giovedì 27 dicembre 2012

Modena - Concerto dell'Ass. Mario del Monaco

Modena

Concerto lirico dell’Associazione Mario

 del Monaco

(19 dicembre 2012)

Di Giosetta Guerra

In un edificio della periferia di Modena, in un ambiente lontano dall’essere una sala da concerto ma comunque accogliente e piena di gente, si è svolto il 19 dicembre 2012 un pregevole concerto vocale, organizzato dall’Associazione Lirica Mario Del Monaco di Modena in collaborazione col Centro sociale anziani e orti Buon Pastore.
Un concerto prevalentemente verdiano per quattro voci maschili (due baritoni, un basso e un tenore), visto che il soprano Jessica Nuccio, moglie di Piazzola, non ha potuto cantare a causa di disturbi dovuti alla sua gravidanza.  
In grande forma il ventiseienne baritono Simone Piazzola ha sfoggiato un mezzo vocale ampissimo, una linea di canto morbidissima, un fraseggio variegato fino al canto a fior di labbro, fiati lunghissimi e sostenuti (La Traviata: Mio figlioDi Provenza), suoni ben appoggiati, passaggi in maschera, interpretazione pregnante (Don Carlo: Per me giunto è il dì supremo…io morrò), pulizia e sicurezza del suono nella tessitura acuta (Donizetti, Lucia di Lammermoor : Cruda funesta smania). Un grande artista con un miracolo di voce!
Un basso coi fiocchi è Francesco Ellero D’Artegna, che ha recentemente festeggiato i suoi “Trent’anni d’Arena”. Colore vocale straordinariamente accattivante, fermezza e rotondità del suono, gravi poderosi, emissione morbida per Il lacerato spirito da Simon Boccanegra (favoloso); una valanga di voce, estesissima e vibrante di calore è emersa nell’aria O tu Palermo da I vespri siciliani ; voce importante e possente con imponenti progressioni verso la tessitura acuta per l’aria di Filippo II Ella giammai m’amò da Don Carlo, quasi una  sommessa confessione a se stesso carica di tristezza e di rassegnazione, che richiederebbe un canto sfumato nelle frasi più laceranti; corpo vocale enorme e di gran peso per La Calunnia da Il Barbiere di Siviglia di Rossini, che andrebbe corredata di espressioni del viso e degli occhi più che di movimenti del corpo.

Bel timbro scuro e corposo quello del baritono Donato Di Gioia, che possiede anche estensione vocale e bellissimo modo di porgere (Donizetti, Don Pasquale: Bella siccome un angelo), ottima cantabilità e sostegno del fiato (Bellini, I Puritani: Ah, per sempre io ti perdei); artista versatile sia sul piano vocale che su quello attoriale, ha fornito un’ottima interpretazione del monologo di Ford È sogno o realtà da Falstaff  di Giuseppe Verdi.

Il tenore Giuseppe Varano, appena arrivato da un paese gelido, ha avuto qualche problema con la tenuta degli acuti, forse non si era ancora acclimatato, o forse la causa di base potrebbe essere il modo di cantare sempre spinto, col fiato e non sul fiato, che porta inevitabilmente la voce a spezzarsi negli acuti. Bello è l’accento eroico, il cuore esce nella foga del canto, il volume c’è e il timbro è buono, ma la tecnica andrebbe rivista.  Nonostante qualche addolcimento delle frasi, il canto di fibra non gli ha fatto evitare delle forzature che l’hanno tradito in zona acuta nell’aria  Ma se m’è forza perderti da Un Ballo in maschera;  la voce era tirata all’estremo anche in Luisa Miller (Quando le sere al placido, aria che richiederebbe attacchi morbidi e un fraseggio sfumato fino al canto sussurrato); il tenore ha dosato meglio i suoni e la tenuta del fiato in Traviata (Lunge da lei), ma, viste le precedenti défaillances, doveva assolutamente evitare Di quella pira da Il Trovatore, che non gli ha dato proprio soddisfazione e neanche a noi. 

