venerdì 28 settembre 2018

rof 2018 ADINA


ROF 2018

Pesaro, Teatro Rossini

…Adina…

(12 agosto 2018, prima)

       ·      È del teatro il fin 
        la maraviglia













Recensione di Giosetta Guerra


Una bella Adina ci voleva al ROF, ma non quella di Nemorino che non c’entra niente con Rossini, bensì quella di Selimo finita in un serraglio, che Rossini ha immortalato in una breve farsa semiseria nel 1818, su commissione di un ufficiale portoghese, avvalendosi di autoimprestiti (da La gazza ladra e Sigismondo) e dell'aiuto di uno o più collaboratori, vista la brevità del tempo concesso. Anche il libretto di argomento turchesco di Gherardo Bevilacqua Aldobrandini non è originale, ma si rifà ad un testo già in circolazione. Fu rappresentata per la prima volta al Teatro São Carlos di Lisbona il 12 giugno 1826 (coincidenza: anno di nascita di Tiberini che sarà importante per lo stesso Rossini).

Il risultato è comunque gradevole, perché dove c’è aria rossiniana c’è piacevolezza.
Ci ha pensato Rosetta Cucchi in veste di regista a portare questa Adina a Pesaro in un nuovo allestimento coprodotto con il Wexford Festival Opera, dove la Cucchi lavora da tanti anni.
La lettura della regista si concentra sulle nozze, più volte programmate e più volte rimandate, sorvolando sui luoghi e sui tempi del libretto.
Infatti Adina doveva sposarsi col giovane arabo Selimo quando fu rapita dai briganti e portata nel serraglio del Califo, poi aveva deciso di sposare il Califo, al quale si era affezionata per la sua gentilezza, quando ricompare Selimo, alla fine, dopo aver scoperto di essere figlia del Califo, sposa Selimo.
In palcoscenico, quindi, coadiuvata dallo scenografo Tiziano Santi, la regista pone una gigantesca e decoratissima torta nuziale che, come nelle favole, è una scatola a sorpresa e, quando si apre…clic…esce il jack in the box. Dal piano terra esce il Califo che ha lì il suo serraglio finemente decorato e arredato, c’è anche una vasca da bagno piena di schiuma dove lui si immerge; dal balcone del primo piano s’affaccia la sua bella schiava Adina circondata dalle ancelle in tutù rosso
e sul terrazzo del terzo piano, con gli sposi di zucchero delle torte nuziali, accadono varie cose, anche il lancio dei cuoricini da Selimo (sospeso in aria) ad Adina; una scala laterale permette l’accesso ai piani alti. La regista bada più alla farsa semiseria che alle turcherie, colorando d’ironia una storia di intrecci amorosi, beffe, agnizioni, arricchendola di movimento e di gags anche alla Dario Fo. L’aiutano in questo suo intento le scene di gusto kitch di Tiziano Santi, i vivaci costumi colorati di Claudia Pernigotti e le luci Daniele Naldi.
L’azione si svolge dentro e fuori questa sorta di torta/palazzo, ma gli spazi esterni sono limitati e sovraffollati anche di personaggi aggiunti, tipo cuochi, guardie, giardinieri, inoltre la scena fissa non facilita la comprensione del plot.
Tuttavia l’opera si guarda e si ascolta volentieri.

L’Orchestra Sinfonica G. Rossini diretta dal giovane maestro venezuelano Diego Matheuz dà brio e sentimento alla partitura ed è di sostegno alle voci, il coro M. Agostini del Teatro della Fortuna di Fano, ben preparato da Mirca Rosciani, partecipa divertendosi all’azione scenica. 

