domenica 28 ottobre 2012

 Alessio Boni 

al Teatro Rossini di Pesaro

Canto degli esclusi

concertato a due per Alda Merini

(21 ottobre 2012)

Di Giosetta Guerra


Due leggii e due seggiole nel palcoscenico nudo. Dal buio esce la voce di Alda Merini che parla e canta canzoni di musica leggera, segue altra musica tra cui quella di Traviata. Alessio Boni e Marcello Prayer si avvicinano ai leggii ed inizia una lettura incrociata dei testi di Alda Merini, la testimone della precarietà e delle contraddizioni della vita, sempre in bilico tra la sofferenza e la gratificazione sull’impalpabile filo della follia. Provata dagli orrori della guerra, devastata dagli obbrobri dei manicomi, ma sempre lucida nelle deduzioni e profonda nei sentimenti, apprezzata dal pubblico e dai mass media, la Merini ha raccontato la sua vita travagliata, le sue sensazioni e il suo mondo interiore in un’infinità di scritti, che per la veridicità dei contenuti, la nettezza delle immagini, la fluidità del racconto e l’incisività del linguaggio, sono entrati nel filone della poesia, ma che io invece definirei  “prosa lirica”.
Alessio Boni, attore colto e introspettivo oltre che bello, eccellente interprete sul piccolo e sul grande schermo di famosi personaggi dell’arte, della musica, dello spettacolo (inimitabile la sua immedesimazione in Caravaggio, Puccini, Walter Chiari - praticamente uguale agli originali), di figure storiche (“Guerra e pace” e “Cime tempestose”),  di personaggi estremi (“La meglio gioventù” e “Arrivederci amore ciao”) o particolari anche nella comicità (“Tutti pazzi per amore”), tanto per citarne alcuni, attualmente alle prese con un nuovo personaggio simbolo della lucidità mentale immortalato da Omero, Ulisse, che verrà presto trasmesso in televisione, ha ideato questa lettura scenica  dell’opera della Merini, volendo al suo fianco Marcello Prayer, con cui aveva lavorato nel film “La meglio gioventù”.
Alessio Boni, che, nonostante la giovane età, ha anche al suo attivo una bella carriera teatrale, si era già cimentato nel gioco della Poesia nella nudità scenica recitando Pavese e Pasolini, e con Alda Merini continua l’analisi di autori tormentati così vicini alla vita quotidiana.
In questa lettura teatrale coinvolgente, viscerale, poetica, intercalata da brani musicali e dalla viva voce registrata della stessa Merini, le voci dei due attori si alternano e s’intrecciano nella successione delle frasi o nella ripetizione della stessa frase con intonazione diversa, declamando o smorzando i toni, scandendo la parola per incidere nelle menti o farfugliando per esprimere lo stato confusionale, l’espressione e la gestualità sono quelle sceniche, lo scavo della parola rende viva l’immagine, l’uso modulato della voce ai fini espressivi comunica il coinvolgimento dei due attori nelle singolari vicende di un’anima ferita.
Bravi.
 
Produzione Parmaconcerti
In collaborazione con Teatro Stabile di Torino

giovedì 25 ottobre 2012




BOLOGNA Teatro Comunale

 

 

Cavalleria rusticana di Mascagni

e I Pagliacci di Leoncavallo

(14 ottobre 2012)

L’assurda idea del possesso 

A cura di Giosetta Guerra


Turiddu circuisce Lola, sposa di Alfio, e Alfio lo uccide, Nedda ama Silvio e suo marito Tonio li uccide. E questo lo chiamano amore? No, questo non è altro che assurda idea di possesso.  Solo il denaro rende padroni, non l’amore. E poi siamo certi che si tratta di storie del passato?
La fatidica frase “finché morte non vi separi” ha creato fin troppe vittime, è meglio adottare quella che si pronuncia a Las Vegas “vi dichiaro marito e moglie finché stress non vi separi”.
Al Teatro Comunale di Bologna le cruente vicende di Cavalleria rusticana e de I Pagliacci,  due brevi opere forti, immediate, viscerali, taglienti, sono riunite in un’unica serata con lo storico allestimento di Liliana Cavani (regia), Dante Ferretti (scene), Gabriella Pescucci (costumi), Gianni Mantovanini (luci), Micha van Hoecke (movimenti coreografici), ripresi da Marina Bianchi, Leila Fteita, Laura Lo Surdo, Daniele Naldi e Sergio Paladino.

