martedì 26 febbraio 2013

Fano-Teatro della Fortuna DUE DI NOI commedia







FANO - Teatro della Fortuna

   

DUE DI NOI

Commedia di Michael Frayn con due big dello spettacolo Lunetta Savino ed Emilio Solfrizzi e la regia di Leo Muscato.  
lunedì 18 febbraio 2013

Di Giosetta Guerra


 

I personaggi resi noti dal piccolo schermo hanno un punto di attrazione in più quando si presentano a teatro. Il teatro della Fortuna di Fano era tutto esaurito per la commedia

Due di noi di Michael Frayn, con Lunetta Savino ed Emilio Solfrizzi resi noti dalle fictions televisive Nonno libero e Tutti pazzi per amore.

La versatilità di questi due attori è stata alla base di una serie di equivoci e travestimenti previsti dal copione, che richiedevano vivacità d’azione, velocità nei cambi, apertura e chiusura frenetica di porte e finestre, entrate ed uscite lampo, dialoghi fittizzi con personaggi immaginati fuori scena. E sì, perché loro due dovevano raccontare le paradossali situazioni di cinque persone.


La commedia è l’insieme di tre atti unici, ambientati in un interno a due piani, di cui solo il primo è visibile e il secondo è intuibile al termine di una scala laterale.


Nel primo atto, intitolato Black and Silver (nero e argento), il sipario si apre su una camera da letto con pareti verdi e coperta di ciniglia rosa, la stessa camera dove la coppia aveva trascorso la luna di miele, ma, invece di riprendersi dallo stress, non riesce neanche a dormire a causa di un pargoletto insonne relegato nel bagno dentro la sua carrozzina. Su e giù dal letto per tutta la notte, lui in pigiama, stralunato e insofferente, con mimica facciale e gestuale caricata, fa cadere gli oggetti e agita con violenza la carrozzina, lei in camicia da notte e capelli neri, delusa e apatica, sa solo rispondere “” o “Non lo so”; invece di amoreggiare litigano, mentre dall’altra camera d’albergo si sentono i gemiti di due che fanno sesso. La scena è piuttosto monotona e ripetitiva, l’attorialità dei due è nel gesto, nella deambulazione, nell’espressività.

La seconda parte, intitolata Mr Foot (Signor Piede), mostra marito e moglie un po’ invecchiati, lui coi capelli grigi e il giornale, lei coi capelli biondastri, vestito a righe, occhiali rossi, una bottiglia e un bicchiere in mano, seduti in salotto, comunicano un senso di stanchezza e d’incapacità di comunicare, la loquacità di lei, sempre un po’ brilla, si scontra con il silenzio di lui, o meglio con le mosse della faccia di lui e col movimento espressivo del suo piede.  Testo piuttosto noioso. I ruoli sono fortemente caratterizzati dai due bravi attori.


La terza parte, intitolata Chinamen, è un vero e proprio atto di virtuosismo scenico. Si svolge nella sala da pranzo con tavola apparecchiata e i due protagonisti devono trovare mille escamotages per gestire una cena alla quale hanno per errore invitato una coppia di amici da poco separati e il nuovo boyfriend dell’amica separata. E quindi scatta il meccanismo della comicità tra situazioni assurde e incresciose, gags comiche e a volte volgarotte, risatazze forzate di lui, travestimenti, personaggi che entrano ed escono, che si chiudono in bagno o che vengono chiusi in garage, tentativi di evitare incontri imbarazzanti, un vorticoso andirivieni dei cinque personaggi con apertura e chiusura di porte, interpretati, ovviamente, solo da Lunetta Savino ed Emilio Solfrizzi. Due attori per cinque personaggi. La Savino vestita di verde e coi capelli rossi come padrona di casa, si presenta vestita da hippy coi capelli lunghi lisci e occhiali quando impersona Alex, l’amico dell’amica, indossa poi un mini abito in lamè, una parrucca riccia bionda e stivali quando deve entrare come l’amica di Alex, ovvero la moglie separata del loro amico; Solfrizzi è un composto padrone di casa coi capelli castani lisci e appiccicati alla testa, ha una giacca gialla e un mazzolino di fiori in mano per fare l’amico separato, riccioluto e un po’ brillo, ma gli ingressi di questi personaggi sono continui e a intermittenza e si può immaginare la frenesia dei cambiamenti dei due attori dietro le quinte per non interrompere il ritmo della commedia. La loro versatilità e la loro bravura si esprime soprattutto nel vorticoso trasformismo, nell’isterismo di discorsi senza senso e nel crescendo di equivoci di questo dinamico terzo atto, che ci ha divertiti molto, nonostante la difficoltà ad udire tutte le parole del testo, sia perché molte battute venivano pronunciate fuori campo o con la faccia rivolta dietro le quinte, sia perché gli attori non erano microfonati, sia per la mia posizione piuttosto scomoda anche per la visione.


