venerdì 31 agosto 2018

Rof 2018 Alaimo e Girone




ROF 2018

Concerti di belcanto

Visti e ascoltati da Giosetta Guerra

Teatro Rossini

Giovedì 16 agosto 2018 ore 16







Grandi scene rossiniane con 

 Nicola Alaimo 
e Remo Girone















Nicola Alaimo è stato protagonista di un grande concerto, ideato con la consulenza di Sergio Ragni, un po’ diverso dai soliti, perché i brani sono stati presentati ed illustrati nel loro percorso storico e musicale dall’attore Remo Girone.
Un concerto tutto rossiniano con pagine da Torvaldo e Dorliska, Maometto II, Il viaggio a Reims e Semiramide, col supporto dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini diretta da Michele Spotti ed il Coro del Teatro della Fortuna M. Agostini, diretto da Mirca Rosciani.
Grande voce di baritono quella di Nicola Alaimo, unica per ampiezza, estensione, volume, pienezza e tenuta del suono in tutti i registri, usata con grande generosità. Voce infinita, che si espande naturalmente da sola e conquista il pubblico, ma se ne apprezza maggiormente il colore se contenuta. Nella cabaletta “Duce di tanti eroi”, gestita tutta sul forte, c’è stata una gara tra voce e orchestra, che non ha favorito nessuno. Meglio quando, con la tecnica che gli è familiare, il baritono cerca di contenerne la possenza con sensibili mezze voci (“Ah, perché la conobbi”), quando ne sfrutta la duttilità per il canto di coloratura, o quando opta per la morbidezza del canto (“Togli a me quel terribile aspetto”). La dizione è chiara, l’interpretazione magistrale.
Un canto morbido tutto sul fiato con arcate larghe e suoni tenuti sopra il disegno caldo dei violoncelli ha caratterizzato il bis tratto dal Guglielmo Tell e un sillabato fitto tinto d’ironia ha dipinto la figura di Don Magnifico dalla Cenerentola.
Il coro, ben preparato dalla Rosciani, è risultato prepotente in Torvaldo, la sezione maschile di sole 20 persone è stata possente in Maometto, la sezione femminile ha ingentilito l’atmosfera attorno a Lord Sidney ne Il viaggio a Reims con vocalità delicata e melodiosa, ha cantato sul forte in Semiramide producendo una sonorità imponente.
L’orchestra ha eseguito a pieno volume la Sinfonia di Torvaldo e Dorliska che ci ricorda La Cenerentola, si è espressa in modo brillante nell’introduzione di Maometto, è risultata variegata nella lunghissima e bellissima Sinfonia di Semiramide: delicatezza degli assolo del corno, leggerezza e agilità degli archi, irruenza del tutto orchestrale e forza nei crescendo, fluidità del suono nell’alleggerimento della sonorità. Nel ritmo sta la potenza della musica. Travolgente e di grande presa sul pubblico, che è scoppiato in una interminabile ovazione.
foto Amati e Bacciardi

giovedì 23 agosto 2018

ROF 2018 Il Barbiere di Siviglia



ROF 
2018

Pesaro Adriatic Arena

Il Barbiere di Siviglia
(13 agosto 2018, prima)


A cura di Giosetta Guerra

  Alla fine vince Rossini  

Finalmente un Barbiere dalle linee classiche, poco mosso in palcoscenico e con la Sinfonia a sipario chiuso non popolata.
Riconoscibili le linee e i colori di Pier Luigi Pizzi negli ambienti e nei costumi: bianche, geometriche e con balcone le abitazioni dirimpettaie del conte e di Rosina, bianco il cielo per una luminosità diffusa, come nel Così fan tutte sempre di Pizzi, bianchi e neri gli abiti con qualche pennellata di viola (tipico di Pizzi) per Bartolo e Berta, di rosso per i mantelli e di celeste e verde acqua per gli abiti della bella Rosina, qualche giovinotto a dorso nudo (il conte s’infila la camicia sul balcone di casa sua, Figaro attraversa la passerella intorno all’orchestra a petto nudo, 



perfino il vecchio Ambrogio (interpretato da Armando De Ceccon) viene semispogliato da un raptus della focosa vecchia Berta), suggestive figure in controluce sul muretto. 






