giovedì 15 dicembre 2011



Fano Teatro della Fortuna

Nabucco di Giuseppe Verdi

(10 dicembre 2011)

Di Giosetta Guerra


Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia il Teatro della Fortuna di Fano apre la stagione operistica con Nabucco di Giuseppe Verdi, un’opera corale che più di ogni altra riassume lo spirito risorgimentale.

L’Orchestra Sinfonica Rossini, diretta da Roberto Parmeggiani, apre con l’Inno di Mameli, poi si addentra nella lunga ouverture tenendo inizialmente tempi piuttosto lenti. Si apre il sipario su una scala bianca che occupa totalmente e amplia otticamente lo spazio del palcoscenico, dilatato verso la platea con una passerella attorno alla fossa mistica. Colpisce subito il biancore assoluto creato dalle masse corali con tuniche bianche, bianco su bianco, reso ancor più vivido dal contrasto col fondale arancione illuminato dal basso. Per tutta l’opera il Coro, distribuito sulla scala, sul proscenio, sulla passerella, in piedi, inginocchiato, raggruppato, fermo o in movimento, in piena luce o in penombra, con i bianchi sparati o ammorbiditi dal gioco delle luci, disegna figure flessuose dando vita a quadri di grande morbidezza. Lo stile di Massimo Gasparon, autore di scene, costumi (sempre magnifici) e luci, emerge in tutta la sua armonia ed eleganza, senza ricorrere a scene complicate e costose. Solo piccoli moduli vengono inseriti ogni tanto sulla scala per creare podi su cui posizionare artisti o elementi simbolici, come un menorah, candelabro ebreo a sette braccia, l'idolo di Belo e un trono dorato;

per la nota pagina corale “Va pensiero” il regista fa sedere i coristi tutti bianchi sulla passerella attorno all’orchestra buia, quasi a stringerla nella cupa morsa della tristezza.

Il colore degli abiti è coprotagonista: bianco per il popolo ebreo, blu per gli assiri, giallo, azzurro, bordò, oro per i ruoli principali.

Bellissimi e luminosi i costumi “plissé” delle due donne protagoniste.

Non ci sono le danze.

Dal punto di vista vocale la partitura è particolarmente insidiosa, ogni interprete deve raggiungere il limite massimo delle sue capacità sia naturali che tecniche.

Nell’edizione fanese domina la figura di Zaccaria (in tunica bianca), interpretato dal basso Michele Pertusi, un artista completo, dalla presenza scenica autorevole ma non invadente, dalle qualità vocali di preziosa lega, fatta di bel colore caldo, suono ampio e maestoso, qualità gestite con un’alta tecnica d’emissione (canto sul fiato, uso della messa di voce e del canto sfumato, appoggio e tenuta del suono), che gli permette una padronanza assoluta dei vari registri, una linea di canto morbida ed omogenea, un fraseggio accurato, un modo di porgere incisivo nell’accento e accattivante nella comunicativa con perfetta resa della parola scenica e valorizzazione dei dettagli.

Ismaele (in tunica bianca e piedi scalzi) è Luca Canonici che giunge dalla platea correndo; il tenore, padrone del canto sfumato e del canto appassionato, porge con bell’accento una voce limpida e di bel timbro, alternando fraseggi dolci a momenti vigorosi e acuti luminosi.

Il baritono Giovanni Meoni canta sul fiato e modula bene una voce dal bel timbro piuttosto chiaro, estesa e pulita, ben proiettata con lunghi fiati, bel legato, accento incisivo, emissione fluida, attacchi sul fiato, suoni ben tenuti, ma manca d’imperio nel tratteggiare il carattere di Nabucco.

Il soprano Paoletta Marrocu è coraggiosa ad affrontare la terrificante scrittura musicale violenta e lanciata riservata ad Abigaille, primo autentico soprano drammatico di agilità, che richiede notevole spessore e ricchezza vocale, tenuta nel registro grave, duttilità, estensione e sostegno del fiato per eseguire sia il canto di forza sia quello di coloratura, qualità che la Marrocu possiede in parte. La sua voce è bella, la grana è densa e vibrante nei centri, ma gli acuti sono taglienti e sparati, il soprano esegue gli sbalzi d’ottava e gli affondi ma si sente il passaggio al grave che è di petto, la linea di canto è poco omogenea perché, a mio avviso, il ruolo è troppo pesante per lei. Brava nella scena della morte.

Agata Bienkowska Fenena ha un bel modo di porgere, ma i mezzi vocali non sono eccelsi e così la dizione.

La liricità di questo grande affresco corale trova la sua ottimizzazione nel Coro del Teatro della Fortuna Mezio Agostini preparato da Lorenzo Bizzarri, la cui sonorità riempie il teatro, l’amalgama è pieno e compatto nelle pagine più vigorose e ripiega su dinamiche morbide e sfumate nelle pagine di maggior raccoglimento.