 
Poi i duetti: Oh Mimì tu più non torni da Bohème di Puccini col bel timbro del Varano e la morbidezza del canto del Piazzola, l’intenso duetto Rodrigo – Filippo Restate da Don Carlo, con due titani a confronto, Piazzola e Ellero D’Artegna, voci estesissime e timbratissime usate in modo eccellente, canto sempre sul fiato che arriva al cuore.

Bravissima la pianista Giuliana Panza che ha saputo creare le atmosfere adatte ad ogni brano ed ha annunciato i titoli nella prima parte, nella seconda è invece subentrato Renato Ghelfi Zoboli, vice presidente dell’Associazione e organizzatore della serata insieme a  

Marco Impallomeni

che ne è il Presidente 

e a Simone Piazzola che ne è membro.                                                                                                      

Al termine targhe agli artisti.

Presenti in sala varie autorità e anche la brava maestra di canto di Piazzola, il soprano Alda Borelli Morgan, che in gioventù ha cantato anche con Mario Del Monaco.




Dopo il concerto, un gruppo di volontari ha sgomberato la sala per far posto ad un’ampia tavolata per la cena con le specialità locali cucinate sul posto.

lunedì 10 dicembre 2012

Cecilia Bartoli alla Scala






Milano - Teatro alla Scala

(lunedì 3 dicembre 2012)

 

Inaugurazione della stagione 2012-13 della Filarmonica della Scala con un concerto  diretto da Daniel Barenboim.

 

Cantante solista 

 

Cecilia Bartoli 

 

(bella, brava e virtuosa)

 

  Di Giosetta Guerra

 

 

Sono rare le sue presenze nei teatri italiani, è difficilissimo trovare posti per i suoi concerti, ma stavolta ce l’ho fatta. Nonostante i pareri discordi sulle sue qualità (vocali o artistiche?), Cecilia Bartoli è un personaggio che tutti conoscono e che tutti vorrebbero ascoltare almeno una volta nella vita. La sua voce, si sa, non ha un gran volume, ma l’arte di usarla è magistrale. Inoltre l’intelligenza nella scelta del repertorio dimostra la consapevolezza delle sue possibilità, ottimizzate da uno studio costante e preciso, che l’ha portata ad essere un’icona del barocco e del canto di coloratura.

Il concerto ci ha dato quello che tutti sapevamo: un’orchestra preparata, un maestro talentuoso, una cantante simbolo. Pertanto inopportune e fastidiose sono state sia le sovrabbondanti ovazioni sia le stupide contestazioni. Sentire voci di bambini gridare “Brava” ripetutamente sapeva tanto di manovrato, sentir dire “Vai a casa” a un’artista, che ha studiato con diligenza e con intelligenza per raggiungere certi traguardi, solo perché non ha una valanga di voce, sapeva di faziosità e tendenziosità e nell’opinione dei presenti la contestazione ha avuto l’effetto boomerang.

Cecilia Bartoli, da gran signora, non ha perso lo smalto del suo sorriso, ha bissato il Rondò di Angiolina volgendo ogni tanto il viso al palchetto dei contestatori e tirando fuori più voce, almeno così mi è sembrato visto che dal quarto ordine di palchi ero scesa in platea al bis proprio per verificare.

Superficialità da parte delle cronaca, che ha ampliato una notizia marginale glissando sui meriti individuali, ma è cronaca e non critica musicale ed è la cronaca che fa vendere i giornali.

Cecilia Bartoli è un’artista nota in tutto il mondo per l’aderenza stilistica alla prassi esecutiva barocca e al vorticoso canto di coloratura, c’è chi l’adora, c’è chi la contesta, ma tutti vogliono vederla e ascoltarla almeno una volta dal vivo.