Scene di Antonio Panzuto, costumi di Barbara Bessi, disegno luci di Alessandro Verazzi. Produzione di Roberto Toni per ErreTiTeatro30 Teatro Stabile di Firenze in collaborazione cin LeArt

 

domenica 24 febbraio 2013

Milano-Teatro alla Scala-Balletto Notre Dame de Paris




Milano Teatro alla Scala
SAN VALENTINO CON ROBERTO BOLLE: WHAT’S BETTER?
Notre-Dame de Paris
Coreografia e libretto di Roland Petit

 (14 febbraio 2013)
Una partitura di potente efficacia per una coreografia dalle tinte forti con effetti scenici mozzafiato.
 



Étoile:  
Roberto Bolle
magnifico Quasimodo

  Artista ospite Natalia Osipova prima ballerina al Teatro Mikhailovskij e all’American Ballet Theatre

Analisi di Giosetta Guerra

Notre Dame de Paris torna in scena alla Scala dopo più di dieci anni con una produzione del Teatro Bol’šoj di Mosca. Il balletto ideato nel 1965 per l’Opéra di Parigi da Roland Petit è la narrazione in chiave moderna della storia della zingara Esmeralda e del gobbo Quasimodo che si svolge dentro la cattedrale di Parigi, tratta da un classico della letteratura francese, Notre Dame de Paris di Victor Hugo (1831), sfrondata e filtrata attraverso la leggerezza e l’eleganza, cifra stilistica del grande maestro recentemente scomparso.












La cupezza del romanzo è alleggerita dai colori vivaci e raffinati come le vetrate d’una cattedrale gotica dei costumi di Yves Saint-Laurent (per Esmeralda avrei preferito un costume più gitano); per la scenografia stilizzata, con i luoghi evocati senza eccesso di realismo, René Allio crea una serie di effetti scenici con la presenza silente ma incombente della cattedrale, le torri sfumate di Notre-Dame, le forche praticabili, le botole che si aprono e si chiudono come portelli; le coreografie di grande teatralità di Roland Petit impiegano il corpo di ballo in modo sia decorativo che espressivo e il corpo di ballo del Teatro alla Scala è uno dei migliori al mondo per attuare le richieste dei coreografi, le luci a volte violente di Jean-Michel Désiré aumentano l’efficacia e la suggestione dei quadri e delle figure. 


La musica di Maurice Jarre è moderna e incisiva, sembra la colonna sonora di un film, è composta di una serie di brani apparentemente staccati e discordanti per forme melodiche e ritmiche, ma appositamente composti come solida base dei differenti episodi coreografici. Un grande organico, quello dell’Orchestra del Teatro alla Scala diretta da Paul Connelly, ha restituito le atmosfere ora violente ora sognanti di questa variegata partitura (tra gli orchestrali anche un bravo percussionista della mia provincia, quella di Pesaro, certo Giacomo Sebastianelli).

Quattro sono i personaggi solisti della vicenda dalle forti tinte drammatiche e passionali: Phoebus capitano degli arcieri, Frollo asceta e arcidiacono di Notre Dame che un tempo aveva salvato e allevato un bambino deforme  ed ora è tormentato da lampi di passione verso la zingara Esmeralda, Esmeralda una fanciulla perseguitata e libera che troverà proprio in Quasimodo un’anima nobile e innamorata e Quasimodo il noto campanaro gobbo di Notre Dame, ma ci sono grandi sequenze per tutti, masse, protagonisti e comprimari. E il popolo (come un coro antico) è il primo spettatore del dramma di cui commenta le vicende.
La coreografia definisce i lineamenti fisici ed emotivi dei quattro protagonisti, che devono essere dotati di spiccato talento sia tecnico che teatrale.

