domenica 31 marzo 2013

Fano-Teatro della Fortuna-FALSTAFF



Fano - Teatro della Fortuna (22, 24 marzo 2013)


  FALSTAFF di Giuseppe Verdi

commedia lirica in tre atti, libretto di Arrigo Boito tratto da “Le allegri comari di Windsor” di Shakespeare.


Allestimento sognante e cantanti giovani per l’opera comica del grande vecchio

Recita del 22 marzo 2013, recensita da Giosetta Guerra

Dal Concorso Giordani, tenutosi l’anno scorso al Teatro della Fortuna di Fano al fine di formare il cast di Falstaff, sono usciti sei cantanti: il ventinovenne baritono casertano Sergio Vitale (Falstaff), il baritono moldavo Valeriu Caradja (Ford, marito di Alice), il tenore italo argentino Pablo Karaman (Fenton), il ventiseienne basso catanese Emanuele Cordaro (Pistola), il ventisettenne soprano russo Zhala Ismailova (Mrs Alice Ford) e il soprano Maria Elena Lorenzini (Nannetta).

Anche gli altri sono giovani promesse: il tenore Matteo Mezzaro (Dr Cajus) di 28 anni, il tenore palermitano Cosimo Vassallo (Bardolfo), il mezzosoprano moscovita Anna Konovalova (Mrs Meg Page) di 28 anni, tranne una che le sue promesse le ha ampiamente mantenute nel corso della sua onorata carriera, il noto mezzosoprano Elena Zilio, che ha sostituito all’ultimo minuto l’infortunata Hye Young Choi nel ruolo di Mrs Quickly

I giovani sono stati introdotti all’opera e seguiti nella preparazione dalla brava pianista e spartitista Mirca Rosciani, poi ci ha pensato il noto regista Ivan Stefanutti ad istruirli per il palcoscenico e ne è uscito uno spettacolo bellissimo nell’allestimento e in gran parte piacevole sul versante musicale, con tre vincitori assoluti: Stefanutti, Zilio, Vitale.

Ivan Stefanutti, che si è occupato di regia, scene e costumi, ha esaltato la poesia del colore, la chiarezza delle forme, la cura del dettaglio, l’originalità dell’invenzione, l’ironia del gesto e dell’espressione.

Il regista ha infuso leggerezza anche a personaggi che potrebbero essere triviali o sguaiati,  ha disposto in modo artistico i gruppetti di donne e di uomini e ha creato quadri di estrema eleganza con le masse, nel contempo ha spinto al massimo la tensione nel momento dello scherzo beffardo e ha vivacizzato il movimento in scena senza creare confusione. Fantastico!

Gli ambienti descritti nel libretto non sono stati snaturati ma filtrati dalla creatività del regista scenografo e cambiati con un semplice spostamento del fondale.

L’osteria della Giarrettiera era rappresentata da due coperchi di botte di rovere, uno enorme davanti al quale stava Falstaff con una damigiana e uno piccolo che fungeva da porta, dominava il colore caldo del legno e dei fumi del vino. 




La stanza della casa di Ford, dove le comari
intessevano la burla, era luminosa e vivacizzata da lenzuola color pastello stese, usate anche come nascondiglio per i personaggi, da un lato c’era il cestone di vimini dove era nascosto Falstaff. 

Il parco di Windsor, grazie allo scintillio dei costumi, al gioco cromatico delle luci, ai movimenti di inquietanti e contorti fauni bianchi che si aggiravano e poi sostavano intorno e dentro un grande tronco cavo, formando una scultura spettrale, e grazie alla presenza di una moltitudine di gente investita di luci e fumi rosati e azzurrini, aveva la magia del regno delle fate. Una scena poetica, bellissima: quasi quasi ci si aspettava di veder spuntare Oberon e Tatiana.

