lunedì 30 marzo 2015

Fano Teatro della Fortuna. Prosa. Quando la moglie è in vacanza



Fano (PU) Teatro della Fortuna

QUANDO LA MOGLIE 

È IN VACANZA            

commedia musicale di George Axelrod, traduzione e adattamento di Edoardo Erba

(17 e 18 marzo 2015)

Le tentazioni non mancano e neanche i sensi di colpa


Di Giosetta Guerra


Quando la moglie è in vacanza è una commedia musicale sulle fantasie erotiche dell’uomo medio, ingabbiato dentro le maglie del perbenismo di una certa “middle class”, a cui si presenta inaspettatamente l'occasione di rendere concrete certe fantasie. 
Riccardo, un editore di mezza età regolarmente sposato, tranquillo come un vulcano spento, vive la sua banale quotidianità con la linearità e la piattezza dell'abitudine, ma succede qualcosa che riaccende il vulcano: la moglie è andata in vacanza e 
LUI È SOOOLO!!! 
Finalmente si può rilassare. 
Nel grande soggiorno studio tappezzato di libri, con una grande finestra balcone su Roma, Riccardo si sente libero di fare quel che vuole senza programmi né costrizioni: una partita in TV, un po' di cronaca, una canzone cantata con la base, una spolveratina ai suoi ricordi (o fantasie?) che si materializzano in una sfilata delle sue presunte conquiste e il vulcano comincia a riscaldarsi, mentre il suo alter ego proiettato su una parete laterale fa la voce della coscienza. 

La moglie lo stressa al telefono e un forte rumore lo fa sobbalzare: dal piano superiore una pianta di limone è caduta sul suo balcone e dopo un po' si presenta la proprietaria,

 una bella bionda coscia lunga con gli shorts, sciolta nelle parole e negli atteggiamenti, che crea vari qui pro quo nella mente di Riccardo, pericolosamente in bilico tra l'esplosione del vulcano e la voce della coscienza.
Massimo Ghini, che ha di natura un volto teatrale, per la mobilità espressiva degli occhi e della bocca, l'aria un po' spaesata (mi viene in mente la canzone su Genova di Paolo Conte ”con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così, … che ben sicuri mai non siamo e circospetti ci muoviamo, un po' randagi ci sentiamo...), incarna a meraviglia i cambiamenti d'umore di Riccardo, la lotta tra il desiderio e il dovere, gli scontri con la sua coscienza che lo stressa coi sensi di colpa, l'estasi voluttuosa davanti alla bellezza femminile. È una satira ai dogmi del perbenismo bigotto e standardizzato che non tiene conto del bene personale ma di quello degli altri, che santifica la verità e la sincerità a tutti i costi e che non permette nessuna espansione reale alle nostre fantasie.
Attore completo e versatile, Ghini ha una grande padronanza scenica, vive la situazione non la recita, riesce a trasmettere l'insicurezza di chi si trova in situazioni incresciose combattuto tra il volere e il dovere, il ritmo è serrato e leggero, la naturalezza del gesto e della parola danno una dimensione reale alla vicenda, è un bell'uomo, in più canta e canta bene, sul fiato, con bel timbro scuro, giusta intonazione e voce impostata, in grado di modulare e ammorbidire i suoni; un artista perfetto per un revival della commedia musicale portata in scena a suo tempo dal grande Johnny Dorelli. Bravissimo! 

Lo affianca Elena Santarelli, una bellissima ragazza, altissima e ben fatta, con un abbigliamento ridotto (prima con gli shorts poi con un abitino nero corto) che mette in evidenza le sue grazie, per il piacere e il turbamento dell'indeciso Riccardo, che si agita, accende una sigaretta, beve un sorso di ruhm, duetta con lei al pianoforte. 
Lei è svampita, cinica, sciolta e disinibita, ma garbata, ingenua e rispettosa, recita e si muove benissimo.
Le musiche e le canzoni sono di Renato Zero.
In scena con i protagonisti altri bravissimi attori, in grado di dare credibilità al loro ruolo: Edoardo Sala è il prof Brusaioli, figura tipica dello strizzacervelli, sicuro e determinato soprattutto per il suo tornaconto, Anna Vinci è la moglie Silvia serena, moderna e mondana al punto giusto, Luca Scapparone è Tommy Maccaferry, un affascinante scrittore sicuro di sé e narcisista, eccessivo e gesticolante che si sente sempre sotto le luci della ribalta, Bianca Giannasso è una segretaria compunta e puntuta ma col fuoco nascosto, Giorgia Cerruti è un fior di ragazzona francese con striminziti hot pants, Katia Nannavecchia con abito blu a schiena scoperta e petto in fuori è una provocante Liliana.
Tutte ben caratterizzate e ben carrozzate avanti e retro queste amanti presunte, immaginate, agognate, immaginarie o vere, reali, tangibili del protagonista...chissà?
Le scene belle e luminose sono di Aldo Buti, il disegno luci di Adriano Pisi, i costumi appropriati di Ornella Campale.

