martedì 22 dicembre 2015

BG, Teatro Donizetti, ANNA BOLENA

Bergamo, Teatro Donizetti 
(direttore artistico Francesco Micheli)

ANNA BOLENA 
tragedia lirica in due atti, libretto di Felice Romani, musica di Gaetano Donizetti
prima rappresentazione 26 dicembre 1830 al Teatro Carcano di Milano.

(recita del 27 novembre 2015)
Analisi di Giosetta Guerra

Allestimento dark per un'opera d'intrighi

Al Teatro Donizetti di Bergamo è andata in scena l'edizione critica di Anna Bolena curata da Paolo Fabbri, senza tagli, con i recitativi e le tonalità originali.
I Virtuosi Italiani, diretti da Corrado Rovaris, creano belle atmosfere nell'Ouverture con il suono frizzante e leggero degli archi e ingigantiscono le sonorità nei corposi crescendo col tutto orchestrale. Si muovono bene in questa partitura impegnativa, tenendo un ritmo incalzante e senza pause, allentando la tensione nelle pagine delicate e melodiche e sfavillando nei canti d'insieme e nei crescendo di stile rossiniano.
Il regista Alessandro Talevi riproduce il clima cupo e opprimente dei sentimenti dei personaggi nella corte di Enrico VIII, punta quindi sull'azione e sull'attorialità degli interpreti, più che sulla definizione degli ambienti che non esistono e si uniformano nel nero quasi assoluto, saltuariamente spezzato dal bianco e dal rosso degli abiti di Anna, 
fa un uso teatrale del coro che dispone in modo circolare o in gruppi simmetrici o in piedi schierato o in parte seduto, i movimenti sono morbidi e lenti e predomina la staticità, acuita da una pista girevole. Troppo rumore negli spostamenti delle masse. 
Tema ricorrente è la maternità, all'inizio una puerpera seminuda con succinta camicia bianca è distesa su un letto che vien fatto girare da una pedana girevole, a fianco c'è una culla che alla fine doveva accogliere Anna svenuta, ma invece si è rotta.
Le scene realizzate da Madeleine Boyd sono nere e scarne, senza distinzione tra giorno e notte e tra interno ed esterno, i costumi sono in prevalenza neri, le luci disegnate da Matthew Haskins giungono sempre da fuori scena e illuminano solo i visi. 
La vetrage illuminata dietro nel 2° atto dà sollievo alla vista oppressa dal buio.
Molto impegnativo il ruolo di Anna, addirittura mostruoso nel finale, dove il soprano da solo canta per quasi mezz'ora.
 
Carmela Remigio è brava cantante ed interprete diligente e precisa, ma più che prenderti visceralmente ti sorprende per il suo coraggio a debuttare questo ruolo; la voce è limpida, il canto è melodioso (cavatina “Come innocente e giovane”), si nota un po' di fatica nell'eseguire i salti di registro e la linea di canto è poco fluida nei passi belcantistici (“Legger potessi in me!”).
Determinata ed incisiva nella maledizione nel duetto al fulmicotone con l'amante del suo uomo (2° atto), si scioglie in un dolcissimo canto, sostenuto da una musica impercettibile, nel terzetto con Percy ed Enrico indignato che viene a conoscenza delle precedenti nozze di Anna con Percy.
La lunghissima scena finale del delirio, con aria, cavatina e cabaletta ripetuta con variazioni e trilli di forza (“Coppia iniqua”), mette a dura prova una voce che ha cantato per 4 ore, ma la Remigio regge bene, ha una perizia sorprendente di gestire bene la voce fino alla fine.
Alex Esposito (Enrico VIII) è una forza della natura sia vocalmente che attorialmente, dotato di un bellissimo timbro di basso, autorevolezza ed ampiezza vocali, volume impressionante, morbidezza e flessibilità nei passi melismatici e nel canto di coloratura (Rossini docet), straordinario dominio del fiato, salda proiezione del suono, scolpisce un re sanguigno e spietato e un personaggio temibile, nell'invettiva contro la consorte si contorce come un demone, l'accento scandito e il canto insinuante incutono terrore.
Nello strabiliante duetto con GiovannaTremate voi?...Sì, tremo” c'è una sorta di amplesso fra questi due mostri vocali, il re e la sua nuova amante Giovanna Seymour interpretata da Sofia Solovij
un mezzosoprano dal bel corpo vocale, pieno, ricco di armonici e suoni penetranti, che fa uso della messa di voce (“Ella di me, sollecita”), il timbro vibrante e l'accento incisivo arricchiscono un sensibile modo di porgere, le espansioni acute sono importanti, le note gravi gonfiate (“Oh! Qual parlar fu il suo!”), la cantante esegue bene i passi d'agilità, fraseggia con consapevolezza sia musicale che teatrale e risulta toccante nella scena della confessione.
La parte di Lord Riccardo Percy, resa ancor più impervia dall'apertura dei tagli e il ripristino delle vertiginose tonalità originali, non è una passeggiata per il tenore Maxim Mironov (viso e voce d'angelo), che comunque se la cava, la voce è chiara con suoni pieni e sostenuti anche in zona grave (“E che temer degg'io?”) e sensibili mezze voci, 
nel lungo duetto con Anna “S'ei t'aborre, io t'amo ancora” esegue bene il difficile acuto, ma i sovracuti non sono lanciati. Arduo è per lui salir a certe sfere di Floreziana o Blakiana memoria (“Ah così nei dì ridenti”), comunque il tenore si destreggia bene in un ruolo acutissimo e di intenso belcantismo. Delicatissimo è il canto nell'aria “Vivi tu, te ne scongiuro”, nella difficilissima cabaletta “Nel veder la tua costanza” acuti e sovracuti sono ben eseguiti ma non sfavillano.
Il basso bergamasco Gabriele Sagona nel ruolo di Lord Rochefort fratello di Anna evidenzia voce corposa di bel timbro con bellissime sonorità.
Manuela Custer (Smeton musico di corte) ha bella voce di contralto, nella romanza “deh! Non voler costringere”, richiesta dalla regina, canta con movenze di danza e l'accompagnamento dell'arpa; possiede buona tecnica e il canto è più agevole in zona acuta.