I suonatori di Fiorello si muovono compatti come stormi d’uccelli neri e fremono alla vista del denaro, Figaro si lava in una vasca da bagno di lato (come Anna Caterina Antonacci in Un giorno di regno, boh! Forse è all’interno della sua bottega che non compare in scena chiaramente).
I moduli architettonici non fissi permettono il cambio degli ambienti, interni ed esterni sempre ben comprensibili nel rispetto delle indicazioni del libretto. Qualche trasparenza negli abiti morbidi e di diversi colori di Rosina, vestaglie signorili per Bartolo che non è un “vecchio panzone”, ma un compunto e nobil signore con la erre alla francese (noblesse obblige o omaggio a Beaumarchais?). 


La trovata registica più favolosa e originale è stata quella di aver trasformato il conte in un maestro di musica nano, facendolo camminare con le ginocchia alle quali erano state legate delle scarpe per simulare i piedi. Comica la deambulazione, esilarante i cambi di posizione, da inginocchiato davanti a Bartolo a ritto con scatto repentino per star accanto a Rosina quando Bartolo guardava altrove.
La gioventù, la prestanza fisica e la versatilità di Maxim Mironov e di Davide Luciano hanno favorito certe scelte registiche.
Notevoli infatti le abilità attoriali dei protagonisti, con punti di merito alla frenetica mobilità di Davide Luciano come Figaro, alla vezzosa e civettuola freschezza di Aya Wakizono come Rosina, alla credibilità scenica di Maxim Mironov (Conte d’Almaviva), alla maestria di Elena Zilio in Berta. La gestualità era invece troppo contenuta per Bartolo e Basilio, sì che le loro figure, risultate più caricaturali che maniacali, sono rimaste piuttosto generiche. Il più penalizzato è stato Don Basilio che andava caratterizzato nel gesto, nelle espressioni e non con la balbuzie, che trasmette poi anche a Don Alonso.
Ne è derivato anche il sacrificio della resa vocale. Non ho riconosciuto la bella vocalità di Pietro Spagnoli in Bartolo, così preso a scandire le parole con la erre moscia dall’alto della sua figura di nobilomo impettito. Nell’aria “A un dottor della mia sorte” la voce, pur non favorita da un’orchestra troppo sonora, è emersa nella tessitura acuta, ma il sillabato è risultato approssimativo. Esilarante l’aria di Caffariello cantata in falsetto.



Non mi è arrivato il suono pastoso e scandito della voce di Michele Pertusi, se non nelle arcate più larghe, in un Don Basilio un po’ distratto. “La calunnia non ha avuto forza persuasiva né è stata insinuante e devastante. 



Nella scena della febbre è mancato lo stupore. Più peperoncino per Don Basilio e meno tabacco da annusare per i servitori sarebbe stato meglio.

Sarà colpa della cattiva acustica e visibilità dell’Adriatic Arena? Perché dalle ultime file dove mi trovavo avevano difficoltà a vedere e a sentire e non solo io.

E quindi anche le voci di Aya Wakizono e di Maxim Mironov, pur essendo di bel timbro e ben gestite, rimanevano poco udibili, quella di Fiorello è rimasta proprio in palcoscenico, eppure William Corrò ha una bella voce di baritono; mentre quella screziata di Elena Zilio è passata alla grande grazie alla sua esperienza 



e quella di Davide Luciano si sentiva da ogni angolazione.

Non vedendo i visi degli artisti inoltre era difficile captare le loro espressioni, che sono fondamentali in certe scene, non riuscendo a capire le parole né a leggere le didascalie troppo piccole era difficile seguire l’azione per chi non conosce l’opera a memoria, sentire le voci nei momenti di maggior espansione sonora e quando gli artisti si spostavano sulla passerella attorno all’orchestra non ha reso godibile la tanto attesa serata. La location non è adatta all’opera lirica, a meno che non ci siano voci capaci di uscire dalle pareti del palcoscenico ed espandersi in platea superando anche l’handicap degli angoli di una sala quadrata.

La riguarderò in TV per godermi i primi piani e per un ascolto più soddisfacente.


