giovedì 20 settembre 2012








 Macerata Opera Festival 2012

La Bohème di Giacomo Puccini

Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger

(Arena Sferisterio 27 luglio 2012)




A cura di Giosetta Guerra

Emerge la coppia Francesco Meli-Serena Gamberoni

La scenografa Federica Parolini opta per una scenografia minimalista ricca di colore con un minifondale trapezoidale spennellato, posters, pochi arredi sparsi tra cui una stufa.
Con il disegno luci di Alessandro Verazzi il fondale all’inizio prende la forma di una pineta di soli tronchi, la scena è scura nel I atto, sì da non distinguere i visi dei bohémiens, poi quando Mimì perde la chiave e Rodolfo dice “è buio pesto” la luce è bella chiara. Ottime le luci per atmosfere surreali nel II atto.
La costumista Silvia Aymonino fa indossare a Marcello una mantellina a uncinetto, a Schaunard una tuta rossa, un cappotto a scacchi b/n e una parrucca riccioluta, a Rodolfo jeans neri, camicia a scacchi e scarpe da tennis, a Musetta un attillato e vistoso abito in lamè d’argento, veste Parpignol da Babbo Natale. 
Tutto in accordo con le idee registiche di Leo Muscato, che racchiude in un ambiente gioioso, variopinto e tanto bohémien scene d’amore, di vita, di morte e di contestazione.
La cura dei dettagli è certosina: nella soffitta c’è il battuscio come via d’accesso,  Marcello dipinge a terra (è tanto povero che non ha neanche un cavalletto), Rodolfo ha sulle spalle una coperta (visto che non ha il riscaldamento), Musetta firma autografi come una diva, il quartiere latino ha un aspetto tra il circo con palloncini volanti, berretto da Babbo Natale in testa a tutti, e la discoteca con un chitarrista rock,  la barrière d’Enfer con la classica cancellata è qui una Fonderie d’Enfer in mano a scioperanti con cartelli di protesta contrastanti, si vedono bidoni accesi, un furgoncino, poliziotti, spazzini, gente in bicicletta, coro dietro l’arco. In palcoscenico cambi a vista, molto colore, vivacità e movimento per una Bohème giovane e scintillante nonostante la miseria.
Qualche incongruenza nel IV atto:
Marcello quando dice “Che penna infame” usa la macchina da scrivere, Musetta annuncia che Mimì malata è per le scale, invece Mimì arriva da una corsia d’ospedale che si apre sul fondale e distesa su una barella con la flebo viene spinta da due infermieri in palcoscenico (uno scollamento di tempo e d’azione).

Bei quadretti coreografici in scena grazie a Michela Lucenti e all’Ensemble di teatro fisico Balletto Civile.
L’opera  termina con le figure in controluce.
Al debutto nel ruolo protagonista,  Francesco Meli delinea un Rodolfo dinamico e moderno, scenicamente molto credibile; vocalmente  emerge per la freschezza dello smalto, la brillantezza del registro acuto, la bellezza dello squillo, la ricchezza  dei colori, la fluidità del suono, l’abilità tecnica a piegare la voce alle esigenze delle situazioni, dall’attacco maschio con voce scura di Che gelida manina, alla gentilezza del canto soffuso in Talor nel mio forziere che si illumina nella speranza, all’intensità dell’interpretazione specialmente nel IV atto, dove la voce tenorile è nel pieno della bellezza timbrica, della delicatezza delle sfumature e il suono corre e si espande in arena.
Voce melodiosa con la tinta pucciniana è quella di Carmen Giannattasio nei panni di Mimì. Il soprano esibisce delicate mezze voci, suono rotondo, acuti lunghi e luminosi, ma gravi vuoti (Sì, mi chiamano Mimì), ha un bel colore vocale, ma marca troppo la erre, il canto è per lo più spinto, ma sa anche alleggerire e sono pieni anche i suoni a mezza voce. Melodiosa e brava interprete,  purtroppo all’aperto non arriva tutto, il sottovoce si perde.
Certo, a pensarci bene, Mimì è proprio una ragazza facile, ci sta subito e lo chiama immediatamente amore. O era una furbetta?
Magnifica la Musetta di Serena Gamberoni, un soprano dalla voce di bellissimo timbro, luminosa, estesa, scintillante, che sgorga naturalmente con una linea di canto morbida e fluida e una tecnica d’emissione sul fiato, bravissima e bellissima nelle vesti di una diva in lamè, domina il palcoscenico come un punto luce sia visivo che vocale.
Ha una buona voce di baritono Damiano Salerno (Marcello), sostiene il suono e canta bene.
Voce autorevole per Colline, quella timbrata e morbida del basso Andrea Concetti, ricca di colori negli accenti  e nella modulazione dei suoni; perfetta la sua Vecchia zimarra per colore e gestione della voce.
Negli altri ruoli abbiamo apprezzato Andrea Porta (Schaunard), Alessandro Pucci (Parpignol), Antonio Stragapede (Benoit), Lucio Mauti (Alcindoro), Roberto Gattei (Sergente dei doganieri), Gianni Paci (doganiere), Giovanni Di Deo (Venditore).