Phoebus, bello, biondo, quasi un principe, atletico e sicuro, è protagonista di scene amorose, in questo ruolo il bravissimo ballerino Eris Nezha esibisce plasticità e tonicità muscolare con piroette, slanci divaricatissimi, cabrioles derrières.


Esmeralda ha la forza di carattere della gitana e la fragilità della donna sensibile, la interpreta la ballerina russa Natalia Osipova, dotata di tecnica raffinata ed elegante leggerezza negli arabesques, nelle attitudes, nelle fouettés, nelle variazioni. I pas de deux e i pas de trois con gli uomini che la desiderano sono grandi momenti di  tensione tragica.
La passione nevrotica e perversa di Frollo per Esmeralda si esprime con una coreografia incisiva ed elaborata, dal tremito della mano che risponde al ritmo del tamburello di Esmeralda, ai folgoranti e acrobatici manèges de jeté che fendono l’aria, tours en l’air, pirouettes, salti fulminei, è un ruolo molto tecnico che richiede un virtuosismo eccezionale e capacità di comunicare il tormento interiore, ricoperto alla perfezione da Mick Zeni, vestito di nero.










Quasimodo è fisicamente sagomato: il collo infossato dentro le spalle sollevate e squadrate ad appendiabito, le braccia ora piegate ad angolo ora ciondolanti, le mani contorte, le gambe incrociate o piegate a linea spezzata, un corpo sghembo che racchiude un’anima tenera.  


E ce ne vuole per rendere così un corpo bello ed armonico come quello di Roberto Bolle, la cui muscolatura scolpita emerge comunque e la cui arte coreutica rende lievi e plastiche anche le movenze di un mostro. La plasticità del suo corpo è unica, quando penzola alla campana, sopra guizzi di tromba, è quasi un corpo senza peso. Inoltre tenere quella postura asimmetrica e ballare sbilanciato è frutto di un lavoro arduo, ma Roberto Bolle raggiunge sempre la perfezione anche in situazioni lontane dall’aggraziata eleganza.
La folla è una massa brulicante, cui è riservata una gestualità più che una coreografia, atta a offrire un’impressione generale di gioia sfrenata, di devozione, di durezza o di forza selvaggia.

La festa dei folli in apertura del primo atto è eseguita da un corpo di ballo coloratissimo che si muove a passo frenetico di danza, saltelli, piegamenti, giravolte, sollevamenti, in una sincronia perfetta, da cui sbuca Quasimodo con costume beige fasciante che viene eletto re dei folli, interpretato da un Roberto Bolle paurosamente contorto, snodato, accartocciato su se stesso, con movimenti a scatto. Giunge Frollo tutto nero (Mick Zeni), su un rullo di tamburi, le ballerine assumono posizioni di preghiera con passi di flamenco e agitazione ossessiva delle mani e delle braccia su un lungo assolo di tamburello. Accompagnata da una musica leggera arriva Esmeralda, alias Natalia Osipova in una specie di guepière bianca (bordò nel secondo atto), ballando sulle punte e Quasimodo accartocciato a terra la guarda con faccia stravolta, sguardo penetrante  e sorriso estasiato. I due si rincorrono sul tetto della cattedrale sopra una musica scandita. Escono dalle botole dei diavoli rossi striscianti, che intessono una danza smodata e inquietante su musica quasi medievale, creando magnifiche figure d’insieme con sincronia di movimenti tra il grottesco e lo spiritato e straordinario effetto visivo. Phoebus, in bianco con mantello azzurro, salva la zingara da Quasimodo, l’abbraccia e inizia una danza frenetica a scatti e movimenti isterici sospinto dai soldati in bianco, nero e rosso, su musica martellante e a strappi. I due giungono alla taverna, prostitute dal seno prorompente denudano Phoebus, che intesse una danza flessuosa con Esmeralda su musica romantica ed erotica, cui si unisce Frollo prima di uccidere Phoebus.                                 