Bellissimi i costumi di foggia classica in perfetta simbiosi coi personaggi che li indossavano, cura particolare degli accessori e delle acconciature, restituzione assoluta delle atmosfere: densa e calda  nell’osteria della Giarrettiera, frizzante e leggiadra a palazzo, eterea e sognante nel parco reale di Windsor.

Mai un Falstaff mi è rimasto negli occhi e nella mente come questo, è un Falstaff che,  senza tralasciare il sogno, i desideri e le fantasie, è impostato più sulla curiosità e sulla giocosità che sulla comicità e sul grottesco; che poi alla fine la realtà lasci “tutti gabbati” lo sapevamo già. Le magnifiche luci erano di Angelo Ticchiati.

Sul versante vocale la bravura di Falstaff e di Quickly ha focalizzato l’attenzione dello spettatore, che ha sorvolato sulle incertezze di qualche altro.

Di Elena Zilio non avevamo dubbi, il palcoscenico è il suo habitat naturale,  la voce è screziata, il timbro accattivante, la dizione chiara, il modo di porgere molto curato; è un gran personaggio, una  Quickly  scaltra, dall’attenzione pronta e dai modi ironicamente garbati.

La rivelazione della serata è stato il baritono Sergio Vitale, sul quale il regista ha fatto un’operazione sorprendente: già alto di natura, il giovanotto è stato opportunamente gonfiato, con un pancione in primo piano che lui gestiva a meraviglia, le movenze e le pose erano quelle tipiche del ciccione, la deambulazione pesante e a volte insicura, la mobilità della mimica facciale e quei colpi di pancia che precedevano l’attacco del discorso erano esilaranti. Un Falstaff da manuale scenicamente ma anche vocalmente. Il baritono ha esibito voce ampia di bel timbro, capace di espandersi in larghe arcate, di piegarsi al canto a mezza voce, di addolcirsi nel far l’amoroso e di alleggerirsi fino al comico falsetto (“Io son di Ford”) con morbida linea di canto, buoni appoggi, dizione chiara. In tutta l’opera prevale il canto d’insieme e quello delle comari è condotto con leggerezza teatrale. Tutti i cantanti erano preparati, ma con alcune cose da migliorare nell’emissione e nella dizione.


Anna Konovalova (Meg) ha vocalità decisa, estesa, debole nei gravi, tagliente negli acuti;

Matteo Mezzaro (Dr Cajus) ha voce acuta, suono deciso e sostenuto, dizione chiara;  Pablo Karaman (Fenton) è un tenore flebile che stringe gli acuti; Maria Elena Lorenzini (Nannetta) ha tenuto a lungo un bellissimo filato nel duetto con Fenton alla fine del 1° atto e, vestita da regina delle fate, ha cantato la dolcissima aria “Sul fil d’un soffio etesio  con voce di bel timbro ma purtroppo tremolante; Valeriu Caradja (Ford) ha voce estesa, canta bene ma dovrebbe eliminare il vibrato.

 





Bravo come sempre il Coro del Teatro della Fortuna M. Agostini,  diretto da Lorenzo Bizzarri

L’Orchestra Sinfonica Rossini, diretta da Roberto Parmeggiani,  ha restituito la varietà dei temi e la ricchezza dei colori e dei ritmi presenti nella partitura di Falstaff, ma in alcuni momenti non è riuscita a contenere le sonorità, disturbando l’ascolto e coprendo le voci.



venerdì 15 marzo 2013

ASSOCIAZIONE LIRICA 

MARICO DEL MONACO 

DI MODENA

Teatro Carani, Sassuolo (Modena)

Domenica 24 Marzo, ore 16.00


Premio Lirico Mario del Monaco 

al tenore Gregory KUNDE

concerto con la partecipazione degli artisti:

Soprano - Jessica NUCCIO

Mezzosoprano - Manuela CUSTER

Basso - Claudio LEVANTINO

Al pianoforte il M° Giuliana PANZA



Prenotazione: Tel. 059/510421 cell: 335 334861 
email: renatoghelfizoboli@yahoo.it