Sempre presente con discrezione, sommessa anche nelle pagine più scoperte l’Orchestra Regionale  delle Marche, ben diretta  Paolo Arrivabeni. Hanno contribuito anche scenicamente il bravo Coro Vincenzo Bellini preparato da David Crescenzi, il Coro di voci bianche Pueri Cantores Zamberletti (che si saranno anche divertiti) e la Banda Salvadei Città di Macerata.




Foto Tabocchini  Macerata







domenica 16 settembre 2012






Jesi, Teatro Pergolesi

Festival Pergolesi Spontini 2012

La Fuga in Maschera 

di Gaspare Spontini

(31 agosto 2012 – prima)
 
Una farsa con momenti elegiaci

A cura di Giosetta Guerra





Ribadisco la validità della riscoperta di opere desuete e il merito della Fondazione Pergolesi- Spontini di aver riportato alla luce i lavori dimenticati di questi due illustri compositori marchigiani del passato. Il ritrovamento a Exeter in Inghilterra dell'autografo della commedia per musica in due atti La Fuga in Maschera di Gaspare Spontini, che debuttò nel 1800 al Teatro Nuovo di Napoli,  è opera di Marco Palombella conservatore del museo Spontini di Majolati, e il Festival Pergolesi-Spontini ha co-prodotto l’opera nella revisione critica di Federico Agostinelli con il San Carlo di Napoli che la metterà in scena prossimamente.
Anche se l’intrigo della trama (libretto di Giuseppe Palomba), la lunghezza eccessiva, la ripetitività degli schemi, l’esiguo numero di pezzi chiusi non rendono La Fuga in Maschera un’opera molto accattivante, la piacevolezza e la vivacità della musica, la freschezza e il brio dell’orchestrazione fanno apprezzare l’estro spontiniano e gratificano l’ascolto.
Tre ore di bella musica, a cominciare dall’Ouverture frizzante, molto veloce, che espande la leggerezza degli archi e il ritmo cadenzato dei fiati, vivacizzata dalla lettura di Corrado Rovaris alla guida dell’organico orchestrale de I Virtuosi Italiani (19 archi<11 2="2" 3="3" contrabbassi="contrabbassi" viole="viole" violini="violini" violoncelli="violoncelli">,  2 oboi, 2 corni, 1 clarinetto, 1 fagotto, 1 arpa e basso continuo suonato dallo stesso direttore), orchestra fantastica per la fluidità e la qualità del suono, anche quando gli strumenti sono più scoperti, corno, arpa, clarinetto, oboe sono una voce accanto alla voce cantata e il basso continuo sostiene i recitativi, alcuni dei quali sono in dialetto napoletano. Il risultato è un buon amalgama di voci e suoni.
Purtroppo quel che pesa in quest’opera è il susseguirsi di lunghi recitativi  (ben 19) e di interminabili canti d’insieme (8 tra duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti, settetti), (La Fuga in Maschera non è Così fa tutte), contro solo 9 arie solistiche per sette personaggi e tutto è tirato per le lunghe in una lunghezza estenuante.
Nell’edizione jesina va apprezzata l’originalità del nuovo coloratissimo allestimento di Leo Muscato (regia spumeggiante e dal ritmo serrato, che modernizza gli elementi tipici della commedia dell’arte), Benito Leonori (scene naïves e controscene surreali), Giusi Giustino (costumi shock per tinte e fogge caricaturali e parrucche esagerate), Alessandro Verazzi (luci e controluci per giochi di trasparenze), con proiezioni, tende, velatini, azioni e apparizioni in contemporanea anche su più piani, perfino un gruppo rock, gags della commedia dell'arte, personaggi che scorrono dietro su pedane mobili, perfino una vespa, cuori sul sipario e sul fondale, gestualità e deambulazione caricate, pose tragicomiche, movimenti a scatti o marionettistici: una sorta di contaminazione tra moderno e antico.
La scena si apre nell’atelier di un pittore, dove si aggirano uomini con abiti a righe bianche e grige e strani capelli, ridicoli anche gli abiti delle donne.