Per Cavalleria c’è la tradizionale piazzetta con la chiesa antica e un caseggiato moderno di tipo condominiale con finestre dalle tende chiare, ora chiuse, ora aperte, da cui esce la luce, si affacciano persone vestite secondo le ore del giorno e si vedono donne intente alle faccende personali. Nel pian terreno due grandi porte per l’accesso alla casa di Turiddu e al garage (col carretto sempre dentro) di Alfio (ma…abitavano nello stesso palazzo?).
In piazza un gran via vai di gente: uomini in conversazione, donne alla bancarella di un venditore ambulante, persone dirette alla messa, processione col prete, i fedeli e gli incappucciati.
Abiti castigatissimi, scuri o neutri, per le donne (bianco per Lola, chissà perché?), neri con camicia bianca per gli uomini. Le luci disegnano l’evoluzione della giornata.

Per Pagliacci una scena scarna di tipo felliniano: al centro un precario palchetto da commedia dell’arte delimitato da quattro pali in legno e sormontato da una fila di lampadine, a sinistra una roulotte e a destra un muro. Un furgoncino per il trasporto dei commedianti. Allestimento a vista di una platea con panche portate dagli spettatori.
Ambientazioni semplici e funzionali.

È sul piano vocale che abbiamo stretto le orecchie.

In Cavalleria il tenore Giancarlo Monsalve (Turiddu) è bello e basta, dovrebbe fare l’attore e non il cantante; la voce non c’è e quel poco che si sente non è cantare, il suo canto mette in difficoltà l’ascoltatore. Ma come cavolo canta? Mi sono chiesta. La voce è afona, i suoni sono forzati, stimbrati, ingolati, il declamato a mezza voce è fatto sotto voce,  la linea di canto è disordinata; lo squillo è robusto ed esce qualche acuto (beviam in Viva il vino col coro), ma qualche squillo non basta per fare un tenore. Lucia Cirillo (Lola) non è né bella né provocante e non ha una gran voce.
Il soprano Katia Lytting (Santuzza) ha voce estesa e potente, vibrante e di bel colore, tagliente in zona acuta, abbastanza corposa e scura nel medio basso; è una brava interprete con belle e pregnanti espansioni acute, quasi un pianto lacerante (Voi lo sapete, o mamma), un fraseggio intenso, la capacità di passare agevolmente dalla densità del suono grave alla luminosità del registro acuto.
Molto coinvolta nel ruolo di una credibile Mamma Lucia, il mezzosoprano/contralto Cinzia De Mola  esibisce un bel colore scuro e suoni a volte un po’ stretti.    
Alfio, più boss che carrettiere, fuma il sigaro; il baritono Alberto Mastromarino esibisce voce possente ma poco sonora, ingolata nell’ascesa all’acuto, autorevolezza e sicurezza gestuale.
Bravi invece i coristi, preparati da Lorenzo Fratini; la pastosità e la densità delle voci maschili, la pulizia e la leggerezza di quelle femminili (gli aranci olezzano), l’abilità nel gestire con morbidezza il canto a mezza voce (inneggiamo), la grande cantabilità e la pienezza dell’amalgama sonoro fanno del Coro del Teatro Comunale di Bologna l’elemento di spicco della serata; brave anche le voci bianche preparate da Alhambra Superchi.