Prezzi:
10 euro per i nostri associati ed ai soci delle Associazioni Liriche "amiche", 
15 euro per tutti gli altri partecipanti.

sabato 9 marzo 2013

Torino-Teatro Regio-Don Giovanni

 Torino, Teatro Regio – Stagione d’opera 2012-2013



I DUE CAST DEL DON GIOVANNI
(15 febbraio 2013 prima con primo cast, 16 febbraio replica con secondo cast)

Servizio di Giosetta Guerra

Don Giovanni, dramma giocoso in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, è stato proposto al Teatro Regio di Torino con l’allestimento della stagione 2004-2005, che vide Michele Placido debuttare come regista d’opera, regia ripresa e curata oggi da Vittorio Borrelli, a fianco di Maurizio Balò come scenografo e costumista, Andrea Anfossi come light desiner, Tiziana Tosco per i movimenti coreografici, Saverio Santoliquido come direttore dell’allestimento.
La scena è prevalentemente scura ed è appesantita dalla costante presenza di un greve sipario di velluto nero bordato di fregi dorati che allude alla morte, perché somiglia  alla coperta di un catafalco. Per i cambi scena si effettuano molte chiusure di sipario, davanti al quale vengono cantate arie solistiche, duetti e terzetti; la scena d’apertura con lampione ritorna più di una volta e così il muro grigio sormontato da vasi di agavi, è un alto muro anche il balcone di Elvira da cui scende un lenzuolo bianco per far nascondere Don Giovanni mentre Leporello finge di essere il Don che canta Deh vieni alla finestra, davanti al cimitero con statue e tombe c’è ancora un muro sul quale interagiscono servo e padrone. Il colore arriva alla fine ed è un rosso violento: nella sala da pranzo del Don affrescata con figure diaboliche ed erotiche, nella scena della morte del protagonista con il fuoco dell’inferno. 








Spiritoso l’incontro di Zerlina e Masetto dopo il “fattaccio”. 
Lepore e Alvarez
Geniale scelta registica quella di far rispondere la statua del commendatore, un angelo con la spada, col movimento delle ali e con un flash di luce in viso.
Originale l’idea di aprire e pareti della stanza della cena e di far entrare tutto il gruppo marmoreo del 
cimitero tra fumo e luce livida sulla faccia del Don, che si arrampica sulla statua e viene inghiottito con tutto il blocco. Genialissima la trovata di far risbucare dal sipario Don Giovanni, dopo il canto liberatorio, mostrando solo il viso con una risata beffarda nel 1° cast, presentandosi con tutta la sua fisicità nel 2° cast, perché in realtà Don Giovanni sarà sempre presente, anzi sembra aver trasmesso i suoi vizi ad Elvira che alla fine strizza l’occhio a Leporello.
Ho trovato alcune imprecisioni:  
nell’aria “Il mio tesoro intanto” Don Ottavio chiede 
agli altri di andare a consolare Donna Anna, ma, 
quando pronuncia la frase “Ditele che i suoi torti 
a vendicar io vado”,  gli altri se ne sono già andati; 
nella scena del cimitero c’è poco terrore e troppa luce, i due se ne stanno in piedi sul muretto a zuzzurellare e c’è più luce al cimitero di notte che altrove di giorno, manca la luce anche nell’assieme finale.
Gli abiti sono belli e di foggia moderna.
Il clavicembalista e direttore d’orchestra Christopher Hogwood alla guida dell’Orchestra del Regio tiene tempi un po’ lenti e poco incisivi nelle parti dell’ouverture che annunciano il dramma, più mossi nelle pagine frizzanti e giocose dove emerge la leggerezza dei violini, in corso d’opera osserva il rispetto delle voci e il dettato della partitura.
 