Fantastica e arguta l'impostazione registica di 
Alessandro d’Alatri
che fa convivere, seppur distinti, immaginario e realtà: fa svolgere l'azione on stage con attori e scene colorate e proietta in bianco e nero sul velatino o sulle pareti laterali le insicurezze, le smanie, le confessioni, le fantasie, le paure, le gelosie, i ricordi dei personaggi (come si fa nelle soap opera). C'è anche una passeggiata in moto di loro due per Roma che ci ricorda “Vacanze romane”, che Ghini ha interpretato tempo fa. Talvolta le fantasie si materializzano e l'immaginario si concretizza nelle persone che agiscono in scena, è difficile spiegare, bisogna vedere, perché l'alternarsi e il concatenarsi di reale e di immaginario non seguono sempre gli stessi schemi.
Lo spettacolo, divertente, fatto molto bene e assolutamente da vedere, è una produzione La Pirandelliana.

Massimo Ghini e Giosetta Guerra











venerdì 27 marzo 2015

S. Lorenzo in C. Prosa Eugenio Allegri

San Lorenzo in Campo (PU) Teatro Tiberini










Una lezione spettacolo sulla nascita del teatro

(17 marzo 2015)

di Giosetta Guerra

Un altro monologo al teatro Tiberini per chiudere la breve stagione teatrale organizzata dall’AMAT col sostegno dell'Amministrazione comunale.
In palcoscenico il versatile Eugenio Allegri, attore torinese dalle mille sfaccettature che ha lavorato con artisti di chiara fama, come Dario Fo, Stefano Bollani, Alessandro Baricco e tanti altri. E proprio di Dario Fo si sentiva l'impronta recitativa, il Dario Fo del gramelot e del “Mistero Buffo”, di cui alla fine Allegri ha recitato alcuni passi, ma il carisma e la forza teatrale di Dario Fo sono di ben altra levatura.
La Commedia dell’Arte è al centro dello spettacolo, nel senso che Allegri ci propina una lunga lezione sulla nascita e sullo sviluppo del teatro comico, che nasce dal popolo e dalla piazza, sul contrasto tra Carnevale e Quaresima (ha detto che per carnevale l'attore si mette un naso grosso e per quaresima una maschera bianca, boh!). In omaggio alla maschera veneziana indossa la maschera del vecchio Pantalone e parla in dialetto veneziano, interpretando da solo un dialogo tra padre e figlio, indossa varie maschere e per ognuna cambia voce, registro, recitazione, parla in versi, per endecasillabi, e il pubblico coinvolto risponde.
Riprende la storia del teatro dal 1500 al 1700, quindi menziona Ruzzante, l'Aminta del Tasso, Cyrano di Rostand, poi si veste e saltella da Arlecchino.
In pratica intercala la spiegazione, appesantita da fastidiosi “come dire”, con gradevoli esempi interpretativi, riconoscibili da chi sa la storia del teatro; Allegri, mobilissimo e instancabile, è bravo nella caratterizzazione del personaggio, sia esso diabolico o angelico, comico o drammatico, ma in realtà non si capisce dove voglia andare a parare, perché l'argomento è talmente vasto che non basta pizzicare in qua e in là per esaurirlo o renderlo chiaro.

Si ha l'impressione che il suo obiettivo sia quello di far ridere la gente, fidando sullo stimolo immediato. E la gente ride. Quindi? Obiettivo raggiunto.