La scrittura vocale esige cantanti di grande virtuosismo, in grado di eseguire il sillabato fitto con buona dizione e di ammorbidire.
E qui c’erano.
Lisette Oropesa, nel ruolo di Adina, autentico soprano di coloratura, esteso ed acutissimo, è perfetta sia nella leggerezza e negli artifici del canto acrobatico che nell’incisività delle agilità di forza, il timbro melodioso, unito alla delicatezza del fraseggio e a fiati lunghissimi, rende morbido il canto nei tratti più delicati e più drammatici.
Il giovane tenore sudafricano Lev Sekgapane (Selimo) esibisce voce chiara di bel timbro, estesissima (Quando m’offre) e sovracuti formidabili. Bravissimo. Una rivelazione.
Vito Priante è un bel Califo in ogni senso: in primis ha un’imponente voce di basso, bella nel colore, sicura negli affondi, solida nelle note gravi, vocalità estesa ed agilissima che si libra con naturalezza tra la morbidezza delle ampie arcate (Se non m’odi) e la velocità dei sillabati, e poi grazie alla sua bella figura può permettersi di comparire in scena semisvestito e di fare il bagno dentro la vasca, mentre il servitore Alì gli lava la schiena (qui era meglio senza canottiera).










Ben preparati anche i due giovani formatisi all’Accademia Rossiniana: il tenore caratterista Matteo Macchioni (Alì) ha una bella canna di voce chiara e sicura e il baritono Davide Giangregorio (Mustafà) ha un bel timbro e un notevole corpo vocale.



·          Fotografie © Studio Amati Bacciardi




domenica 16 settembre 2018

Rof 2018 Yolanda Auyanet


ROF 2018

I concerti di belcanto

Pesaro, Auditorium Pedrotti

(domenica 19 agosto 2018 ore 16.30)















Yolanda Auyanet e Giulio Zappa,
un felice connubio tra Spagna e Italia.

A cura di Giosetta Guerra

Yolanda Auyanet, noto soprano lirico d’agilità, è nata a 
Las Palmas nelle Canarie ed abita a Palermo, 
Giulio Zappa, bravo maestro accompagnatore di famosi cantanti lirici, è originario di Monza ed è direttore artistico dell’Opera Studio di Tenerife.
Insieme hanno imbastito un magnifico programma di musica spagnola e italiana con madrigali, zarzuele, arie di belcanto e pagine pianistiche, che ha riscosso il consenso del pubblico dell’Auditorium Pedrotti nel pomeriggio del 19 agosto 2018.

Si parte dalla Spagna. La voce melodiosa della Auyanet ha aperto il concerto con Cuatro madrigales amatorios di Joaquín Rodrigo: ¿Con qué la lavaré?, Vos me matásteis, ¿De dónde venís, amore?, De los álamos vengo, madre, mettendo in luce un bel timbro vocale, suoni puliti e sostenuti e variegati nella coloratura.

Ancora canzoni spagnole di Enrique Granados: La maja dolorosaI-II-III e Amor y odio da Goyescas: La maja y el ruiseñor hanno evidenziato una vocalità estesa e corposa in tutti i registri, un uso magistrale della voce sia nel canto di forza che nelle mezze voci, facilità d’emissione e conoscenza delle tecniche di canto.

Rientrando in Italia non poteva mancare Rossini. 

L’ascolto di «Ils s’éloignent enfin» e di «Sombre forêt» (Récitatif et Romance de Mathilde) da Guillaume Tell è stato una vera delizia per l’intensità dell’interpretazione, l'arte di fraseggiare, la ricerca dei colori, la versatilità del canto, l’estensione del mezzo vocale.

Ad una perfetta linea melodica di canto è seguita la potenza nell’emissione di forza nella Cavatina di Maria «Oh nube che lieve» da Maria Stuarda di Gaetano Donizetti.

Dopo la lunga introduzione pianistica che ci ricorda l’incipit di una furtiva lagrima, la voce della Auyanet ha preso una tinta drammatica nella Scena ed aria finale di Imogene «Oh s’io potessi... Col sorriso d’innocenza» da Il pirata di Vincenzo Bellini, ed ha eseguito con persuasione e delicatezza agilità, scale discendenti, filati con messa di voce, enormi sbalzi con affondi e slanci sostenuti, accompagnati dalla voce struggente del pianoforte.


Un prezioso intermezzo ci è stato offerto dal M° Zappa, che ha suonato con tocco sicuro, fluidità di fraseggio, agilità delle dita le bellissime pagine rossiniane Album pour les enfants dégourdis e Une caresse à ma femme da Péchés de vieillesse, Vol. VII.