Gli interpreti da bravi attori hanno preso parte al gioco scenico divertendosi e facendo divertire.
Il soprano Ruth Rosique, nel ridicolissimo abito giallo di Elena, figlia di Marzucco, destinata sposa al Dottor Filebo, è una caratterista dalla voce acuta, squillante e duttile,  dal bel colore luminoso e dal suono rotondo e sonoro, è brava nei sillabati e capace di melodiose modulazioni.
Nelle rosse vesti di Olimpia cugina di Elena, che abita nella stessa casa, canta bene Caterina Di Tonno, un soprano dotato di bella voce, di  suoni rotondi e pastosi.
Nel ruolo della biondissima Corallina in versione dark, una vagabonda che gira con la lanterna magica, tradita da suo marito Doralbo, il soprano acuto Alessandra Marianelli esterna un bel corpo vocale, agile e brillante nelle colorature, versatile nel passare dagli  acuti svettanti fino ai sovracuti della tessitura sopranile alle note gravi della scrittura quasi mezzosopranile.

Il duetto Elena-Corallina è uno sfavillio di cadenze, acuti e sovracuti, una litigata a colpi di lance vocali, lunga fino all’esasperazione. Bravissime.

Clemente Daliotti, un basso dalla voce sonora e scura, è Nardullo, villano astuto, fratello di Corallina, che esegue i recitativi in dialetto napoletano antico come Isidoro nella Matilde di Shabran di Rossini.
Non esibisce una gran voce il basso Filippo Morace nel ruolo del vecchio Marzucco, un pittore fanatico, ridicolo come Don Bartolo de Il Barbiere di Rossini.
Alessandro Spina (Nastagio, servitore di Marzucco) è un basso dalla voce ampia e timbrata.
Dionigi D’Ostuni, tenore dalla voce chiara, acuta e sicura, dal timbro  interessante, ma di scarsa agilità e flessibilità, è Doralbo, un ciarlatano che si fa chiamare Dottor Filebo.

Vocalmente bravissime le donne già apprezzate anche in altre occasioni, un po’ acerbi gli uomini, che non conosco e con un’aria a testa è difficile giudicare, forse dipende dalla loro giovane età? Boh! Visti i mascheramenti che nascondevano le loro identità e vista l’impossibilità di un incontro ravvicinato con le loro facce al naturale (quest’anno il dopo teatro conviviale con gli artisti è stato riservato ai giornalisti ospiti totali del teatro anche per più giorni), non lo so.


domenica 9 settembre 2012


 R.O.F. 2012

  Pesaro-Teatro Rossini

LA REGINA DEL BELCANTO

MARIELLA DEVIA

(29 agosto 2012)