 

martedì 24 marzo 2015

Fano Teatro della Fortuna L'elisir d'amore


Fano Teatro della Fortuna

 Torna L'Elisir d'amore di Donizetti 
 con l'originale  allestimento, 
 in versione ridotta, di Saverio  Marconi, 
 ideato nel 2002 per lo Sferisterio di  Macerata 
  
(12 marzo 2015, prima)

  Servizio di Giosetta Guerra  



Posizionare l'orchestra in palcoscenico è un bel risparmio, perché si elimina la scenografia e in tempi di crisi è una buona scelta. Certo si riduce lo spazio per l'azione scenica, ma il regista Saverio Marconi, che aveva attuato questa sua idea allo Sferisterio di Macerata nel 2002, seppur con spazi più ampi, ha dilatato lo spazio scenico coprendo il golfo mistico, facendo entrare gli artisti dalla platea e portando l'azione anche in mezzo agli orchestrali. Ne hanno risentito certo le scene corali, col coro ridotto e ammassato sul boccascena o ai lati, inoltre, non potendo sfruttare la profondità del palcoscenico gli ingressi hanno avuto un impatto meno diretto sul pubblico, l'azione si è svolta nei pochi metri liberi e i cantanti, in piedi o seduti sull'orlo del palcoscenico, interloquivano più col pubblico che con i loro diretti interlocutori, come si fa nei concerti. Così sembrava che, mossi da ritrosia, preferissero comunicare al pubblico le loro emozioni. Beh, non è male.
Era ridotto anche il “personale” di Belcore, arrivato con quattro militari e una bandiera tricolore, erano ridottissimi gli arredi, giusto qualche panchetto, qualche tavolo e qualche baule, portati e tolti a vista da inservienti in costume per le diverse scene. Comunque la soluzione è stata gradevole, perché ci ha fatto entrare in un clima familiare con gli artisti a distanza ravvicinata, anche se elementi decorativi di carattere campestre, almeno proiettati, avrebbero restituito il clima bucolico proprio dell'opera.
A Macerata era stato fatto, ma anche la presentazione era stata più fiabesca con quella grande scatola rossa che aprendosi verticalmente ha lasciato comparire l’orchestra e che a noi spettatori ha fatto esclamare “OHHHHHHH!!!”. E allora era plausibile parlare anche dello scenografo. Al teatro della Fortuna di Fano si è andati più per le spicce e si è presentato direttamente il contenuto della scatola, inizialmente nascosta dietro un originale sipario istoriato a tema. 

Invece non ho capito perché Adina si è tolta scarpe e calze mentre parlava con Nemorino.















Il regista ha fatto quel che ha potuto, raggruppando in maniera pittorica il coro femminile sia attorno ad Adina che attorno a Nemorino, facendo camminare Dulcamara sopra i bauli e sopra il pianoforte, facendo sedere sul pianoforte sia Adina che Dulcamara, ha mantenuto il ritmo e la vivacità, ha presentato i personaggi nelle loro specificità sottolineandone l'aspetto giovanile. Simpatica l'idea di dare a tutti i paesani una fiaschetta rossa 


e più tardi a Nemorino, non soddisfatto della prima bottiglietta, una botticella di elisir, bellissimo lo sciame delle donne dietro Nemorino dopo la notizia dell'eredità, ottimo sfruttare l'agilità e la professionalità di Andrea Concetti per presentare un Dulcamara 


saltimbanco ed istrione, un personaggio dominante attorno al quale giravano le vite di questi paesani creduloni. Dominante anche sul piano vocale, perché con “Udite o rustici” si è saltati di colpo al livello superiore. 



La voce di Andrea Concetti ha colore bellissimo e pasta morbida, è estesa e timbrata in tutti i registri, con gravi poderosi, suoni rotondi e magnificamente dosati, slanci acuti in maschera e mai sparati, come invece spesso fanno gli altri cantanti, è duttile e agilissima nel sillabato veloce del basso buffo e nel “recitar cantando”. Alla perfetta tecnica di canto si aggiunge la dizione chiara. Magnifico sul piano attoriale, il suo Dulcamara, pur essendo un imbroglione, è sempre un signore.
Concetti ha raggiunto la maturità artistica e vocale per affrontare ruoli seri e per essere un intenso Filippo II (Ha cantato magnificamente "Ella giammai m'amò" quando gli è stato conferito il Premio Tiberini d'oro nel 2013).
Bravo Antonio Poli, un Nemorino ingenuo e paffutello che si è imposto per bella gettata di voce, sicurezza d'emissione, voce ampia e limpida di tenore lirico, buon sostegno del fiato anche nei suoni smorzati (“Esulti pur la barbara”), voce robusta che sa piegare al canto patetico (“Adina credimi”), e modulare in modo espressivo nell'esternazione dei sentimenti (“Una furtiva lacrima” che ha attaccato piano sopra un'orchestra delicata, alternando poi suoni robusti a mezze voci e a filati, cantando sul fiato).