Alessandro Viola (Hervey) è un bel ragazzo e un apprezzabile tenore acuto.

Il Coro Donizetti, ora misto ora diviso, è quasi sempre presente anche in veste di narratore o commentatore dei fatti; diretto da Fabio Tartari, proietta morbide sonorità e dimostra buona preparazione, belle le voci maschili.




mercoledì 2 dicembre 2015

Jesi Teatro Pergolesi, Don Pasquale

48^ STAGIONE LIRICA DI TRADIZIONE

JESI, TEATRO G.B. PERGOLESI

DON PASQUALE
Dramma buffo in tre atti
libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
musica di Gaetano Donizetti
Prima rappresentazione: 3 gennaio 1843, Parigi, Théâtre Italien

(recita di domenica 15 novembre 2015, ore 16)

Un grande Paolo Bordogna 

nelle vestaglie di Don Pasquale

È del regista il fin ...la comicità...

Ma Don Pasquale non è un'opera comica, bensì un insieme di poesia, patetismo, ironia, sarcasmo, opportunismo e una punta di cattiveria che provoca dolore.

Servizio di Giosetta Guerra 


Un minuto di silenzio per solidarietà con i fratelli parigini vittime dell'attentato del 13 novembre, poi la Marsigliese registrata.
La cifra stilistica della scenografia è il denaro e l'obiettivo del regista è la risata.
Il sipario a metà palcoscenico è la porta con ingranaggio di una cassaforte che a un certo punto si apre su un'enorme caveau pieno di lingotti d'oro, banconote e monete d'oro. Una grande foto dice chi ne è il proprietario, Pasquale da Corneto. C'è forte contrasto tra la pesantezza metallica della cassaforte e la leggerezza floreale del giardinetto, perché c'è forte contrasto tra i due mondi, quello del vecchio taccagno e quello dei giovani innamorati.
Molto colore e pochi arredi finché non ci mette le mani la neo sposa Sofronia, che compra un sontuoso salotto bianco.
Norina vien calata dall'alto aggrappata ad una corona di fiori, Ernesto scende da una scala laterale, tutti gli altri entrano ed escono da varie porte.
Freschi, floreali, bamboleggianti col sottogonna, coloratissimi (magnifico l'abito fuxia col boa per la signora biondissima che va a teatro), gli abiti di Norina, che però è vestita di nero quando recita la parte di Sofronia,
casual quelli di Ernesto col classico pullover a V profilato, tutti in stile anni '60; completo e bombetta azzurri e grande fiore rosa all'occhiello, capelli bianchi, occhiali per il dottor Malatesta, un po' mago un po' affabulatore, con ventaglio o acchiappafarfalle. Don Pasquale indossa vestaglie da casa di lusso, ha anche una spilla col simbolo del dollaro, ma è sempre scarmigliato e agitato, solo lo schiaffo arresta l'azione per dar spazio all'incredulità e al dolore, che esplode in una frase insolita per quel periodo: “divorzio, divorzio!”, parola nuova per la Roma papalina dove l'opera è ambientata, ma non per la libera Parigi dove l’opera fu data nel 1843 al Théâtre des Italiens e dove si conosceva già la prassi del divorzio. Divisa da camerieri per i componenti del coro.
La regia è fantasiosa, sovrabbondante e con qualche imprecisione di base.
