo alle persone o agli ambienti, che schiarisce o incupisce  secondo la necessità. Scene di Ruth Sutcliffe, regia di Alessandro Talevi, costumi di Manuel Pedretti, disegno luci di Giuseppe Calabrò per l’allestimento di Crispino e la comare dei fratelli Ricci nel cortile di Palazzo Ducale di Martina Franca.
L’opera ricalca lo stile rossiniano ed è uno spudorato mixage di “imprestiti” da compositori coevi o quasi: Rossini, Donizetti, Offenbach e persino Verdi vi compaiono quasi senza veli.

I duetti marito moglie e il lunghissimo terzetto dei tre dottori “Di Pandolfetti medico” sono di stampo rossiniano.

Gli artisti assecondano le idee del regista con grande abilità attoriale.
Il tenore leggero Fabrizio Paesano (Contino del Fiore che dovrebbe avere una vocalità elegiaca) si presenta cantando un’aria che riprende pari pari il cantabile del dottor Malatesta “Bella siccome un angelo dal Don Pasquale di Donizetti; la voce di bel timbro, chiara e pulita, non è emessa con naturalezza, i centri sono forzati e gli acuti stretti e a volte nasaleggianti perché il canto non è in maschera.

Domenico Colaianni esibisce grande voce e grande versatilità nel ruolo buffo comico di Crispino; l’artista è una vera forza come attore e anche la voce risponde bene sia al ruolo di buffo parlante sia a quello di baritono cantante, bravo interprete con buona dizione, si destreggia con sicurezza nel canto sillabato, scandisce le parole e le carica di significato. Una volta ripulito e diventato dottore per magia, assume l’enfasi e la pomposità del Dott. Dulcamara, spiazza la scienza di due medici che visitano un infortunato Bortolo (con rimandi a Il viaggio a Reims), poi ha un’aria sul tipo di “Medaglie incomparabili”.

Stefania Bonfandelli (Annetta) in un ridicolo costume settecentesco, si presenta con un’aria frizzante sullo stile della Bambola meccanica de I racconti di Hoffman di Offenbach. Gestisce bene una voce aggraziata di non grande spessore, esegue trilli e passaggi d’agilità, deliziose mezze voci, scintillanti acuti; è vezzosa e canta bene, anche se qualche suono risulta stretto e qualche acuto poco controllato.


Asdrubale, vecchio ricco pretendente di Lisetta,  alla fine viene mandato a letto da Crispino come Don Basilio ne Il Barbiere di Rossini. Ha una parte più parlata, quasi un parlar cantando. Lo interpreta il basso Carmine Monaco in doppio petto grigio e cravatta rossa.

Romina Boscolo (La Comare) è un mezzosoprano con timbro brunito e disomogeneità d’emissione, alcuni suoni sono belli e naturali altri costruiti, suoni strani ma efficaci per creare il mistero; enfatica ed elegante è scenicamente perfetta.

Molto bravi e dotati di voce duttile, sonora e di bella pasta i due veri dottori Fabrizio e Mirabolano (altro buffo), Fabrizio medico e speziale, è un distillatore e vende amore riprendendo la tipologia di Dulcamara, è introdotto nel III atto dalle prime note del Don Carlo, lo interpreta il baritono Mattia Olivieri con disinvoltura, bella presenza, buona dizione, voce ampia e di bel timbro (“Io sono un po’ filosofo”); Mirabolano è il basso Alessandro Spina che pomposamente imponente si confronta col Contino con la musica e il canto sillabato del dialogo di Nemorino con Dulcamara.
Lisetta è il soprano Lucia Conte e Bortolo il tenore Francesco Castoro.
Molto presente e decorativo in scena il Coro del teatro Petruzzelli diretto da Franco Sebastiani, scarno ma sonoro con buone voci gravi.
La musica è in generale molto gradevole: frizzante, agilissima, delicata, danzante, ma pesante e presaga al comparir della comare. L’Orchestra internazionale d’Italia, diretta da Jader Bignamini, sottolinea e sostiene questa follia generale con scioltezza, aderendo alla tinta richiesta dalle diverse situazioni.  Buoni gli interventi del corno.


Sconosciuta l’opera, sconosciuti gli interpreti, niente libretto a teatro: mi auguro di non aver fatto qualche scambio di persona scendendo nel dettaglio delle voci scure.



Foto Lab.Fotografia © Fondazione Paolo Grassi











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