Nei Pagliacci Alberto Mastromarino (Prologo e Tonio) è più a suo agio nella cantabilità del Prologo, canta sul fiato per ammorbidire, ma quando la voce si espande qualche suono ingolato o sbracato esce comunque, volume e potenza si esternano nelle progressioni acute.
Inva Mula è un soprano lirico belcantista che si destreggia bene anche nel verismo, interpreta Nedda/Colombina con bella voce, salda ed estesa, il canto è teso, ma con belle arcate e l’uso della messa di voce anche per gli attacchi in acuto. Piero Giuliacci (Canio) elargisce con generosità una vocalità di tenore spinto fino al punto di non controllare l’intonazione di alcuni acuti peraltro sostenuti (Un tal gioco) e di avere l’emissione non perfettamente a fuoco (Tu sei pagliaccio), meglio in Vesti la giubba
Soprano e tenore combinano realismo scenico e verismo vocale per la scena finale di alta drammaticità.

Il baritono Marcello Rosiello nel ruolo di  Silvio esibisce timbro caldo, voce estesa e vibrante, colore non sempre accattivante, canta di fibra, scambia la mezza voce col sotto voce e non si sente nel duetto tormentoso per lo più a voci lanciate con Nedda (Se tu scordassi l’ore fugaci).
Leonardo Cortellazzi, nel ruolo di Beppe che nello spettacolo di piazza impersona Arlecchino, usa propriamente una voce pulita di tenore chiaro e acuto, curando i passaggi, la dizione, la linea di canto 
(O Colombina, il tenero fido Arlecchin).
Anche il coro ci dà dentro con alte sonorità.

L’orchestra del Teatro Comunale di Bologna, compatta, sonora, incalzante e ampiamente coinvolta, sotto la bacchetta di Alberto Veronesi fa sentire la sua presenza in Cavalleria rusticana, ma sa anche comunicare delicatezza, struggente malinconia con suoni sospesi e galleggianti; ben eseguito ma non emozionante l’Intermezzo.
I Pagliacci hanno una linea narrativa più compatta e coinvolgente, sostenuta da un ricamo strumentale. La musica è più moderna e meno orecchiabile di quella di Cavalleria, le pagine corali hanno un contenuto più discorsivo e narrativo rispetto a quello più descrittivo dei cori di Cavalleria. Morbido il disegno orchestrale sotto la tensione delle voci, l’Orchestra tiene una linea melodica diffusa e captante e i singoli strumenti fanno sentire il loro canto.
La regia non travalica la realtà e così i costumi. Nota di colore: Arlecchino arriva su un cammello.

Crediti fotografici: Rocco Casaluci per il Teatro Comunale di Bologna

sabato 20 ottobre 2012


Jesi - Teatro Pergolesi

I PURITANI di Bellini

(7 ottobre 2012)

Foto Binci Jesi

Di Giosetta Guerra 

Ottime le voci scure


I Puritani, melodramma in tre atti di Vincenzo Bellini su libretto di Carlo Pepoli, tratto dal dramma storico di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface (noto col nome di Saintine), Têtes rondes et Cavaliers, debuttò al Théâtre Italien di Parigi il 24 gennaio del 1835, con esito trionfale. Merito delle scelte musicali di Bellini, che ha unito la scorrevolezza del melodramma italiano e la ricercatezza del teatro musicale francese, merito anche di un cast di fenomeni vocali, quali Giovanni Battista Rubini, Giulia Grisi, Luigi Lablache e Antonio Tamburini.
Con il ricordo di siffatti vocalisti chiunque oggi voglia allestire I Puritani, che riserva ai solisti pagine di estremo virtuosismo, deve fare i conti col passato. 