Cantanti del primo cast

Carlos Álvarez  è un Don Giovanni concreto e diretto, canta bene e con dizione chiara, ma senza entrare nel linguaggio intrinseco alla psicologia del personaggio, la canzonetta “Deh vieni alla finestra” accompagnata dal mandolino, il  duettino con Zerlina “Là ci darem la mano”, il pezzo di bravura di “Fin ch’han dal vino”, tanto per fare degli esempi, dovrebbero essere interpretate in modo differenziato; la voce baritonale dal timbro scuro e dal suono talvolta cupo non ha problemi ad affrontare la tessitura acuta, ma dovrebbe acquistare in morbidezza per rendere tutte le sfumature del canto mozartiano (Ramey docet) e mantenere pienezza ed efficienza fino alla fine (“Viva le femmine”).
Il basso Carlo Lepore, versatile e spigliato nelle vesti di Leporello, si impone per una vocalità ampia, estesa, timbrata, duttile, di bel colore e di notevole spessore in ogni registro, porge con eleganza e pastosità del suono, abilissimo nel canto sillabato e scandito, preciso nel canto e nelle variazioni, dà spessore alla frase che accompagna con mimica adeguata.
Il tenore tedesco-croato Tomislav Mužek (Don Ottavio) canta bene, ha voce chiara e fiati tenuti, fa belle variazioni nell’aria «Il mio tesoro intanto», ma una maggior flessibilità gli avrebbe evitato la stecchina nel canto finale.
Il baritono Federico Longhi (Masetto) è un bravo interprete, ma fiacco dal punto di vista vocale.
Il basso José Antonio García è una figura imponente nel ruolo del Commendatore, che da fuori campo fa giungere una voce inquietante con suoni lunghi, ma ingolata, poco sonora e poco gradevole.

Tra le femmine il soprano Eva Mei è una Donna Anna elegante e musicale, 


 
Mužek, Mei, García

emerge per pulizia vocale, fraseggio accurato, emissione sul fiato, luminosità nella tessitura acuta, scarsa densità dei suoni gravi; nella preziosa aria e cadenza del II atto «Non mi dir bell’idol mio», accompagnata dal corno e dagli archi, esibisce suoni sospesi, pulitissimi e morbidi, filati sonori e lucidi.
Alvarez e Remigio

Carmela Remigio è un’Elvira prorompente che gestisce bene una vocalità sopranile pulita, luminosa e agile, con suoni pieni e vibranti e buon dosaggio del fiato, sa addolcire e attaccare a mezzavoce, canta e interpreta molto bene il recitativo e l’aria «Mi tradì quell’alma ingrata» (applauso), ma talvolta si sente il bisogno di maggior spessore, emerge nel finale.
Rocío Ignacio (Zerlina) è la più scura delle tre donne, la voce non è grande, i suoni sono belli ma appaiono gonfiati, il soprano esegue tecnicamente bene la sua parte ma c’è poca naturalezza d’emissione e poca morbidezza del canto (“Vedrai carino”).