A cura di Giosetta Guerra




Si farebbe prima a leggere la lista di ciò che Mariella Devia non ha, perché la lista è vuota.
E allora facciamo la lista di ciò che la Devia ha e ci regala ogni volta: soavità del timbro, melodiosità del canto, trasparenza dei filati, sonorità delle mezze voci, pastosità nei centri, rotondità dei suoni gravi, luce infinita negli acuti trascinanti e nei sovracuti fulminanti, correttezza formale, elegante cesello della frase, padronanza delle fioriture, destrezza nel canto di bravura, fluidità d’emissione, magistrale gestione della voce nei lunghi fiati, nella messa di voce, nelle cadenze, nei giochi pirotecnici e nelle strabilianti scale cromatiche del canto di coloratura (una cascata di perle, diamanti e cristalli che rimbalzano, tintinnano e scintillano). Quando a teatro c’è lei, i posti sono tutti occupati, nessuno vuol perdersi l’armonia, la perfezione, il fascino di questa voce che, pur essendo giunta al massimo dello splendore, si arricchisce di sfumature col passar del tempo. La vera assoluta indiscussa Regina del Belcanto. Grazie Mariella!

 


Tutto questo lo sapevamo già e l’abbiamo ritrovato nel concerto “Voce che tenera”, che la Devia ha tenuto al Teatro Rossini insieme all’orchestra sinfonica G. Rossini, diretta da Antonino Fogliani, cimentandosi in arie di Rossini (cavatina di Adelaide “Occhi miei piangeste assai” da Adelaide di Borgogna, scena e cavatina di Amenaide “Di mia vita infelice…No, che il morir non è” dal Tancredi), di  Bellini (recitativo e romanza di Giulietta “Eccomi in lieta vesta…Oh! Quante volte, oh quante!” da I Capuleti e i Montecchi, cavatina di Norma “Casta diva” da Norma), di Donizetti (scena aria finale di Anna “Piangete voi?...Al dolce guidami…Coppia iniqua” da Anna Bolena).
Per il bis la Devia è saltata a Puccini e ci ha presentato una Musetta bohémienne tutta fuoco e scintillio nella nota aria “Quando me’n vo” con gli interventi di Marcello e Alcindoro cantati ironicamente dal direttore e dagli orchestrali.
Delirio in teatro, ma non erano previsti altri bis, allora la Devia ha ripreso “Al dolce guidami” da Anna Bolena.
Sono stati eseguiti anche tre brani per sola orchestra, le sinfonie da Semiramide, Norma e Maria Stuarda.
Vista la caratura di tale cantante, mi è sembrato un po’ riduttivo il titolo del concerto “Voce che tenera”. Meglio “La magia della voce”. 

 












Crediti fotografici: Amati-Bacciardi per Rossini Opera Festival 2012

venerdì 7 settembre 2012

ROSSINI OPERA FESTIVAL 2012

Pesaro - Auditorium Pedrotti

LA GIOVANE DIVA DEL BELCANTO


Jessica Pratt

(18 agosto 2012)

 A cura di Giosetta Guerra

Jessica Pratt, il soprano australiano residente a Como, interprete a Pesaro del Ciro in Babilonia e premiata col Tiberini d’oro 2012 dall’Associazione Musicale Mario Tiberini "per le eccellenti doti vocali applicate alla purezza dell’espressione melodica e al fantasmagorico canto di coloratura, per la sensibilità interpretativa e la perizia tecnica con cui incarna le giovani eroine del belcanto", è stata protagonista di un mirabile recital all’Auditorium Pedrotti.

Il programma ricchissimo e raffinato comprendeva otto arie molto impegnative del repertorio belcantistico italiano del Primo Ottocento, alcune delle quali di raro ascolto.
Iniziando con l’aria patetica e ricca di scale cromatiche di Palmide  “D'una madre sventurata” da Il Crociato in Egitto di Meyerbeer, la Pratt ha subito messo in luce le sue alte qualità di belcantista e di sensibile interprete.
Rossiniana d’alta classe, ha soffuso di struggente poesia la Canzone del salice “Assisa a piè d’un salice” dall’Otello di Rossini, eseguita in pianissimo e con acuti potenti, ha scatenato l’ovazione del pubblico con l’ampia e fitta coloratura della cavatina di Semiramide “Bel raggio lusinghier” dalla Semiramide, sfoggiando una mirabile messa di voce, filati rinforzati, acuti strabilianti, un magistrale uso di un mezzo vocale agilissimo e luminosissimo.  Ovazione e tre richiami in palcoscenico anche per l’aria molto sbalzata “O luce di quest'anima” da Linda di Chamounix di Donizetti: gli stratosferici sovracuti pungevano le orecchie come acuminati cristalli.
Alternanza di mezze voci e suoni lanciati in acuto e sovracuto per la ricca scrittura (vocale e strumentale) della cavatina di Isabella  “Figli a una sola patria” da La sposa di Messina di Vaccaj, accompagnata da un mirabolante pianoforte.
Poi tre arie di Bellini.