I veri trionfatori de I Puritani, allestiti al Teatro Pergolesi di Jesi per l’inaugurazione della stagione lirica 2012, sono stati il baritono coreano Julian Kim che è entrato nel carattere nobile e cavalleresco di Sir Riccardo Forth, colonnello puritano innamorato non ricambiato di Elvira,  e il basso Luca Tittoto nel ruolo dell’ex- colonnello Sir Giorgio Valton, zio e confidente di Elvira.
Julian Kim (Riccardo) è un cantante baciato dalla fortuna per il dono naturale della voce (un’imponente vocalità scura di straordinaria bellezza, ricca di armonici, di notevole peso, ampiezza ed estensione) e dotato di un’ottima tecnica (legato e dizione perfetti, magnifica proiezione del suono sul fiato e con messa di voce, linea di canto morbida e sfumata nelle arcate melodiche e nelle estese progressioni acute della cavatina “Ah, per sempre io ti perdei”, possente nei momenti marziali).
Luca Tittoto (Giorgio) si è imposto per un’accattivante voce di basso ampia e vibrante, per la  rotondità, la morbidezza e il sostegno del suono anche nel registro grave, per l’interpretazione pregnante e comunicativa grazie a un bel modo di porgere, al canto sul fiato, all’emissione fluida, al  bel legato, alla sensibilità del fraseggio.
Bravo anche il basso Luciano Leoni  che ha cantato con voce ben timbrata la parte del Governatore puritano Lord Gualtiero Valton, padre di Elvira.
Due voci più mature (non d’età ma di consistenza e d’esperienza) nei ruoli protagonisti di Arturo ed Elvira non avrebbero guastato.
Nel terribile ruolo di Lord Arturo Talbo (cavaliere e partigiano degli Stuardi) ha debuttato il tenore leggero  Yijie Shi, un contraltino rossiniano, ascoltato nel Conte Ory a Pesaro e nel Viaggio a Reims a Firenze. Le sue doti naturali (voce chiara, estesa, acutissima, ben proiettata), non disgiunte dalla serietà della sua preparazione, gli hanno permesso di raggiungere con sicurezza e spavalderia le alte tessiture fino a zone stratosferiche, ma la voce è risultata rigida specialmente negli acuti che erano taglienti perché affrontati di forza e non in maschera, il timbro era più gradevole nel settore medio basso per un fraseggio morbido e l’uso della messa di voce. Il ruolo infatti, oltre a squillante ardimento e canto d’impeto, richiede anche passione, delicatezza d’espressione e accento accorato, che il tenore giapponese deve acquisire perfezionando la “flexibility”, come diceva Samuel Ramey.


Maria Aleida, soprano leggero di coloratura, ascoltata proprio quest’anno nel Signor Bruschino a Pesaro, ha affrontato coraggiosamente il ruolo di Elvira, facendo affidamento sulle qualità belcantistiche della sua voce e sulla sua buona tecnica di canto. Ha cantato bene, con voce agile, luminosa, svettante,  ha eseguito cadenze, filati anche rinforzati, belle scale cromatiche e sovracuti siderali, il canto nella tessitura acuta era splendido, la linea di canto morbida, ma la voce di poco peso a volte non si sentiva, i centri erano carenti e la dolcezza della melodia riservata all’eroina romantica spesso non usciva.
Il mezzosoprano Elide De Matteis Larivera ha prestato una voce tremolante alla regina Enrichetta di Francia.
Dario Di Vietri (l’ufficiale puritano Sir Bruno Robertson) è un tenore con voce chiara ed estesa ma non di bel timbro, perché usa poco la maschera.
Il Coro Bellini, preparato da Pasquale Veleno, è stato artefice di belle scene corali ed ha tenuto una linea di canto morbida ed intensa.
Su tutto prevale comunque la bellezza della musica di Bellini, un Bellini sublime, quasi metafisico, che fa un’operazione di trasposizione musicale degli affetti; unisce le due espressioni dell’anima romantica: l’impeto nobile e virile e la tenerezza patetica, riserva la musica più commovente alla scena della follia, quella più convenzionale alla cabaletta risorgimentale “Suoni la tromba”, e quella più brillante al coro femminile.
La continuità e compattezza della narrazione, che mantiene il colore storico, sono frutto di cura armonica e di accurata articolazione del tessuto strumentale.
Tutte le caratteristiche di questa partitura, piena di grande musica in bilico tra il belcanto e il grand-opéra francese, sono uscite a tratti dalla lettura di Giacomo Sagripanti, al suo debutto nella direzione de I Puritani; il ritmo sostenuto, le sonorità a volte troppo alte dell’orchestra Filarmonica Marchigiana, qualche imprecisione del corno, si sono alternati con il ricamo orchestrale sotto i dialoghi, la morbidezza nell’accompagnamento delle arie melodiche, le atmosfere sospese nella scena della follia.
La scenografia semplice e austera con qualche simbologia, disegnata da Guido Buganza, sicuramente in concordanza con l’idea registica, si sviluppava su due piani, sia per mostrare azioni in contemporanea sia per tenere separate le due sezioni (maschile e femminile) del coro.
L’austerità si ripeteva nei costumi (ideati da Margherita Baldoni) delle masse corali: tuniche monacali nere con cuffie e grandi collari bianchi per le donne, cappelli e abiti puritani neri con collarini bianchi per gli uomini, bianco l’abito della sposa, rosso quello d’Enrichetta, scure le armature, qualche tocco di bianco e di rosso per spezzare il grigiore.
Il regista Carmelo Rifici ha fatto sfilare due bare portate a spalla all’inizio dell’opera, ha avuto qualche idea originale, ma si è tenuto sul classico, forse avrebbe dovuto curare di più l’esternazione dei sentimenti umani. Complici le luci di Fabrizio Gobbi.
Nell’insieme una bella recita che ci ha coinvolto.