Secondo cast
 

Palazzi e Werba

Markus Verba è un Don Giovanni teatralmente perfetto: è un bel personaggio esuberante dalla presenza accattivante, un ragazzo biondo dei nostri giorni coi capelli lunghi, galante ed elegante, smaliziato, baldanzoso, sensuale e intrigante nei corteggiamenti, molto sicuro in palcoscenico, ma vocalmente non è di prima qualità: la voce è aspra e leggera e a volte al limite dell’intonazione (“Deh, vieni alla finestra”), nel duetto con Zerlina  Là ci darem la mano” lei è dolce e sensibile, lui è freddo ed immobile e ha voce corta, è timbrato nei recitativi e la parola è chiara, ma nel canto, seppur a volte seducente e morbido, la voce è poco sonora. All’ora della cena la voce non si sente più (“Lascia ch’io mangi”).
Mirco Palazzi è un Leporello mobilissimo, sempre pronto a scattare, la voce ha colore meraviglioso, estensione notevole, sicurezza e fluidità d’emissione in tutti i registri, la linea di canto è morbida, tutti i suoni sono a posto e rotondi anche nelle variazioni e nel canto sbalzato, le note gravi sono poderose, la scansione della parola è timbrata, i recitativi sono musicali e chiari. L’elemento basilare del canto is the flexibility, diceva Ramey, e Mirco ce l’ha.
Francesco Marsiglia (Ottavio) ha voce chiara, svettante, rigida (“Lo giuro agli occhi tuoi”) e con vibrato, il timbro non è accattivante, il tenore sa assottigliare, ma sbianca i filati acuti (“Dalla sua pace”), attacca freddamente e in modo rigido l’aria “Il mio tesoro intanto”, la esegue bene ma invece di filare i suoni li trema, manca di flessibilità pertanto l’acuto è corto e spezzato, i recitativi sono chiari e nitidi, la linea di canto è piatta e nasaleggiante, i suoni sono tenuti ma sempre con la stessa intensità.
Maria Grazia Schiavo (Anna) ha una notevole gettata di voce, di bel timbro, dal suono pieno e rotondo, ha un corretto modo di porgere, perché l’emissione è naturale (“Or sai che l’onore”), la voce è flessibile, esegue di forza belle progressioni e ogni tanto smorza dosando il fiato con morbidezza;  nell’aria più bella dell’opera che va al cuore “Non mi dir bell’idol mio” con corno e violini sale con grande facilità e bellezza del suono a sovracuti cristallini, fa attacchi in acuto a mezza voce, filati splendidi, picchiettati in acuto con un’agilità e una fluidità sorprendenti. Favolosa!
Palazzi e Schillaci

Daniela Schillaci (Elvira) interpreta bene i brani infuocati con la giusta irruenza vocale, perché ha voce tagliente ben appoggiata in ogni registro ma con acuti un po’ strillati (“Ah, chi mi dice mai”, “Ah, fuggi il traditor”), tratteggia le agilità con dizione chiara e addolcisce il canto al pensiero del suo uomo (“Non ti fidar o misera”), esterna tutta la sua  furia nell’aria “Mi tradì quell’alma ingrata” con fluidità d’emissione e accento incisivo.
Rosa Feola è una Zerlina dolce e musicale, la voce è leggera ma ben modulata, i suoni sono pieni e melodiosi nella bellissima e delicata aria “Batti batti bel Masetto”, dove il soprano riesce a restituire la ricchezza melodica mozartiana, tocca bene tutti i registri con suoni morbidi e proiezione fluida del suono nell’aria “Vedrai carino”. Masetto e il Commendatore sono gli stessi cantanti nei due cast.
Delizioso il terzetto delle maschere.



domenica 3 marzo 2013

Torino – Teatro Cardinal Massaia-Anna Mazzamauro

Torino – Teatro Cardinal Massaia

Dal 14 al 17 febbraio 2013

Una produzione di E20inscena


Anna Mazzamauro in 

"Serata d’onore e d’amore"


 Recensione del 17 febbraio di Giosetta Guerra

sabato 2 marzo 2013

Fano prosa Riccardo III






Fano teatro della fortuna
Stagione di PROSA 2012-13 della Fondazione Teatro della Fortuna in collaborazione con AMAT, con il sostegno di MIBAC e Regione Marche e con il patrocinio della Provincia di Pesaro e Urbino.

alessandro gassmann IN R III 
26 e 27 FEBBRAIO 2013


riccardo terzo di Shakespeare: una vita per uccidere

(traduzione e adattamento Vitaliano Trevisan)