Per chiudere un’aria di grande presa «D’amor sull’ali rosee», il grido d'amore disperato che, nel quarto atto de Il Trovatore di Verdi, Leonora rivolge al Conte di Luna nella speranza Manrico venga liberato, ed una brillante Zarzuela.



Foto Amati Ricciardi



venerdì 14 settembre 2018

rof 2018 Carlo Lepore


I CONCERTI del ROF 2018

Pesaro, Auditorium Pedrotti 

(Martedì 21 agosto alle 16)

Carlo Lepore e 

il Nonetto di fiati del 

Comunale di Bologna

A cura di Giosetta Guerra

Un originale concerto di qualità.

Madamina, il catalogo è questo delle pagine udite in concerto 

del gran basso e il Nonetto di fiati.

Ascoltate e leggete con me.

Di Mozart due arie e un’ouverture, di Donizetti un’aria e una sinfonia, ma di Rossini quattro arie e due sinfonie.

Una festa di belcanto per persone “d'ogni grado, d'ogni forma, d'ogni età, …voi sapete quel che fa”.

Diverte, conquista, affascina, specialmente se presentata con la maestosa voce di basso di Carlo Lepore e l’originale accompagnamento di nove strumenti a fiato.

Il Nonetto di fiati, composto da Devis Mariotti (flauto), Paolo Grazia 

e Gianluca Pellegrino (oboi), Simone Nicoletta e Adriana Boschi (clarinetti), 

Stefano Pignatelli Sergio Boni (corni), Massimo Ferretti Incerti

Guido Giannuzzi (fagotti), ha eseguito, secondo gli arrangiamenti 

di Stefano Squarzina, l’Ouverture di Die Zauberflöte di Mozart,

le Sinfonie de La scala di seta e La Cenerentola di Rossini, 

la Sinfonia del Don Pasquale di Donizetti ed hanno accompagnato 

ottimamente le arie cantate.

Coi soli fiati la pagina mozartiana è risultata un po’ scarna, 

ma in Rossini la leggerezza del suono, la brillantezza del ritmo, 

a fantasmagoria delle agilità hanno restituito la 

piacevolezza della tinta rossiniana e in Donizetti hanno reso

 le differenti atmosfere delle

arie anticipate nella Sinfonia.









Il basso Carlo Lepore affronta con canto morbido e armonioso l’andamento calmo della

solenne aria di Sarastro O Isis und Osiris da Il Flauto magico di Mozart e al termine delle

discese musicali affonda in poderosi e cavernosi Fa gravi.

Questa voce, usata sempre in maschera anche quando è sfoderata in tutta la sua

potenza, si tuffa con ironia nel clima erotico giocoso dell’aria del catalogo di LeporelloMadamina, il catalogo è questo da Don Giovanni, snocciola la vorticosa

 coloratura rossiniana dell’aria di Don Profondo Io! Medaglie incomparabili da 

Il viaggio a Reims, affronta con estrema facilità il canto sillabato di Don Magnifico nella 

cavatina Miei

 rampolli femminini da La Cenerentola e il canto fortemente sbalzato dell’aria di Mustafà Già d’insolito ardore da L’Italiana in Algeri.

Specialista dei ruoli di carattere, Lepore è pervaso da un foco insolito nell’aria di Don

 Pasquale Un foco insolito mi sento addosso dall’opera omonima di Donizetti, poi canta in 

napoletano la cavatina di Don Pomponio “Co sta grazia” da La gazzetta di Rossini, 

mimando e dialogando col clarino. Alla fine del concerto viene portata in palcoscenico una 

grossa grancassa sulla quale Lepore batte il colpo di cannone della calunnia, cantando con 

perfetta scansione delle sillabe ed incisività d’accento “La calunnia è un venticello” da 

Il  barbiere di Siviglia.












Tutte le arie sono semi sceneggiate con garbo ed eleganza da questo gran dottor della sua sorte, che non eccede mai anche quando usa tutta quella valanga di voce dalla quale ci lasciamo piacevolmente travolgere. I cantabili hanno la morbidezza del canto sul fiato, le esplosioni hanno la forza di una voce possente, le espansioni acute e gli affondi possono contare su un mezzo vocale ampio, esteso e duttile, il canto di coloratura su un’impeccabile tecnica esecutiva e poi la voce è bella, l’emissione naturale, il suono rotondo, la simpatia dilagante. 