Roberto Parmeggiani, sul podio dell’ Orchestra Sinfonica Rossini, coglie l’efficacia drammatica di questa musica vibrante di spiriti risorgimentali e la sviluppa con movimenti e sonorità a volte incalzanti, a volte morbidi e discreti.

Bel successo.

giovedì 8 dicembre 2011


Cremona-Teatro Ponchielli

Roméo et Juliette di Gounod

(18 nov. 2011)

Dieci e lode alla Juliette di Serena Gamberoni.

Di Giosetta Guerra

A una giovane donna dalla pelle diafana, occhi azzurri, lunghi capelli neri e dalla voce d’angelo certamente chiedereste: “Ma tu sei Giulietta?” E lei vi risponderebbe: “Oui, je suis Juliette”.

Al Teatro Ponchielli di Cremona Juliette, figlia di Capuleti, è Serena Gamberoni, sempre vestita di bianco. L’artista unisce “le physique du rôle” a un mezzo vocale limpido, luminoso, fresco, esteso, duttile nei trilli, scintillante negli acuti, il suono è melodiosissimo nelle mezze voci e nel canto a fior di labbra, fulminante negli slanci acutissimi (“Amour, rianime mon courage”); nella nota arietta “Je veux vivre” la voce si apre e si amplia nelle strepitose progressioni acute, poi si alleggerisce fino al sussurro; dopo aver baciato Romeo il canto s’arricchisce di sfumature. Il soprano porge bene, conosce l’arte del canto sul fiato e la tecnica dell’emissione morbida e vive l’amore e il dramma con intenso trasporto emotivo.

Un suggestivo il fil di voce emesso in posizione supina la rende sublime nella scena della morte accompagnata da una musica straziante.

Roméo, figlio di Montecchi, è Jean-François Borras

che, naturellement, ha una buona pronuncia francese. Il tenore ha voce chiara, estesa, con vibrato, una voce resistente che si spiega luminosa in zona acuta dove raggiunge alte tessiture (“Je veux la revoir”), anche se si sente il passaggio di registro, padroneggia il canto spiegato di forza con squillo eroico e voce tesa, sa ammorbidire e tenere lunghi suoni, ma a volte la voce non regge il canto a fior di labbra; deve perfezionare la linea di canto e l’emissione.

Park Taiwan (Capulet, padre di Giulietta)

ha voce cupa di basso, estesa, poco ferma e poco gradevole, senza gravi e senza spessore.

Mihail Dogotari (Mercutio amico di Romeo ) è un bravo baritono con voce timbrata e sonora e Saverio Fiore (Tybalt nipote di Capuleti) è un tenore deciso con voce di bel timbro. Il basso Abramo Rosalen (Frère Laurent) ha voce ampia e timbrata con buoni gravi. Il mezzosoprano en travesti Silvia Regazzo (Stéphano, paggio di Romeo) gestisce bene una voce estesa e di bel timbro. Carlo Di Cristoforo (le Duc de Vérone) è un basso dal bel colore vocale.

Il mezzosoprano Nadiya Petrenko è Gertrude, balia di Giulietta, il baritono Francesco Masinu è Paris, il baritono Romano Dalzovo è Gregorio, servitore dei Capuleti, il tenore Marco Voleri è Benvolio, amico di Romeo.

L’allestimento del regista-scenografo Andrea Cigni è atemporale perché una storia d’amore non ha età, infatti noi l’abbiamo sentita molto vicina anche grazie agli atteggiamenti e alle effusioni degli artisti molto più consoni alla fisicità dei nostri tempi, ma anche grazie ai costumi contemporanei di Massimo Poli. La scena fissa è costituita di uno spazio che si modifica col gioco delle luci prevalentemente blu (light designer Fiammetta Baldisserri), i rari arredi sono simbolici, come il letto insanguinato sospeso in aria all’inizio, calato a terra nelle scene d’amore e di morte, circondato di candele quando diventa il letto funebre di Juliette.

Pagine liriche di infinita dolcezza, romantiche e melodiose, trovano la loro espressione nella brava Orchestra Lirica I Pomeriggi Musicali diretta da Michael Balke, che conferisce densità e drammaticità al tessuto sonoro nelle scene più forti.

I Capuleti vestiti di bianco e i Montecchi di nero sono impersonati dal fantastico Coro del Circuito Lirico Lombardo, inizialmente disposto su una balconata e poi portato in scena alla West Side Story per la lotta tra le due fazioni; i coristi, preparati da Antonio Greco cantano con espressività e hanno un bel modo di porgere e di amalgamare il suono.