Torna la musica martellante e a strappi con percussioni e trombe per la scena del processo, la massa colorata sembra attraversata da scariche elettriche. Quasimodo accorre a salvare la sfortunata facendosi strada tra la folla, Bolle è talmente inserito nella parte che sembra l’uomo della jungla vissuto coi lupi, ma il suo fisico è ovunque riconoscibile come lo è la sua danza perfetta, ricca di cabrioles derrières, ports des bras, tours en l’air, pirouettes, enchaînements, anche in posizioni scomode.  Straordinario.


Il secondo atto si apre sulla struttura lignea del campanile di Notre Dame,

Quasimodo, alias Bolle, esprime la sua felicità di avere lì la bella zingara con piroette volutamente sgraziate, evoluzioni a terra, slanci e movimenti a scatti, resi ancor più difficili da un corpo volutamente legnoso e disarmonico. E che equilibrio!

All’arrivo di Esmeralda accompagnata dalle voci soliste dei clarini, del flauto e del fagotto, inizia un poetico pas de deux su una musica dolce e romantica, un pezzo da antologia, per una coreografia mirata ad esprimere sentimenti contrastanti che sfociano in una tenera intesa tra i due, nel quale la Osipova  esterna tutta la grazia e la duttilità delle movenze con una danza di tipo classico seppur a tratti agitata dalle folgorazioni della musica e Bolle, interprete fedele della psicologia e della gestualità del gobbo che in questo incontro sembra perdere la sua deformità (potere dell’amore), si rivela in tutta la sua magnificenza di artista; la gitana si addormenta e viene svegliata da Frollo che la bacia e poi la schiaffeggia perché rifiutato. L’attacco alla cattedrale da parte dei soldati che cercano Esmeralda viene sostenuto dalla folla che si esibisce in una danza tribale e frenetica sostenuta da un ampio crescendo di percussioni sole,Quasimodo si fa largo per salvare la donna, la figura statuaria di Bolle emerge da una massa informe e prostrata, da cui spicca il colore chiaro delle braccia e delle facce sul nero assoluto delle vesti e delle capigliature erinnesche delle donne (effetto scenico mozzafiato).

La musica è deflagrante e martellante e si stempera nella scena del patibolo con pizzicati degli archi, strappi di tromba, languide arcate dei violini, poi la folgorazione dei piatti nel momento in cui Quasimodo strangola Frollo seguita dal tintinnio dei tamburelli (ossessione delle notti insonni dell’arcidiacono). Musica delicata per l’intensissimo quadro finale con la folla distesa a terra, nero su nero e il bianco delle carni, e Quasimodo che si allontana col corpo senza vita di Esmeralda abbandonato sulle sue spalle. Un‘emozione unica che ho rivissuto ricostruendo questa descrizione dettagliata.



Ho rivisto il balletto su RAI 5 il 17 febbraio alle ore 21.15 e finalmente ho potuto vedere le scene al completo, che non avevo visto a teatro nel palco al IV ordine sopra l’orchestra riservato alla stampa.


mercoledì 20 febbraio 2013

Ancona-Teatro alle Muse - Madama Butterfly





Ancona - Teatro delle Muse “Franco Corelli”


Stagione lirica 2012/13

Madama Butterfly

nel nuovo allestimento della Fondazione Teatro delle Muse di Ancona

(Recita del 10 febbraio 2013)

Puccini entra più nelle orecchie che nel cuore

Di Giosetta Guerra

Il sipario è aperto e nei dieci minuti di ritardo per l’inizio dell’opera gli spettatori possono osservare la scena. Il palcoscenico è cosparso di petali rossi, al centro c’è una pedana lignea quadrata, alla quale si arriva tramite passerelle laterali verde scuro a linea spezzata, dalla botola centrale esce un figurante nero che si posiziona immobile al centro. Pinkerton in divisa bianca giunge dalla platea al primo attacco dell’orchestra e chiama i servitori per i bagagli. Lo guida un ossequioso e venale Goro, poi si presentano Suzuki con un kimono rosa antico (grigio e rosso scuro nel secondo atto) e Sharpless con un gessato chiaro, scarpe marrone, paglietta e bastone. Cio Cio San con ombrellino e kimono fiorito bianco e rosso entra preceduta da una fila di giapponesi con kimono grigio e ombrellino bianco. Anche lo zio Bonzo arriva dalla platea. La protagonista indossa un kimono di raso bianco per la notte di nozze, poi un abitino bianco all’occidentale e infine un kimono scuro.
Il popolo è vestito in varie gradazioni di grigio e ha i capelli neri acconciati alla giapponese.
Semplici arredi sono portati a vista, l’ombrellino simbolo del Giappone diventa ombrellone sopra una sdraio sulla quale Butterfly si adagia e una casetta in miniatura è spesso presente.
Il fondale assume colorazioni diverse in base ai momenti e agli accadimenti: chiaro, rosato, rosso sfumato, grigio, azzurro, color cipria, blu, celeste che sfuma al rosa, livido. Anche la pedana e le passerelle cambiano di colore.
 