Chi era in prima fila ha sicuramente potuto godere anche delle differenti espressioni di quei grandi occhi azzurrissimi.



foto Amati Bracciardi


domenica 9 settembre 2018

ROF 2018 Ricciardo e Zoraide


ROF 2018
Pesaro Adriatic Arena

Ricciardo e Zoraide

(sabato 11 agosto 2018, première e apertura del Festival)

Tanti stranieri per Rossini e non solo in platea.

A cura di Giosetta Guerra

Un’opera insolita con tre tenori protagonisti (come solo in Otello) e un tenore comprimario, tre soprani, un mezzosoprano, un basso, un grande coro, una grande orchestra e una banda fuori campo. A tutti Rossini ha dato un bel filo da torcere.
E non è stato da meno il librettista Francesco Berio di Salsa, che li ha immersi in una vicenda piuttosto intricata. Agorante (tenore), re della Nubia, è sposato con Zomira (mezzosoprano), ma ama non corrisposto Zoraide (soprano di coloratura), figlia di Ircano (basso), potente signore della Nubia, Zoraide ama invece corrisposta il paladino Ricciardo (tenore virtuoso). A questi si uniscono Ernesto (tenore), amico di Ricciardo e ambasciatore cristiano, Fatima (soprano) confidente di Zoraide, Elmira (soprano) confidente di Zomira e Zamorre (tenore) dignitario di corte, cori di guerrieri e seguaci delle due fazioni.


È la solita storia di amori contesi e sofferti, ma a lieto fine, che nelle mani di un compositore come Rossini si snoda con scontri al fulmicotone tra i due tenori rivali l’un contro l’altro armati e incontri soavissimi dei due giovani innamorati.



Lunghissimi duetti hanno impegnato amanti ed antagonisti, terzetti, quartetti, concertati hanno occupato gran parte dell’opera in un crescendo tutto rossiniano, coinvolgendo la brava orchestra, che a volte ha sostenuto le voci, a volte le ha sfidate ed ha avuto un ruolo importante nel guidare il coro e le danze, forse le parti più attrattive per la leggerezza del suono, la godibilità dell’ascolto, l’armoniosità delle movenze.


Sui tre tenori ha brillato la magistrale padronanza del canto di coloratura di Juan Diego Florez nel ruolo dell’amoroso Ricciardo, che si esprime sempre con perfetta linea di canto, fluidità del fraseggio nelle effusioni sentimentali e nel canto a fior di labbra, naturalezza d’emissione nello snocciolamento delle fioriture, nello scintillio degli acuti e nella spavalderia dei sovracuti, spericolatezza e sicurezza nel canto di coloratura di forza. Florez è il tenore rossiniano per eccellenza, sul quale si è detto tutto, nonostante la sua giovane età, ma ogni volta ti sorprende, ti capta, ti coinvolge, ti porta nell’iperuranio dello stratosferico virtuosismo per un ascolto travolgente. Perfetto nel ruolo dell’amoroso anche grazie alla sua figura e all’espressione del viso, la resa del personaggio è stata intensificata da lunghi e ripetuti baci sulla bocca alla sua amata nel lungo e magnifico Duetto con Zoraide del secondo atto. E visti da vicino in tv si è captata la radiosità del sorriso dei due amanti nella finzione scenica.








Ha captato la nostra attenzione la prestazione di Xabier Anduaga nel ruolo di Ernesto, vestito di rosso, un giovane tenore dalle grandi qualità vocali e sceniche, con una bella gola, un bel colore e peso vocale, una corretta e spavalda proiezione del suono fino alle estremità acute.
