Io l’ho trovata più bella, più giovane e più virtuosa di quando l’ascoltai dal vivo la prima volta a Vienna ne Il trionfo del tempo e del disinganno diretta da Harnoncourt. Certo un pelino di voce in più mi avrebbe mandato in delirio. 

Analizziamo dunque il concerto. 

La serata si apre con una composizione giovanile di Wolfgang Amadeus Mozart, la Sinfonia n. 33 in si bemolle maggiore K 319, per due oboi, due fagotti, due corni e archi, nella versione viennese, cioè con l’aggiunta del minuetto. L’atmosfera è solare, leggiadra e frizzante: dalla morbidezza e compattezza orchestrale emerge la sincronia degli archi, che nel secondo movimento (Andante moderato) esprimono il clima di serenità con un fraseggio largo e dilatato, i tempi mossi del minuetto sono staccati dalla voce calda dei corni e la vivacità del Finale (Allegro assai) è realizzata dalle volatine e dalle fitte arcate dei violini e dagli interventi dei fiati.

Accolta in palcoscenico da scroscianti applausi, Cecilia Bartoli, solare e comunicativa, fasciata da un sontuoso abito da sirena, verde smeraldo, decolleté e con strascico, purtroppo drappeggiato orizzontalmente, offre come biglietto di presentazione un saggio di belcantismo eccezionalmente virtuoso.

Nel recitativo e aria di furore di Agilea "Ah, che sol per Teseo...M'adora l'idol mio", da "Teseo" di Georg Friedrich Händel, per soprano, un oboe e una piccola tromba, cembalo e archi, esibisce una voce di soprano leggero di coloratura di grande agilità, con fiati lunghissimi, morbidezza nel porgere, dimestichezza col canto sbalzatissimo anche in gara acrobatica con l’oboe obbligato, suonato da Fabien Thouand, che ha molti interventi solistici.

Poi la Bartoli esegue con vocalità più pastosa, gravi morbidi, suoni rotondi anche nella mezza voce l’aria di Piacere "Lascia la spina, cogli la rosa ", per soprano, due oboi, cembalo, archi, da "Il Trionfo del Tempo e del Disinganno", che ha la melodia indimenticabile di “Lascia ch’io pianga” da Rinaldo; cantata e suonata quasi completamente a mezza voce l’aria incanta e rapisce.

Di seguito la Bartoli si cimenta nel recitativo e aria di Melissa "Mi deride...Resterò dall'empia Dite", da "Amadigi" di Händel, per soprano, un oboe, una tromba, cembalo, archi, applicando la sua abilità assoluta nel canto di sbalzo, con maggior grinta e con un modo di porgere più intenso, certo un maggiore spessore vocale e una maggiore pienezza del suono avrebbero sprigionato tutto il vigore e la potenza di quest’aria di scongiuro, abbellita da uno scintillante dialogo tra oboe e tromba suonata da Francesco Tamiati 

Fa da intermezzo strumentale la Sinfonia prima dell'Atto III dell’Oratorio HWV 67 "Solomon" di Händel, intitolata "The Arrival of the Queen of Sheba", un unico Allegro per due oboi, cembalo, archi. La musica è gradevolissima, fa divertire il cembalista e ballare il direttore, bravissimi i due oboisti Fabien Thouand e Augusto Mianiti.

Ritorna Cecilia Bartoli con un look diverso: un costume maschile da Cherubino (redingote in velluto nero, camicia bianca con jabot e polsini con svolazzi, stivali alti e capelli raccolti a coda di cavallo), forse in omaggio a Mozart, di cui canta il Mottetto K 165 ''Exsultate, Jubilate”, per soprano, due flauti, due oboi, due corni, organo, archi, esibendo un corpo vocale denso ma piccolo nell’ Allegro, usando il fil di voce e i filatini in acuto per la soavità dell’Andante, esaltando le sue virtù vocali nell’acrobazia vigorosa e virtuosistica dell’Alleluia.