Comunque per quel che ho potuto sentire Mironov si è distinto per la soavità della voce, emissione accurata, acuti lanciati chiarissimi (“Ecco ridente in cielocon la chitarra di Eugenio Della Chiara, parte riscoperta da Zedda), delicate mezze voci nella serenata “Se il mio nome”, accompagnata in palcoscenico da Figaro stesso, ossia Davide Luciano), 



nel rondò dell’Inutil precauzione con l’accompagnamento di un violoncellista pazzo in scena 



ha gestito bene il suo mezzo vocale, molto cautamente ha affrontato la difficilissima aria “Cessa di più resistere” con corretti vocalizzi ma poco scintillio.



Aya Wakizono ha evidenziato bel colore, buone agilità, ma poco spessore, con gravi indecisi e a volte intubati, per cui il canto a volte sembrava accennato, nonostante la capacità ad eseguire gorgheggi e luminosi slanci acuti (cavatina “Una voce poco fa”) e una vocalità duttile nelle note ribattute e nel sillabato fitto (“Dunque io son”). Dizione straniera 

con la erre raddoppiata.

Davide Luciano ha esibito voce robusta di bel colore, a volte usata in modo irruente, ma anche variegata nei colori e nell’intensità, con buona proiezione acuta, pastosità nei recitativi. Bravo interprete e vivace attore, la sua voce è l’unica ad emergere nella nota pagina “Fermo ed immobile” con quella del corposo coro maschile che insieme all’orchestra domina nei concertati.
Bravissimo il Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, preparato da Giovanni Farina. Solo sedici uomini, con ottime qualità vocali per colore, spessore, volume, estensione, morbidezza, tecnica, hanno restituito un amalgama sonoro di alta qualità e un’avvolgente flusso musicale insieme alla brava Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, diretta dal M° Yves Abel, esperto direttore rossiniano. Dalla Sinfonia diretta e suonata fantasticamente col crescendo finale alle delizie musicali di pagine più scoperte, dalla pienezza sonora nei concertati al ricamo finissimo di certe situazioni inaspettate, direttore e orchestra si sono mossi entro le linee tracciate dal compositore.
Regista collaboratore e alle luci Massimo Gasparon.

 

foto Amati e Bacciardi

lunedì 20 agosto 2018

ROSSINI TIBERINI



DUE MARCHIGIANI ILLUSTRI NATI PER LA MUSICA:

GIOACHINO ROSSINI 

E MARIO TIBERINI




Rossini ha composto musica immortale, 




Tiberini l’ha diffusa nel mondo.




a cura di Giosetta Guerra

20 agosto 2018


Il fermento e la partecipazione di un vasto pubblico alle celebrazioni rossiniane ci spinge a fare un salto nel passato, per trovare un artista marchigiano dell’800, amico ed estimatore di Rossini, che contribuì a diffondere nel mondo le opere rossiniane e a riscoprire quelle che già alla metà dell’800 erano scomparse dai teatri. Mario Tiberini, nato a San Lorenzo in Campo (PU) l’8 settembre 1826, debuttò come tenore contraltino nel ruolo di Idreno in Semiramide nel 1851 al Teatro Argentina di Roma.



Come Conte d’Almaviva portò Il Barbiere di Siviglia a Cuba, negli States (dove venne presentato come discendente dell’imperatore Tiberio), in Europa e ovviamente in Italia per ben 18 anni, dal 1855 al 1873, nei teatri di Barcellona, Milano, Berlino, Napoli, Trieste, Madrid, Siviglia, Lisbona.
Dopo il 1859 Tiberini si esibì quasi sempre insieme alla moglie, il soprano bergamasco Angiolina Ortolani (scoperta da Donizetti), che Tiberini aveva sposato in quell’anno a Barcellona. A Barcellona la Ortolani, che aveva un buon metodo di canto rossiniano ma un timbro vocale non proprio adatto a Rosina, inserì nella scena della lezione di musica il Bolero de La Juive di Halévy, che dovette bissare. Al Teatro alla Scala di Milano il 21 febbraio 1861 Tiberini “nella difficile parte del Conte d’Almaviva fu applaudito freneticamente per la grazia del canto e per la squisitezza dell’accento”.
Filadelfia, New York e solo Bergamo in Italia lo accolsero come protagonista di Otello. Dal 1859 al 1869 i teatri di Torino, Trieste, Venezia, Firenze, Madrid lo ingaggiarono per L’Assedio di Corinto, Guglielmo Tell, La donna del lago, Mosè, Stabat Mater, Le Comte Ory.