Bravo ed espressivo Sergey Romanovsky, il baritenore dalla voce ampia e decisa, nel ruolo di Agorante, che ha la parte più lunga nell’opera. Riascoltato e rivisto in tv ne ho apprezzato maggiormente le doti vocali, l’emissione corretta, la morbidezza del canto nel pensiero di lei, la naturalezza degli affondi e degli acuti e sovracuti, la bravura nei salti e nella messa di voce, nonostante qualche agilità scivolata, la fierezza del portamento, l’autorevolezza del gesto, la prestanza fisica, non per nulla è spesso a petto seminudo, la sensualità dell’espressione nei suoi approcci con Zoraide. (Tutti questi particolari li ho apprezzati in TV, perché dal fondo della sala non li avevo proprio visti).















Ircano ha fatto il suo ingresso nel secondo atto con la possente e duttile voce del basso Nicola Ulivieri con armatura da guerriero.

Sul versante femminile si è apprezzata in  la bella presenza e la musicalità  del soprano 



Pretty Yende (un usignolo dai mille colori), oltre all’abilità ad usare un mezzo vocale di buona pasta per lo scoppiettio di note nel canto di coloratura, per la pulizia del suono nelle scale ascendenti e discendenti, per la messa a segno di acuti robusti e sovracuti con trilli gorgheggi e picchettati, anche se la dizione non è stata sempre chiara.  







Victoria Yarovaya ha cesellato una Zomira autorevole e determinata con una voce dal bel colore mezzosopranile, brunita e densa in zona medio grave, dove qualche suono si stringe, con emissione accurata e morbidezza del canto che si espande con pienezza e luminosità del suono nella tessitura alta.


I ruoli secondari hanno completato la correttezza della performance con le voci di Ruzil Gatin (Zamorre), Sofia Mchedlishvili (Fatima), Martiniana Antonie (Elmira).

È emerso in tutta la sua magnificenza vocale e scenica il Coro del Teatro Ventidio Basso, possente morbido e maestoso, preparato da Giovanni Farina.



















Il regista Marshall Pynkoski ha optato per una distribuzione ordinata delle masse, ma ha vivacizzato l’azione con frequenti balletti e con le corse sfrenate di marinaretti con bandiere sventolanti, di color bianco e celeste o con una croce rossa, ha tenuto i duettanti lontani tra di loro ai due lati del palcoscenico, mentre ha lanciato i due innamorati in un mare di baci e abbracci.

Purtroppo un’opera con poche arie solistiche e non note, con una trama non sempre comprensibile per la dizione, non è facile da seguire dal fondo dell’Adriatic Arena se non si ha il supporto di un binocolo per distinguere le immagini e leggere i titoli in sovrimpressione.

La visibilità non era resa facile dalla cupezza delle scene di Gerard Gauci, un po’ pesanti, specialmente quando dominava una tenda da campo indiano a strisce marrone e gialle, contro cui si perdevano i bei colori vivaci dei costumi; maggior luminosità giungeva quando la scenografia, sviluppata su due piani, si apriva al mare e al cielo azzurro, alla grande luna e al firmamento punteggiato di stelle (tipo presepe).
 Carina l’idea registica di introdurre in scena Ricciardo su una barca tra le onde simulate da fluttuanti teli azzurri agitati da figuranti (Pizzi docet), mentre ragazze con il parasole si affacciano dal ponte.






























Bellissimi per foggia e per colori i costumi in broccato e oro, ideati da Michael Gianfrancesco, che ho visto dai primi piani in tv, coreografie di Jeannette LajeunesseZingg, luci di Michelle Ramsay. L’opera sarebbe stata più godibile in un ambiente più raccolto.
La Sinfonia a sipario chiuso ha diffuso un’atmosfera triste con la voce calda del corno seguita da quella intrigante dei clarini e dalla leggerezza del flauto e dell’ottavino. Le pagine corali e le danze ci hanno regalato momenti di bella musica, mentre nei duetti e nei terzetti si è respirata un’atmosfera sospesa di attesa.

Giacomo Sagripanti ha diretto la grande Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, grande in ogni senso, che ha seguito il gesto attento del direttore nel sostegno delle voci e nella leggerezza delle danze, nel tinteggiare gli affetti e il lirismo dei duetti e dei terzetti, nel dare vigore ai crescendo e agli insiemi.


La Banda fuori scena, una novità per Rossini, ha restituito l’aspetto marziale di alcune scene, facendoci pervenire il suono lontano di marce militari.







Foto Amati Ricciardi