Nella cavatina “Ma la sola, ohimé, son io” da Beatrice di Tenda, la malinconia è espressa con un canto a fior di labbro, filati mossi e rinforzati che sfociano in possenti acuti, sostenuti dal suono vigoroso del pianoforte, che anticipa il tema melodico del recitativo e romanza di Giulietta “Eccomi in lieta vesta… Oh quante volte, oh quante” da  I Capuleti e i Montecchi e sostiene con un ricamo musicale la levità del canto del soprano, il raffinatissimo cesello della frase, la delicatezza dei pianissimo, l’acrobazia dei salti di questa interpretazione pregnante di struggente malinconia.
Attacco a fil di voce, col pianoforte mosso con garbo o silenzioso, e canto a mezza voce che intesse trasparenti filati rinforzati per la scena e aria finale di Amina “Oh se una volta sola…” da La sonnambula, fuochi d’artificio e funambolismo vocale ardito e spericolato per la cabaletta molto fiorita “Ah, non credea mirarti”. Ovazione interminabile, pioggia di rose bianche e ripetuta richiesta di bis. Ma dopo un programma così ricco? Eppure Jessica Pratt si è prodigata in tre bis:l’aria di Cunegonde “Glitter and be gay” da Candide di Bernstein, una pagina comica ricca di virtuosismi, vocalizzi, picchiettati, frasi parlate, che la Pratt ha eseguito con potenza e agilità vocale; il Valzer di Juliette “Je veux vivre” da Romeo et Juliette di Gounod, illuminato dalla purezza dei suoi acuti e “Sempre libera” da La Traviata di Verdi travolgendo il pubblico che l’ha festeggiata con grande calore.
Al pianoforte il bravo Giulio Zappa.

 
Jessica Pratt è l’artista più giovane di tutti i premiati col Tiberini d’oro.

Crediti fotografici: Amati-Bacciardi per Rossini Opera Festival 2012

mercoledì 5 settembre 2012

Pesaro Teatro Rossini

Il Signor Bruschino  

(12 agosto 2012 - prima)




Ancora contaminazione passato-presente

Bianco, rosso e verde per i costumi: W l'Italia

 

  

 