Molto carina l'Adina di Mihaela Marcu, un soprano dalla bella voce, che ha iniziato con suoni un po' gonfiati ed esplosivi, bassi vuoti e vocali strette (“Della crudele Isotta”), ma poi ha cantato in modo aggraziato, con suoni belli, acuti che fendono le orecchie, trilli robusti, l'attrice è stata graziosa e frizzante, la cantante ha modulato bene la voce nella bellissima aria coi pizzicati dei violini e con cabaletta pirotecnica “Prendi per me sei libero”, ma la dizione era precaria.
Un po' sopra le righe il Belcore di Bruno Taddia, che, padrone del palcoscenico, ha delineato un Belcore più cattivo che spaccone, 
vocalmente ha bel colore e bella tenuta delle arcate, fiati lunghi, accento troppo scandito (“Come Paride vezzoso”). Esagerato nella gestualità e nell'emissione, in qualche tratto ha perso la giusta intonazione.
Giannetta è stata interpretata da Sara De Flaviis, soprano dalla voce pulita e scintillante con un leggero vibrato.
Morbide e gradevoli le pagine corali, specialmente quelle che si sposano con i terzetti e i quartetti. Il Coro del Teatro della Fortuna “M. Agostini”, preparato con scrupolo dal M° Mirca Rosciani, è entrato con precisione nel ritmo giocoso dei concertati e nella delicatezza delle pagine elegiache, gradevole anche sul versante visivo per gli abiti chiari di foggia campagnola, il cappello di paglia di alcuni, l'atteggiamento teatrale, il Coro non ha potuto disegnare figure sceniche specifiche per mancanza di spazio, quindi si è persa l'atmosfera campestre che caratterizza l'opera.

Si è notato qualche rallentamento iniziale e qualche sonorità eccessiva nella
FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, diretta dal M° Francesco Lanzillotta, ma nel complesso la prestazione è stata buona.
Un pianoforte al centro del palcoscenico, alle spalle del direttore, era suonato durante i recitativi dal M° Cesarina Compagnoni, in costume di scena e punto di appoggio per i “lai” dei protagonisti.

La
coordinazione musicale era affidata ad alcuni monitor visibili agli artisti.
I costumi freschi e luminosi, più colorati quelli di Dulcamara e di Belcore, erano di Carla Accoramboni, le scene, che non c'erano, di Gabriele Moreschi, le luci di Valerio Tiberi.

Lo spettacolo si allestirà anche nei teatri che fanno parte della
nuova Rete Lirica delle Marche, formata dal Teatro della Fortuna di Fano, il Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno e il Teatro dell’Aquila di Fermo.
I sei Elisir di Fano.

Dal 1956 ad oggi quella di quest’anno è la settima edizione de L’Elisir d’amore di Donizetti a Fano.
Le prime quattro furono allestite alla Corte Malatestiana ed ebbero nel cast noti artisti italiani ma anche cantanti fanesi: nel 1956 Adina e Belcore furono interpretati dai fanesi Anna Bianca Meletti e Saturno Meletti, nel 1964 Adina fu la grande Elvidia Ferracuti, nel 1983 la giovane fanese Patrizia Orciani vestì i panni di Adina, nel 1991 Pietro Ballo delineò un Nemorino da manuale, Maurizio Picconi fu un Dulcamara di grande levatura e sul podio c’era un giovane maestro che ha fatto le sue prime esperienze a Fano, Marcello Rota. Le ultime tre sono state allestite al Teatro della Fortuna. Nel 2006 c'è stato un allestimento speciale, che non entrerà mai negli annali del teatro nel capitolo “Opere liriche”, perché era un'edizione ridotta, intitolata “Ecco il magico elisir ”, cantata e recitata dai Piccoli Cantori di Gio’, coro di voci bianche formatosi a Fano su progetto dell’Associazione Musicale Mario Tiberini. Nel 2007 ha avuto due grandi interpreti in Bruno Praticò e Luca Canonici, entrambi insigniti del Premio Tiberini d’oro, rispettivamente nel 1999 e nel 2005. Nel 2015 l'edizione attuale.


























lunedì 16 marzo 2015

Pesaro Teatro Rossini Anna Marchesini



 Pesaro Teatro Rossini

Un evento speciale in onore della donna
(8 marzo 2015)

Standing ovation 

per Anna Marchesini,

signora della scena

                                               di Giosetta Guerra 














Sui quotidiani del giorno dopo non hanno scritto che è stata brava, ma hanno scritto che è caduta, non hanno incolpato la precarietà del leggio cui si è inavvertitamente appoggiata (chiunque sarebbe caduto, anche loro), ma hanno incolpato la sua malattia.
A teatro dovrebbero venire i critici teatrali, non i cronisti.