Curiosità storiche

Il tenore Mario Tiberini fu uno dei massimi interpreti del ruolo di Arturo nell’800. L’ha debuttato nel 1854 a San Juan de Puerto Rico, prima tappa e prima opera in suolo americano. Dal 1854 al 1874 l’ha cantata per ben 18 stagioni liriche in America, Spagna, Inghilterra, Italia, Francia, ottenendo ovunque larghi consensi. Per le serate londinesi, dove Tiberini cantò con la moglie Angiolina Ortolani, il giornale milanese Il Trovatore del 5 Maggio 1861 scrive “Tiberini riportò una seconda vittoria al Covent Garden ne’ Puritani. Egli ha suscitato ancor più entusiasmo che nella Favorita". A Trieste larghi consensi vengono riservati alla coppia Tiberini: lei, Elvira elegante, suasiva, non travolgente; lui, erede di Moriani e tenore dalle messe di voce rapinose, degne dei palpiti romantici di Arturo. Nel 1868 Mario e Angiolina la cantano anche al Théâtre Italien  di Parigi, dove I Puritani videro la luce nel 1835.

martedì 9 ottobre 2012





Parma Teatro Regio

Inaugurazione Festival Verdi 2012

Il trionfo di  RIGOLETTO

(1 ottobre 2012, prima

 Servizio di Giosetta Guerra

Parma gioca in casa mettendo in campo i suoi migliori elementi e vince.

Ovazioni per Leo Nucci e per Jessica Pratt. 



Ti vorrei dire come fu accolto Rigoletto: trionfalmente. Ti vorrei dire come cantò il soprano e mi spiccerei con un sol motto: deliziosamente. Ti vorrei dire quanto piacque il baritono: immensamente. Ambidue deliziarono, rapirono, inebriarono, commossero, esaltarono”.
Possiamo usare le parole di un critico dell’800 per sintetizzare il successo di Rigoletto, l’opera di Verdi che ha  inaugurato il Festival Verdiano 2012 al Teatro Regio di Parma la sera del 1° ottobre.
E gli artisti che hanno tanto entusiasmato erano il soprano Jessica Pratt e lui…….Rigoletto…ah pardon…Leo Nucci, ma è lo stesso, ci eravamo capiti.
Sì, perché Nucci ha quasi toccato quota 500 con questo ruolo. Ma dovevate vederlo: il fisico asciutto e ricurvo, mobilissimo anche se quasi claudicante, tragicomico nel costume colorato del giullare con grande