A cura di Giosetta Guerra


Un’opera buffa, già di per sé accessibile a tutti, può essere anche un po’ caricata per compiacere i più restii, purché non se ne falsi lo spirito e la musica.
La farsa per musica di Foppa e Rossini (1813), intitolata Il Signor Bruschino ossia il figlio per azzardo, è stata presentata al Teatro Rossini di Pesaro come un’attrazione per turisti, dove gli attori cantanti rappresentavano il passato e l’ambiente e i personaggi aggiunti il presente.
L’idea registica scaturita dal collettivo del Teatro Sotterraneo di Firenze ha esaltato la vena comica della storia, ridicolizzando le manie dei personaggi, facendoli muovere come manichini in sgargianti costumi e parrucche di foggia settecentesca su pedane mobili o come artisti di strada - una sorta di rappresentazione in piazza per turisti e passanti che mangiano pop corn - in una Rossiniland contemporanea, con tanto di supermercato, banca, negozi, la locanda di Filiberto, cabina telefonica e insegne luminose e direzionali, tipo La Gazza ladra, Guglielmo Tell o Osteria da Filiberto, attorno all’appartamento terrazzato di Gaudenzio.
A dire il vero erano più i  personaggi di passaggio (aggiunti) che i protagonisti della commedia (solitamente 7 o 8 per una farsa in musica): una colf stonata col carrello, turisti con abiti casual che si fanno fotografare coi cantanti, una coppia col bimbo in carrozzina, due gendarmi col cane, nonno e nipote in shorts, un’anziana con accompagnatrice, due giovani in effusioni amorose – anche troppe -, bambini urlanti seduti a terra per assistere alla performance di Gaudenzio e poi in giro tondo attorno a Bruschino padre indossando la maschera di Florville suo improvvisato figlio, gruppi di curiosi sul prato o sotto il loggiato, ispettori che ispezionano la platea.
Regia dettagliatissima (troppi dettagli), basata sull’ironia, su azioni a sorpresa, su gags esilaranti come la scena dei due vecchi rivali sul divano gonfiabile o come quella della coppietta che amoreggia dietro il divano e poi (questa l’avrei evitata perché disturba l’ascolto) stesi a terra ai piedi di Gaudenzio che spiega a Sofia cos’è il matrimonio. Il tutto in un ambiente coloratissimo, anche se architettonicamente squadrato, dove non manca la nota romantica dei palloncini a cuore che dalle mani di Florville volano a quelle di Sofia affacciata al balcone.
C’era un po’ di confusione: attori che si cambiano a vista, si confondono ed interagiscono con la gente che diventa spettatrice delle loro esibizioni canore, cinque orchestrali arrivano in ritardo e anche il direttore d’orchestra arriva di corsa, ma è un caos voluto e sempre sotto controllo, che comunque un po’ distoglie dall’ascolto.  Ma i curatori dell’allestimento sono giovani ed è bene che vedano l’aspetto giocoso della vita ed hanno potuto contare sulle ottime capacità attoriali di tutto il cast.
Le scene e i curatissimi costumi erano opera degli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Urbino, guidati da Francesco Calcagnini e l’adeguato progetto luci era di Roberto Cafaggini.

Sotto il profilo musicale l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, diretta dal giovane Daniele Rustioni (attento trait d’union tra buca e palcoscenico), mantiene il ritmo leggero e frizzante della partitura, strumenti singoli affiancano la loro voce a quella dei cantanti nelle arie solistiche o ne ricamano il sottofondo.
Vocalmente la farsetta si appoggiava su due consolidati artisti del genere buffo, Carlo Lepore e Roberto De Candia.
Lepore nel ruolo di Gaudenzio, vestito di verde smeraldo e con vistosa parrucca gialla, entra in scena su una specie di monopattino elettrico con ruote di gomma ed è costretto a cantare in equilibrio precario. Ma la voce c’è e che voce! Ampia, robusta, duttile, di bellissimo colore, poderosa nei gravi, agilissima nei sillabati, sonora nei recitativi, sostenuta nel suono, in piena linea con l’estetica rossiniana. Carlo Lepore è un basso portentoso con una mimica eccezionale.
De Candia, come Bruschino padre, con costume e parrucca rosso fuoco, uno stivale bianco  e una scarpa, parla al cellulare e usa il  Bancomat. Eccellente caratterista, ha voce baritonale di bel timbro, estesa e flessibile, in grado di aderire con naturalezza al ritmo rossiniano anche nelle pagine più serrate.
I loro duetti sono a dir poco esilaranti. Quando poi a loro si unisce Florville, vestito di bianco, si ricrea la bandiera italiana e la voce del tenore gareggia con le due voci scure. David Alegret nel ruolo di Florville ha evidenziato un mezzo vocale sonoro ma un po’ algido.
Maria Aleida è una Sofia sfiziosa e romantica,  ha un fil di voce che in acuto è un fil di seta, ma nei centri è insicura e più che cantare accenna; acuti, sovracuti, agilità, trilli, sillabati in tessitura acuta sono scintillanti, ma è il peso che non c’è.
Il locandiere Filiberto ha la buona voce di basso Andrea Vincenzo Bonsignore, Chiara Amarù presta a Marianna una voce piuttosto tremolante. Francisco Brito nel duplice ruolo del Commissario e di Bruschino figlio è un bravo caratterista.
Lo spettacolo è risultato divertente e fresco.


Crediti fotografici: Amati-Bacciardi per Rossini Opera Festival di Pesaro