Il pubblico ha risposto con calorosi applausi.

lunedì 5 dicembre 2011

RIGOLETTO DI VERDI

Jesi Teatro Pergolesi

Rigoletto di Verdi

Le roi s’amuse… e i giovani artisti emozionano

(27 nov. 2011)

Di Giosetta Guerra

La scenografia, ideata da Massimo Gasparon per l’Arena Sferisterio di Macerata, posta sul palcoscenico del Teatro Pergolesi di Jesi, annulla la profondità degli

ambienti, ma crea maggior intimità. Il modulo architettonico girevole con affreschi del Tiepolo sulla prima faccia, un grande portale in pietra bianca sulla seconda e una facciata lignea con scala sulla terza, delinea i luoghi della vicenda, che il regista Gasparon fa svolgere durante il carnevale di Venezia, riportandone fantasmagoria e magnificenza nello scintillante cromatismo dei bellissimi costumi da lui ideati e nell’armoniosa distribuzione delle masse.

Il cast, formato da giovani all’altezza dei ruoli, era sostenuto da un’orchestra sempre presente ma mai invadente. Strappi orchestrali deflagranti col ghigno degli archi sottolineano la vestizione a vista di Rigoletto, presentato con la maschera e il costume di Pulcinella, un ritmo di danza accompagna l’ingresso di un popolo festante e l’organizzazione dello scherzo del rapimento, poi l’orchestra tuona sulla maledizione di Monterone ed esprime col languore degli archi le paure di Rigoletto, mantiene la tensione emotiva con suono discreto e tempi morbidi nel duetto di Gilda col padre, disegna un ricamo nella supplica di Rigoletto a Marullo sottolineata dal pianto dei violini, incalza nella promessa della vendetta; il flusso sonoro è percorso da brividi nella discussione tra Sparafucile e sua sorella, per esplodere fortissimo e inquietante sotto il grido disperato di Gilda che ha sentito tutto e tornare teso e sinistro in finale. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana era diretta dal bravo maestro Giampaolo Maria Bisanti.

La rivelazione della serata è stata per me il giovane baritono Simone Piazzola. Dotato di bella cavata di voce, imponente ma non pesante, di grande volume ed estensione e ricca di colori, il baritono ha cantato in maschera con suoni alti, rotondi e ben proiettati, facendo uso della messa di voce con fiati sospesi e tenuti, ha eseguito bene sia il canto a fior di labbra che quello irruento a voce piena, mantenendo una linea di canto morbidissima specialmente nei duetti con Gilda.

Scenicamente credibile per il gesto e l’interpretazione intensa, lo era un po’ meno per l’aspetto troppo giovane.

Ci ha convinto in corso d’opera anche la Gilda della giovanissima Irina Dubroskaya, che, dopo un inizio un po’ in sordina e con dizione poco chiara, ha fatto sfoggio di una vocalità limpida, agile, primaverile, di trilli tenuti, di acuti trasparenti e luminosi, di emissione fluida e di canto in maschera, l’aria Caro nome” è stata cantata benissimo, col cuore, con modulazioni sensibilissime e con le dinamiche vocali richieste e nel duetto “Tutte le feste al tempio”, oltre al bel legato e alla buona tecnica di canto, è emersa la varietà dei cristalli della sua voce.


Nel ruolo del Duca di Mantova Shalva Mukeria ha elargito con generosità una voce chiara, estesa e solida, dallo squillo sicuro (“Questa o quella”); il suono, piuttosto rigido perché nasaleggiante nella zona media, si ammorbidisce nel canto a mezza voce e diventa luminoso quando passa al registro acuto, il tenore porge con vigore e potenza una voce dagli acuti taglienti e sovracuti svettanti sopra un’orchestra pompante nel rapimento di Gilda (“Ella mi fu rapita”, “Possente amor mi chiama”), l’accento è incisivo e la dizione chiara; la padronanza scenica e la facilità d’emissione conferiscono credibilità e comunicativa al personaggio.

Il basso Eugeniy Stanimirov Iossifov, nel ruolo di Sparafucile, ha esibito bella voce scura, morbida, con gravi consistenti e tenuti a lungo; Pasquale Amato come Monterone ha un mezzo vocale scuro ampio e sonoro; Saverio Pugliese (Matteo Borsa) è un tenore chiaro.

Veronica Senserini (Giovanna) ha usato bene una voce dai suoni scuri, rotondi e tenuti; il mezzosoprano Alessandra Palomba (Maddalena) ha cantato con voce offuscata senza spessore né volume; debolino è risultato il soprano Miriam Artiaco nel ruolo della Contessa di Ceprano.

Gli altri: i baritoni Mirko Quarello (Marullo) e Marian Reste (Il Conte di Ceprano) e il soprano Bianca Tognocchi (un paggio della Duchessa).

Bravo scenicamente e vocalmente il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, ben preparato e diretto da David Crescenzi.

Curiosità

Il Duca di Mantova fu un ruolo caro anche al tenore marchigiano Mario Tiberini che lo debuttò nelle Antille nel 1855 e lo interpretò in America tra il 1855 e il 1857, lo cantò poi a Barcellona (1859) con Angiolina Ortolani che sposò nello stesso anno, a Napoli (1861-62), a Firenze (1862), a Madrid (1868-69). “Il tenore, accattivante nei pezzi di grazia e di sentimento, nei pezzi di forza ha trovato il modo di farsi applaudire senza far spreco inutile di voce”.