L’area attorno alla pedana, inizialmente piena di fiori, nel secondo atto diventa un suggestivo e fantasioso mare di bandierine americane, mentre la pedana viene coperta da fiori rossi sparsi a mano dalle due donne o provenienti a pioggia dall’alto, poi, rimosse a vista ad una ad una tutte le bandierine e riposte in cassette da inservienti, compare uno specchio d’acqua in cui appaiono conficcate pedana e passerelle e si riflettono le immagini.
Bellissime le figure in controluce. Il decorativo e l’esotico sono presenti nelle scene, con base fissa, luminose e suggestive. Il regista rispetta la gestualità giapponese e la poetica delle piccole cose, ma compie una scelta orripilante alla fine: al momento del karakiri tiene il bambino di spalle in un angolo coi suoi giocattoli e dopo la morte della madre gli fa coprire con un lenzuolo il cadavere… della madre… Capite? Davvero raccapricciante! 
Regia, scene e luci sono opera di  Arnaud Bernard.

In Madama Butterfly il sentimento, che non è sentimentalismo, si esprime con una varietà di disegni strumentali e vocali mai sentiti prima di Puccini e l’originalità sta proprio nella ricchezza di sonorità cangianti e allusive che riescono a creare una sorta di osmosi tra personaggio e luogo scenico.
E per portare anche lo spettatore dentro questo cerchio fatato occorrono grandi interpreti.
Al teatro delle Muse di Ancona nel ruolo di Madama Butterfly Elena Popovskaya riesce ad esprimere la tinta pucciniana, la voce è di bel colore e abbastanza melodiosa, passa agevolmente dalla densità dei suoni medio gravi alla levità dei suoni acuti con linea di canto morbida, buon dosaggio del fiato, peccato che talvolta l’acuto sia gridato e la dizione incomprensibile. Inoltre la sua resa non è costante. Nella nota melodia “Un bel dì vedremo”, dopo l’attacco delicato, non riesce ad entrare nell’interiorità e nell’intensità della pagina, che esegue con potenza vocale, voce vetrosa, linea di canto poco omogenea, dizione zero; è più intensa nell’addio al figlio. Il soprano russo ha facilità nel canto a piena voce, ma corre il rischio di stringere i suoni e di essere monocorde; dovrebbe ammorbidire l’emissione, fraseggiare con maggior consapevolezza,  imparare la pronuncia. Udire delle urla, vedere gesticolazioni e non capirne il motivo è una vera tragedia.
Pinkerton ha la voce luminosa, anche se di grana un po’ aspra (“Dovunque al mondo”) e lo squillo bello e sostenuto del tenore Luciano Ganci, bravo nel canto lanciato, flebile nei pianissimi, impreciso nella pronuncia. Dopo un attacco morbido esegue l’aria “Bimba dagli occhi pieni di malia con voce rigida evitando a malapena una stecchina, canta bene a piena  voce “Addio fiorito asil”. La bruciante comunicativa della melodia attira sempre l’applauso.
I dialoghi tra lui e lei sono incomprensibili e spesso coperti dall’orchestra.
Il mezzosoprano Enkelejda Shkosa nel ruolo di Suzuki esibisce un denso corpo vocale, voce robusta e appoggi pieni, ma non si capisce niente.
Ci rincuora la dizione chiarissima di Gianfranco Montresor sia nel canto, che
nei recitativi di conversazione e nella lettura della lettera. Il baritono interpreta il ruolo di Sharpless con eleganza e compostezza, la voce risulta qui più chiara e di minor peso rispetto ad altri teatri o opere, ma il canto è sempre sul fiato, il suono è sostenuto e ben proiettato, il fraseggio espressivo, l’emissione ben dosata.
Goro è interpretato dal tenore Stuart Patterson, lo zio Bonzo da Gianluca Breda, un basso roboante che terrorizza tutti anche se non si capisce cosa dice, Kate Pinkerton ha la vocina tremolante del soprano Aliona Staricova, il principe Yamadori è Giacomo Medici, il commissario imperiale è Gianni Paci, lufficiale del registro Alessandro Pucci.

