Fano - Teatro della Fortuna (22, 24 marzo 2013)
FALSTAFF di Giuseppe Verdi
commedia lirica in tre atti, libretto di Arrigo Boito tratto da “Le allegri comari di Windsor” di Shakespeare.
Allestimento sognante e cantanti giovani per l’opera comica
del grande vecchio
Recita del 22 marzo 2013, recensita da Giosetta Guerra
Dal Concorso Giordani, tenutosi
l’anno scorso al Teatro della Fortuna di Fano al fine di formare il cast di Falstaff,
sono usciti sei cantanti: il
ventinovenne baritono casertano Sergio
Vitale (Falstaff), il baritono moldavo Valeriu Caradja (Ford, marito di Alice), il tenore italo argentino Pablo Karaman (Fenton), il ventiseienne basso catanese Emanuele Cordaro (Pistola), il ventisettenne soprano
russo Zhala Ismailova (Mrs Alice Ford) e il soprano Maria Elena Lorenzini (Nannetta).
Anche gli altri sono giovani
promesse: il tenore Matteo Mezzaro (Dr Cajus) di 28 anni,
il tenore palermitano Cosimo Vassallo (Bardolfo), il mezzosoprano moscovita Anna Konovalova (Mrs Meg Page) di 28 anni,
tranne una che le sue promesse le ha ampiamente mantenute nel corso della sua
onorata carriera, il noto mezzosoprano Elena
Zilio, che ha sostituito all’ultimo
minuto l’infortunata Hye Young Choi
nel ruolo di Mrs Quickly
I giovani sono stati
introdotti all’opera e seguiti nella preparazione dalla brava pianista e
spartitista Mirca Rosciani, poi ci
ha pensato il noto regista Ivan Stefanutti ad istruirli per il palcoscenico e ne è uscito uno spettacolo bellissimo
nell’allestimento e in gran parte piacevole sul versante musicale, con tre
vincitori assoluti: Stefanutti, Zilio, Vitale.
Ivan Stefanutti, che si è occupato di regia, scene e costumi, ha
esaltato la poesia del colore, la chiarezza delle forme, la cura del dettaglio,
l’originalità dell’invenzione, l’ironia del gesto e dell’espressione.

Gli
ambienti descritti nel libretto non sono stati snaturati ma filtrati dalla
creatività del regista scenografo e cambiati con un semplice spostamento del
fondale.
L’osteria
della Giarrettiera era rappresentata da due coperchi di botte di rovere, uno
enorme davanti al quale stava Falstaff con una damigiana e uno piccolo che
fungeva da porta, dominava il colore caldo del legno e dei fumi del vino.


Bellissimi
i costumi di foggia classica in perfetta simbiosi coi personaggi che li indossavano,
cura particolare degli accessori e delle acconciature, restituzione assoluta
delle atmosfere: densa e calda nell’osteria della Giarrettiera, frizzante e
leggiadra a palazzo, eterea e sognante nel parco reale di Windsor.
Mai un Falstaff mi è
rimasto negli occhi e nella mente come questo, è un Falstaff che, senza tralasciare il sogno, i
desideri e le fantasie, è impostato
più sulla curiosità e sulla giocosità che sulla comicità e sul grottesco;
che poi alla fine la realtà lasci “tutti gabbati” lo sapevamo già. Le magnifiche luci erano di Angelo Ticchiati.
Sul
versante vocale la bravura di Falstaff e di Quickly ha
focalizzato l’attenzione dello spettatore, che ha sorvolato sulle incertezze di
qualche altro.



L’Orchestra
Sinfonica Rossini, diretta da Roberto Parmeggiani, ha restituito la varietà dei temi e la ricchezza
dei colori e dei ritmi presenti nella partitura di Falstaff, ma in alcuni
momenti non è riuscita a contenere le sonorità, disturbando l’ascolto e
coprendo le voci.
invece di fare tanto i filologi e gli esperti del belcanto e utilizzare paroloni e termini tecnici senza conoscere la materia di cui si sta parlando sarebbe meglio fare un gesto concreto: aprire la partitura (ammesso che la si sappia leggere!) e rendersi conto di quanto sia complessa e piena di insidie quest'opera...solo allora si potrà giudicare; in questo articolo i pareri sulle vocalità fanno ridere, come del resto quelli riguardanti il Don Giovanni. Cosi come noi cantanti abbiamo il dovere di presentarci davanti al pubblico pagante preparatissimi anche i critici o presunti tali dovrebbero avere la compiacenza di informarsi, confrontare, essere consapevoli del perchè di una scelta musicale e non sparare a zero: l'articolo è totalmente sbilanciato: si sofferma esageratamente sull'aspetto visivo dell'opera e via via, sempre diminuendo, si arriva all'orchestra che guarda un po?! in certi punti è stata troppo forte, unica informazione considerevole su un lavorone durato quasi un mese che ha tirato fuori una serie di altre cose: sonorità morbide, legati dallo slancio lirico tipicamente verdiano, fraseggi curati, zelo nell'accompagnamento ai cantanti, sostegno ritmico, omogeneità nelle varie sezioni....ma si sa, per scriverle certe cose bisogna saperle.
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