Un allestimento da grande teatro per uno spettacolo di forte impatto

Recita del 26 febbraio analizzata da Giosetta Guerra

Una scenografia gotica nelle linee e nelle tinte, realizzata da Gianluca Amodio su idea di Alessandro Gassman, ha come cifra costante gli archi acuto sesto e il nero assoluto. La struttura architettonica, appena mossa da tre scalini, è fissa, la scena viene illuminata a sezioni per gli interni, due faretti gelidi nella parte alta del fondale ogni tanto bucano il buio, mirati flash di luce rischiarano in parte i visi e danno visibilità all’azione che si svolge dietro e davanti ad un velatino nero aperto al centro, mentre gli esterni e gli effetti scenici sono definiti dalle suggestive videografie di Marco Schiavoni.
La sala del trono con rosone ha l’aspetto e il grigiore di una cripta, la prigione nella Torre di Londra viene illuminata da gigantesche candele accese, posizionate su due livelli e riflettenti in parte sul pavimento. Gli esterni presentano una bellissima scena con tronchi neri d’alberi in controluce contro un cielo grigio squarciato da luci bianche,  un’altra con la pioggia battente per l’incoronazione a re di Riccardo, una splendida nevicata con grossi fiocchi bianchi su fondo nero, immagini in dissolvenza, una marcia di soldati e l’inquietante magnifica fluttuante danza dei fantasmi provenienti da ogni direzione che turbano il sonno del re, corpi penzolanti alla morte del re al rallenty e originale presentazione finale dell’immagine degli attori in dissolvenza con accanto i nomi che si sgretolano. Idea cinematografica adatta anche all’opera lirica. Il soggetto è simile a quello del Macbeth.
Rari tocchi di colore (rosso, verde, azzurro, oro) per i costumi austeri e per lo più ferrigni o neri ideati da Mariano Tufano.
Le musiche originali di Pivio& Aldo De Scalzi sono ossessive, stranianti, sospese, allucinate, a volte monocordi, a volte un sibilare di suoni fissi prolungati, moderne e romantiche alla fine.

La regia dello stesso Gassman, direttore del Teatro Stabile del Veneto, è attenta ai dettagli, incide sul carattere fisico e morale dei personaggi che presenta anche con una certa ironia.

Il malvagio re Riccardo III di York ha la statura fisica ed artistica di Alessandro Gassmann, figlio d’arte, ma bravo di suo, che affronta per la prima volta in palcoscenico Shakespeare in un ruolo in cui l’attore riesce ad entrare in simbiosi con la fisicità deforme e la depravazione morale del personaggio. Sciancato, claudicante, contorto e reso ancor più alto da scarpe col fondo alto, domina la scena e sovrasta tutti gli altri, ma li domina, come vuole il copione, anche con il narcisismo, l’arte affabulatoria, l’ironia, il finto altruismo, l’autocommiserazione, fino al punto di far innamorare di sé Lady Anna e a farsi incoronare re, e ancora con la manipolazione, l’ipocrisia, la violenza, le macchinazioni, i ricatti, la menzogna, la finta amicizia, per sbarazzarsi di tutti coloro che possono contrastare la sua feroce brama di potere.

Riccardo III, folle e sanguinario proprio come Macbeth e la sua Lady, applica il principio machiavellico “Il fine giustifica i mezzi”, anche se ai fini drammatici l'infamia è enfatizzata, è un rapace in un branco di rapaci, perché anche gli altri non sono garbati, e si compiace delle sue istrioniche interpretazioni, visto che il suo carisma coinvolge e schiaccia tutti. Bravissimo interprete e ottimo regista, Alessandro Gassmann ha coinvolto il pubblico, che ha apprezzato anche l’alta professionalità degli altri attori, impegnati in più ruoli: Mauro Marino (Edoardo, Stanley e Margherita), Giacomo Rosselli (Rivers e Catesby), Manrico Gammarota (Tyrrel), Emanuele Maria Basso (Carceriere, Richmond e Vescovo), Sabrina Knaflitz, attrice austriaca, dal 1998 moglie dello stesso Gassmann, nel ruolo di Anna, Marco Cavicchioli (Clarence, Hastings e Messaggero), Marta Richeldi (Elisabetta), Sergio Meogrossi (Buckingham) e Paila Pavese nel ruolo della Duchessa di York.

Tutti hanno buona dizione, importantissima nel teatro shakespeariano basato sulla parola, qualcuno dovrebbe migliorare la pronuncia del fonema "s".


Peccato non avere le foto delle magnifiche videografie.