E chi era quel bravissimo, piccolissimo bambino?

Dal Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, preparato da Pasquale Veleno emerge la morbidezza della sezione femminile. Appena percettibile il coro a bocca chiusa eseguito con qualche incertezza fuori campo. Peccato!
Nessuno, tranne Montresor, ha una pronuncia comprensibile e in un’opera di conversazione non capire le parole è un vero problema.
L’acustica del teatro non rende giustizia a nessuno se non all’orchestra, la FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, che diretta da Renato Palumbo sviluppa i temi e le cellule melodiche della partitura, restituendo le giuste atmosfere e la tinta pucciniana. Il clima dell’opera, più che dai  personaggi, è delineato dalla musica: nel primo atto i suoni orchestrali sono morbidi, l’esotismo è evocato dalla tavolozza ritmica ed armonica di colorata varietà per la descrizione dei luoghi e dei personaggi minori, nel secondo il tessuto sonoro è pervaso da una musica armoniosa, è sospeso a un filo per la lettura della lettera, è coinvolgente e penetrante fin dalle prime note del coro a bocca chiusa, nel terzo atto la musica è ricca di colori, di paesaggi, di atmosfere, si passa dalla leggerezza delle volatine dei violini con dissolvenza del suono a densità sonore più calde fino al drammaticità del finale con sonorità alte ed ossessionanti.
 












giovedì 14 febbraio 2013

Ferrara – Teatro Comunale - Il Barbiere di Siviglia






Ferrara – Teatro Comunale

Il Barbiere di Siviglia di Rossini

(8 febbraio 2013, prima)


Servizio di Giosetta Guerra

Scenografia astratta e geometrica, resa dinamica attraverso il colore, per un BARBIERE mosso e colorato.