Breve pausa, poi ancora in scena per Rossini come mezzosoprano, con lo stesso abito verde e i capelli legati, deludendo le nostre aspettative, l’avremmo preferita coi bellissimi capelli lunghi fluenti sulle spalle e un morbido abito bianco lungo per impersonar Desdemona e Cenerentola divenuta principessa.

Da "Otello" di Gioachino Rossini esegue col fil di voce e coi filati il recitativo di Desdemona "O tu del mio dolore", sostenuta da un’orchestra delicata;  introdotta e sostenuta dagli arpeggi melodiosi dell’arpa di Olga Mazzia, canta molto bene la canzone del Salice “Assisa a’ pié d’un salice”, i suoni sono pulitissimi, il fiato sostenuto, i gravi rotondi, fa anche degli abbellimenti (I ruscelletti limpidi) e qualche suono più corposo è un po’ tremolante.

Poi da "La Cenerentola" Recitativo e Aria con Rondò di Angiolina "Nacqui all'affanno...Non più mesta" con roulades, variazioni pirotecniche, trilli eseguiti in modo funambolico, a parte qualche frase rallentata e con sillabe staccate per assecondare i tempi lentissimi staccati dal maestro Barenboim. Rondò bissato a furor di popolo.

Per concludere la notissima Sinfonia n. 40 in sol minore K 550 di Mozart, che Barenboim ha diretto in modo estatico, completamente immerso nel caleidoscopio delle articolazioni armoniche e melodiche, che la brava  Filarmonica della Scala materializza in sonorità dense e corpose per i momenti più grevi e in suoni aerei e leggeri per la solarità del Minuetto e dell’Allegro assai del Finale.

La Bartoli non si è presentata in palcoscenico al termine del concerto.

 

(le tre foto del concerto sono di Silvia Lelli




domenica 2 dicembre 2012

Iesi-Lucia di Lammermoor



Jesi Teatro Pergolesi 
 Lucia di Lammermoor di Donizetti
(25-11-12)

Anche i giovani possono essere grandi


Di Giosetta Guerra

Nel difficile ruolo di Edgardo si è esibito a Jesi Gianluca Terranova, il tenore che ha interpretato Caruso nella recente fiction televisiva. Terranova è un vero cantattore, è un bel giovane, è espressivo, si muove con padronanza del palcoscenico, ha una bella canna di voce che usa con generosità e con passione, il timbro è bello, lo squillo luminoso e robusto, l’emissione esuberante, la dizione chiara, l’accento eroico, il canto di fibra comunica il lacerato spirito di Edgardo e, una volta perfezionata la tecnica del canto sul fiato, riuscirà anche a trasmettere il pathos con l’uso della mezza voce e del canto a fior di labbro.

Il ventitreenne soprano georgiano Sofia Mchedlishvili (impossibile da pronunciare, dovrebbe prendere un nome d’arte) (Lucia) ha già dimestichezza con l’arte del belcanto, brilla nei virtuosismi, svetta negli acuti e sovracuti, esegue con facilità scale cromatiche, cadenze, riprese con variazioni, usa la messa di voce; la tecnica è ineccepibile, ma la voce, che diventa bella quando si espande nelle progressioni acute, ha bisogno di maturare e di acquisire spessore e pastosità nella zona medio grave.

Nella lunga scena della follia, introdotta e accompagnata nella cadenza dal suggestivo suono dell’arpa posizionata nel palchetto destro di proscenio, la Mchedlishvili, scarmigliata, sbaffata, spiritata, ha cantato anche sdraiata (Alfin son tua) accanto al cadavere di Arturo, che il regista ha fatto rotolare paurosamente giù dalle scale (che rotolone…era un figurante, che coraggio!).

Bravissimo Julian Kim, un ottimo baritono di soli 26 anni che nel ruolo di Lord Enrico Ashton si è imposto per bellezza, estensione e spessore vocali, per la morbidezza della linea di canto e per la sicurezza del gesto.