Anna Marchesini è stata ed è una grande attrice, singolare per acume e capacità d’analisi a forte carica umoristica.

Ho ancora vivo il ricordo di un esilarante spettacolo del trio Marchesini-Lopez-Solenghi visto al Teatro Gentile di Fabriano tanti anni fa, dove era inserito uno dei più noti sketch teatrali del trio Non esiste più la mezza stagione, ho seguito in TV tutti i personaggi coniati dalla sottile sarcastica ironia della Marchesini, ho riso a dismisura con la cameriera secca dei Signori Montagné,  con l’accartocciamento di alcuni verbi come “precipitandovicisi ” della cecata Signorina Carlo, che tutti chiamavano signora, nonostante la sua precisazione di essere signorina, con il pudore della sessuologa Merope Generosa che «E dai che ti ridai...» finiva sempre “lì ”, per non parlare della rilettura parodistica de “I Promessi sposi ” e degli innumerevoli personaggi parodiati con argomentazioni vivaci e dettagliata caratterizzazione. Tutte interpretazioni di grande impatto sul pubblico, perché create da un talento comico fuori dal comune.

L’argomento di questa performance al Teatro Rossini di Pesaro è la storia del professor Cirino Pascarella in pensione, un uomo riservato dall’esistenza piatta e monotona che vive in una locanda, gestita dalla cicciona signora Olimpia, gentile con lui perché vorrebbe dargli in sposa sua figlia Marilda, una spilungona quarantenne ormai sulla soglia dello zitellaggio. Ma il professore neanche la vede ed è refrattario a qualsiasi contatto umano. In questo limbo freddo e nebbioso una luce scuote il letargo del professore: la luce di una finestra dirimpettaia che mette a nudo, non solo simbolicamente, la figura di un atletico giovanotto, la cui visione gli fa passare i brividi lungo la schiena, perché in lui vede la sua vita non vissuta, e diventa il suo consueto appuntamento serale al buio fino a quando la luce non si accenderà più. Allora il professore, che aveva avuto una boccata d’aria fresca, viene nuovamente soffocato dall’afa della sua vita e se ne va dalla locanda.

Ce n’è di materiale per stimolare la fantasia creativa e la sottile verve comica di una scrittrice/attrice come la Marchesini. La mole spropositata della signora Olimpia, ad esempio, si presta ad una minuta descrizione grottesca e caricaturale che suscita ilarità e fa ridere anche la morte di suo marito soffocato nel letto come sotto una slavina.

Cirino e Marilda non si può fare, questo il titolo dello spettacolo, è l’ultimo capitolo della raccolta Moscerine, libro di Anna Marchesini recentemente pubblicato da Rizzoli.

L’attrice legge il testo in palcoscenico, è una sorta di monologo in cui s’inseriscono gli stati d’animo, i caratteri e le voci dei vari personaggi. Inizialmente si avverte un po’ di titubanza nella parola, ma lo stile è subito riconoscibile. La lettura è teatrale con frasi sospirate e altre sarcastiche, sillabe strascicate e dilatate, vocali stiracchiate e prolungate, parole accarezzate, altre graffiate, altre scandite, altre velocizzate con scansione ritmica adeguata, parole dette e non dette, spezzate o ripetute parossisticamente, mugugni, doppi sensi, discorsi accartocciati, forte scavo della parola per restituirla ricca di  significato e d’espressività. Una maestra del funambolismo verbale che, nonostante la sua posizione ferma, partecipa col corpo, con le mani, con gli occhi.

E noi ridiamo, certo che ridiamo, ma è un riso amaro perché dietro c’è la solitudine, ci sono le disillusioni, c’è il silenzio.

La figura diafana dell’attrice, con capelli raccolti, abito bianco e scarpe rosse, seduta su un podio davanti ad un leggio, emerge dal buio del palcoscenico.

L’avrei vista meglio con una capigliatura riccia e voluminosa e magari un paio di occhialini neri.

A fianco i tre musicisti del trio Aire de Mar con chitarra, sax e batteria ogni tanto accompagnavano la sua recitazione o intervenivano nei momenti di pausa, alla fine hanno suonato la nota canzone di Bruno Martino “Odio l’estate ” per sottolineare l’afa della vita del professore.