Rossini guida così bene il gioco scenico che a volte si può anche fare a meno di ricostruire gli ambienti. Il regista Italo Nunziata e lo scenografo/costumista Pasquale Grossi fanno svolgere la vicenda in una stanza anonima, atemporale e incolore, personalizzata all’occorrenza da pochissimi oggetti o arredi portati dentro e fuori da figuranti stilizzati, resa dinamica dallo scorrimento delle pareti per diversificare (si fa per dire) gli ambienti e dal continuo aprirsi e chiudersi di porte e finestre per l’ingresso, l’uscita, le apparizioni dei personaggi anche dai piani alti, rischiarata e colorata dalle vivaci luci di fondo provenienti dagli infissi aperti (arancione, fuxia, giallo, rosso, verde acido).
Fondamentale l’uso delle luci, disegnate da Patrick Latronica, con le quali, ispirandosi al neoplasticismo, corrente artistica olandese dei primi del 900, si disegnano anche figure geometriche con strisce blu e bianche sulle pareti della stanza di Rosina e si costruiscono suggestive immagini in controluce.
La lettura registica si barcamena tra il garbo e il divertimento: l’ironia, il sarcasmo, la burla, la caricatura, i sotterfugi, gli equivoci, gl’inganni sono scevri da eccessi e da gigionerie.
Il personaggio più caricaturale è Don Basilio, una figura allucinata con lunga capigliatura bionda spettinata, grande mantello nero e la faccia mobile di Lorenzo Regazzo; Don Bartolo, che subisce il supplizio di Tantalo (desidera ciò che non può avere - dramma comune), è un gran dottor della sua sorte, in redingote gialla e parrucca riccioluta, con la tipica deambulazione del vecchietto ma col fisico asciutto, la gestualità elegante e l’espressività di Alfonso Antoniozzi; Filippo Adami, con fusò da ballerino e varie fogge di giacche, cappotti e parrucche in base ai travestimenti, è un dinamico Conte d’Almaviva; parrucche ricciolute anche per Rosina e Berta, interpretate da Josè Maria Lo Monaco e Novella Bassano; Gezim Myshketa è un vero factotum con gli atteggiamenti di un sensale di campagna; tutti i maschi hanno pantaloni bianchi attillati, giacche prevalentemente azzurre (rossa per Figaro), scarpe bianche con un po’ di tacco e parrucca col codino; il bianco e l’azzurro sono colori che si ripetono anche nei semplici costumi delle donne.
Armoniosi ed eleganti i figuranti vestiti d’azzurro e con le facce bianche, che intervengono silenziosamente in ogni situazione per portare o porgere oggetti, che si posizionano in modo statuario vicino ai protagonisti per dare un effetto pittorico alla scena. Solo che ci siamo posti delle domande: “Chi erano quei valletti, se Bartolo non aveva tutta la servitù che aveva invece Don Pasquale? Per chi sono i numerosi pacchi che i valletti portano in casa, per Rosina o per Norina? E poi perché Rosina, che da libretto ha il capello nero, ha la parrucca bionda?
La regia tende a figurare e a movimentare un po’ la musica di Rossini: i concertati e gli assiemi sono mossi, i duetti sono a volte disturbati dai movimenti di gente dietro.
È vero che il Barbiere rappresenta una giornata di follia organizzata, ma il movimento c’è già nella musica rossiniana e nulla deve distrarre il ritmo e la verve che essa sprigiona.
Anche se il giovane direttore Sergio Alapont alla guida dell’Orchestra Città di Ferrara ha tenuto il ritmo sotto controllo, un po’ in linea con l’algida scenografia, prediligendo la leggerezza, l’agilità e la pulizia del suono, lievitando nei crescendo: insomma una presenza garbata per il sostegno del canto.
Il cast ben affiatato e partecipe al gioco scenico ha restituito uno spettacolo fresco e dinamico. Sul piano vocale sono emerse le voci scure di Alfonso Antoniozzi e Lorenzo Regazzo.
Il baritono Alfonso Antoniozzi, attore provetto e cantante di pregio, riesce a piegare con grande scioltezza una voce poderosa, di bel colore, ampia, estesa, flessibile, alle esigenze del canto fortemente sbalzato del buffo rossiniano, la parola è chiara anche nel sillabato più fitto e vorticoso della difficile aria tripartita A un dottor della mia sorte e i recitativi hanno la musicalità del canto.
Il basso Lorenzo Regazzo, un Basilio di lusso, ha voce ampia, timbrata, agilissima e magnifica in ogni suono, è formidabile per colore, solidità, estensione, correttezza d’emissione e morbidezza del canto, ha presentato una Calunnia con tempi inizialmente più lenti per dare incisività alla parola, che è stata sempre chiara anche nella meccanizzazione dei sillabati virtuosistici, ed ha poi assecondato il ritmo del crescendo nelle lievitazioni dello schiamazzo che alla fin trabocca e scoppia.
 

Molto bello il timbro tenorile di Filippo Adami che ha la tipica voce del tenore contraltino rossiniano, chiara, svettante, sicura nella tessitura acuta, ma di Rossini dovrebbe  acquisire anche la fluidità del canto di coloratura che invece è risultato piuttosto approssimativo. Il rondò finale Cessa di più resistere è stato omesso.
Gezim Myshketa è un Figaro versatile che esordisce con una cavatina ben fatta ed intonata, il baritono ha bella gettata di voce, ampia, sonora e di buon peso, padronanza negli acuti, sillabato pulito.
Josè Maria Lo Monaco presta a Rosina una voce di mezzosoprano dal bel colore scuro, dopo qualche incertezza iniziale nelle progressioni acute, ha esibito una linea di canto corretta e morbida, buone agilità, suoni pieni e rotondi.
Novella Bassano (Berta) è un soprano corretto con voce pulita che emerge nei concertati e risulta agile nell’aria di sorbetto Il vecchiotto cerca moglie.
Alex Martini (Fiorello) ha un bel timbro baritonale e il baritono Yannis Vassilaki è un Ufficiale.
Commenta efficacemente l’azione il bravo Coro Voxonus Choir, preparato e diretto da Alessandro Toffolo.