Grande voce tridimensionale dal timbro eroico, colore splendido, suoni ampi e rotondi, gravi pieni, formidabili acuti tenuti a lungo, canto sempre sul fiato con ottima proiezione del suono, dizione chiarissima, accento scolpito, prorompente ed energico nei duetti con Lucia, favoloso nella modulazione dei cantabili.

Il basso trentaseienne Giovanni Battista Parodi (Raimondo) ha una figura imponente,  canta la prima frase con voce poco ferma (Dolente vergin), ma poi gestisce con morbidezza un mezzo vocale ampio e corposo, di bel timbro scuro con note gravi consistenti; dovrebbe perfezionare il sostegno del suono e aprire di più il canto per non incupire i suoni. Il venticinquenne Alessandro Scotto Di Luzio (Arturo) è un tenore leggero acuto con buona dizione. Il ventiseienne mezzosoprano  Cinzia Chiarini (Alisa) ha voce robusta. Il ventottenne tenore fermano  Roberto Jachini Virgili (Normanno) ha esibito un bel timbro deciso e sicurezza del gesto.

Matteo Beltrami, alla guida della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana, è entrato or con enfasi or con morbidezza nelle pagine di grande musica, creando atmosfere musicali coinvolgenti e avvolgenti, lasciando spazio anche alle voci strumentali più scoperte (corno, arpa, flauto), ma anche non controllando a volte le alte sonorità.

L’impianto scenico era sulla linea delle altre due opere della stagione: uso di scenari neutri in maglia “psicoplastica” (come li aveva definiti Svoboda) per la proiezione di luoghi, ambienti e simboli (il mare, il sangue, una roccia impervia, le margherite, le candele) e trasparenti per la visione di posti e azioni in contemporanea (la preparazione delle nozze, le tombe), talvolta sollevati a metà per creare più profondità. Una grande scalinata occupava tutto il palcoscenico. Suggestiva la scena del parco: in una luce soffusa, sulle note cristalline dell’arpa posta in cima alla scalinata che seguono le onde del mare proiettate sul velatino, due fanciulle giocano a badminton, velatino che poi diventa un prato di enormi margherite bianche prese da La Traviata degli specchi di Svoboda. Inquietante la scena finale della morte di Edgardo che si accascia sul sipario caduto dall’alto, mostrando una visione cimiteriale di coristi a mezzo busto, allineati, sospesi nel vuoto, freddi ed immobili come le statue.


Henning Brockaus ha curato regia e luci, Benito Leonori ha ricostruito e variato le scene che Josef Svoboda aveva creato per Macerata, Patrizia Toffolutti si è occupata dei costumi (armature scure con elmetti argentati per il coro maschile, pastrani lunghi, gilè e pantaloni alla zuava per gli uomini, semplici vestitini per Lucia in verde e per Alisa in rosa, camicia da notte corta insanguinata per Lucia assassina, abiti da sera per gli invitati alle nozze, doppio petto bianco per Arturo di memoria petroliniana), Emma Scialfa delle coreografie un po’ scomposte.

Il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, preparato dal maestro Pasquale Veleno, si è destreggiato bene sia nel canto morbido delle pagine corali di grande presa ed alta estaticità sia in quello sillabato (Come vinti da stanchezza).

Cooproduzione coi teatri di Cremona, Como, Brescia, Pavia, Fermo, Novara, Ravenna.

 

Foto Binci Teatro Pergolesi di Jesi e Elio Crociani

Sempre per non dimenticare il passato.

Edgardo è stato il ruolo principe del tenore marchigiano Mario Tiberini. Dal 1854 al 1873 l’ha cantato in 21 stagioni liriche in America e in Europa. Dal 1860 in poi ha avuto come partner per Lucia la sua consorte, il soprano bergamasco Angiolina Ortolani, di cui il prossimo anno ricorre il centenario dalla morte.