i coniugi Tiberini



Le otto recite del Guglielmo Tell al Teatro Regio di Torino dal 15 febbraio al 20 marzo 1860 si alternavano con le quattordici recite di Lucia di Lammermoor di Donizetti e i coniugi Tiberini cantavano in entrambe le opere. “La Ortolani è sempre cantante corretta ed elegante, il Tiberini è insuperabile nei pezzi di grazia e di sentimento e, dove si richiede forza, trova modo di farsi applaudire senza fare inutile spreco di voce” (L’Opinione del 23 febbraio 1860).

Una curiosità che fa capire la tempra delle donne di una volta: La Ortolani era all’ottavo mese di gravidanza alla prima del Tell, cantò fino al giorno prima della nascita del primogenito Arturo che avvenne il 13 marzo e tornò a cantare una settimana dopo il parto.

Un riconoscimento speciale inoltre va riservato ai coniugi Tiberini per aver riportato in palcoscenico, dopo anni di oblio, Matilde di Shabran. Nel 1859 al Gran Teatro del Liceu di Barcellona per sei recite Tiberini fu un Corradino dalla “gola agile e idonea a lanciare variazioni e gorgheggi…pochi tenori potrebbero competere con lui nell’esecuzione del canto rossiniano”; Matilde era naturalmente l’Angiolina che il tenore aveva sposato dieci giorni prima. E da allora Matilde di Shabran rimarrà in auge in tutta Europa con la coppia Tiberini fino al 1875. Era diventata il loro cavallo di battaglia. “Il signor Tiberini possiede l’arte del canto e lo stesso Rossini non potrebbe desiderare miglior interprete” (Frassoni: Due secoli di lirica a Genova), a Trieste restò in cartellone due mesi per diciotto recite “una vera festa, quale da lungo tempo non s’era veduta in questo teatro” scrive Carlo Bottura, a Parigi al Théâtre des Italiens “Tiberini ha entusiasmato gli spettatori, molti pezzi vennero replicati” (La Gazzetta musicale di Milano), al San Carlo di Napoli tredici furono le recite nel 1869, poi fu la volta di Madrid, Cadice, Vienna, Lisbona, Venezia, Udine. 





Le due opere clou del repertorio rossiniano di Mario Tiberini sono dunque Matilde di Shabran e Il Barbiere di Siviglia.











E poi tanti concerti rossiniani, molti per le famose beneficiate a favore di enti o imprese, non ultime quella per la spedizione dei Mille e quella per la costruzione della statua a Daniele Manin a Venezia.










Rossini aveva stima di Tiberini che chiamava “il celebre tenore”, come si evince da una lettera, inviata da Rossini ad un signore di Spoleto per ordinare tartufo e vino santo. Così scrive: Per il così detto vino santo di Trevi è bene ch’essa sappia che il celebre tenore Tiberini mi mandò alcuni piccoli fiaschetti in nome di un dilettante di musica di Spoleto, senza indicarmi il nome! Io riconoscente mandai un ritrattino fotografico al detto Tiberini onde lo facesse tenere a detto dilettante qual segno di mia gratitudine al donatore di quel vin santo trovato delizioso dai Parigini!” 










Rossini e il tartufo



Essere definito “celebre” da Rossini e più tardi “superbo” da Verdi non è poco. Non mi risulta che altri cantanti d’opera marchigiani dell’epoca abbiano avuto questo privilegio. E non dimentichiamo la contesa per l’ingaggio di Tiberini nel 1869 tra Verdi e Marchetti, il compositore marchigiano di Bolognola che dovrebbe essere riportato agli onori del palcoscenico, come è stato fatto con Tiberini, che l’associazione musicale a lui intitolata ricorda da 27 anni col noto Premio Lirico Internazionale Tiberini d’oro, conferito ai più importanti artisti del panorama lirico mondiale e con la pubblicazione di un libro sulla strepitosa carriera del tenore dei due mondi.


Notizie tratte da





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