Originale l'idea della cassaforte che oltre al denaro tiene serrata anche la vita del suo padrone, eloquente il voltafaccia della servitù che approfitta dello smarrimento di Pasquale schiaffeggiato per saccheggiare il caveau (con le tasche piene di soldi anche il curvo maggiordomo si raddrizza), gradevole il mondo floreale dei due giovani innamorati che si muovono con leggiadria, romantico il piccione viaggiatore che porta a Norina un messaggio di Ernesto, centrata la figura del vecchio avaro con smanie giovanili e pretese da padrone (ma Bordogna è anche regista di se stesso), ci può anche stare un notaro mezzo accecato e barcollante, ma un po' troppo pompati sul versante comico Malatesta e il maggiordomo, che spesso con le loro gags, peraltro datate, disturbano l'intimità dei duetti d'amore e il clima estatico dei momenti di tristezza, di gusto discutibile la foto di Berlusconi sulla copertina di Vogue che ha in mano Norina mentre scende dall'alto (riferimenti alle smanie senili di un ricco?). 
Inoltre perché i servitori sono tutti sciancati? Forse costano di meno? Il regista ha perso due momenti importanti per dar rilievo al dettato musicale: l'aria “Povero Ernesto” è stata privata dell'atmosfera nostalgica e dolente e disturbata dalle faccende del servitore, la pagina molto dinamica, di gusto rossiniano con crescendo, “Che interminabile andirivieni”, che descrive il trambusto e la confusione esistenti in quella casa, è stata cantata in assoluta immobilità, dopo l'accaparramento dei soldi sparsi. 
Scene e costumi di Lorenzo Cutùli, regia di Andrea Cigni, light designer Fiammetta Baldiserri.
Sul piano vocale domina la figura di Don Pasquale, pur non avendo una grande aria, grazie alla versatilità di Paolo Bordogna; il basso, noto per la sua arte interpretativa e creativa, conferisce credibilità al personaggio con gesti spontanei e variegate espressioni del volto, con la solidità di un mezzo vocale pieno e imponente in tutti i registri, sicuro negli appoggi, flessibile e agilissimo nel canto sillabato fitto e serrato (quartetto “Io son tradito”, riferito anche alla servitù che qui lo saccheggia dei suoi averi).
Gli fa da buona spalla il baritono Pablo Garcia Ruiz, fantasioso interprete di un lezioso dottor Malatesta. Il baritono porge bene una voce dal bel timbro scuro, ampia, rotonda e pastosa (“Bella siccome un angelo”), ed è abilissimo nel canto sillabato.
Maria Mudryak è una Norina vezzosa e provocante che mostra le gambe, il soprano si fa apprezzare per la tenuta scenica e l’arte interpretativa, possiede un mezzo vocale di certo volume e possente negli acuti che a volte sono gridati, trilla e gorgheggia con facilità, anche se il timbro è piuttosto pungente, il suono è secco e robusto.
Il giovane tenore Pietro Adaini in abiti moderni nel ruolo di Ernesto è dotato di vocalità chiara, decisa ed estesa, arriva facilmente alla tessitura acuta, ma i suoni non sono in maschera e a volte si inaspriscono e si stringono negli acuti che pertanto non s'illuminano.
Il notaio è il caratterista Claudio Grasso.
Le voci scure sono morbide, le voci acute sono puntute.
Il Coro lirico marchigiano “V. Bellini”, preparato da Carlo Morganti, era misero di numero, quindi anche la resa sonora era ridotta.
Il direttore Giuseppe La Malfa con l'Orchestra Filarmonica Marchigiana tiene tempi dilatati nell'Ouverture, il suono orchestrale è delicato e vivacizzato dai trilli dell'ottavino. A volte però il volume aumenta e copre le voci, come spesso succede in questo teatro.
Alla fine spicca una grande insegna luminosa di ROMA, città in cui è ambientata l'opera.

La stessa produzione con lo stesso cast era stata allestita al Teatro Donizetti di Bergamo lo scorso ottobre.

foto Binci