cappello piumato, drammatico negli abiti neri del padre, la faccia segnata dal dolore, gli occhi sbarrati nell’incredulità e carezzevoli nell’amore per la figlia, il piglio bruciante nell’invettiva e nella vendetta. Un grande attore. Ma dovevate anche sentirlo cantare: ogni frase, ogni accento usciva dal cuore, il canto valorizzava i dettagli e attuava il concetto verdiano di parola scenica, la voce ancora ampia, sicura, timbrata, ferma ed estesa si piegava alle esigenze della scrittura musicale. Un grande interprete col pianto nella voce.
Magistrale l’interpretazione di “Cortigiani vil razza dannata”  e di “Sì, Vendetta, tremenda vendetta” bissata a furor di popolo. Gli era accanto una Gilda speciale, con la quale ha condiviso i duetti più lirici dell’opera, traboccanti d’amore paterno e di filiale sottomissione.
La condotta vocale di Jessica Pratt (Gilda appunto) è stata impeccabile nei lunghissimi filati e nelle mezze voci, nel canto sul fiato e nell’uso della messa di voce, perfetta nell’interpretazione di una parte di soprano belcantista (sovracuti compresi) velato di drammaticità. Tenendo una linea melodica intrisa di delicatezza, la Pratt ha dato vita ad un personaggio dolcissimo e schivo, capace di illuminarsi con gli slanci e le saette della sua voce cristallina.
Un Duca più sexy e più osé avrebbe reso più piccanti gli incontri con Maddalena e più coinvolgenti i duetti d’amore con Gilda, che sotto la spinta dell’amore avrebbe dovuto lasciarsi andare un po’ di più, invece di ritrarsi pudicamente.
Il tenore Piero Pretti (scenicamente poco adatto alla Pratt) nel ruolo del Duca di Mantova ha profuso con generosità e vigore una voce chiara, robusta ed estesa, ha affrontato con naturalezza il registro acuto e quello sovracuto, attirando applausi, ma un canto più sul fiato e più sfumato sarebbe risultato più accattivante nei pezzi di grazia e di sentimento.
Barbara Di Castri ha evidenziato una bel colore vocale e un buon peso nelle vesti di Maddalena, sorella di Sparafucile, 

uno Sparafucile di lusso interpretato…udite…udite…nientemeno che da Michele Pertusi, di cui conosciamo il bel colore vocale, il sostegno e la pastosità del suono e la perfetta tecnica di canto, oltre che l’autorevole presenza scenica. D'alta classe il duetto con Leo Nucci.
Il basso George Andguladze (Conte di Monterone) ha usato bene un mezzo vocale esteso e non di gran peso.

Il tenore Patrizio Saudelli ci stava proprio bene a corte e tra le belle donne, a suo  agio sia vocalmente che scenicamente nel ruolo di Matteo Borsa, ha esibito una bella vocalità chiara e sicura e un appropriato modo di porgere, oltre ad una pregevole abilità attoriale. Versatile e di bella presenza il baritono Valdis Jansons nella parte di Marullo. Alisa Dilecta (Giovanna), Alessandro Busi (Conte di Ceprano), Leonora Sofia (Contessa di Ceprano e Un paggio), Alessandro Bianchini (Un usciere di corte) completavano il cast.
I coristi del Teatro Regio Di Parma, preparati eccellentemente dal Maestro Martino Faggiani, erano cavalieri, dame, paggi, alabardieri. La performance del noto Coro è stata molto soddisfacente sia per resa vocale sia per padronanza del palcoscenico ed ha permesso alla regista di dipingere quadri di scintillante cromatismo e altri di incombente oscurità.
La Filarmonica Arturo Toscanini è stata un’orchestra magnifica nel vigore e nell’intensità del discorso verdiano, nei focosi strappi orchestrali, negli attacchi morbidi, nei tempi veloci della gioia, nella discrezione sotto i duetti, nella delicatezza delle singole voci strumentali, nell’enunciazione delle frasi melodiche, nella complicità con i cantanti nello sviluppo drammatico, nelle vibrazioni di freddo e di paura durante la tempesta e il Maestro Daniel Oren ha tenuto ben connesso il rapporto buca palcoscenico con intensa partecipazione, restituendo un ricamo musicale molto suggestivo.
La regia di Elisabetta Brusa ricordando Pier Luigi Samaritani è stata sulla linea della classicità.
Le scene tradizionali e i costumi d’epoca erano quelli ideati da Pier Luigi Samaritani.

Originale la scena del rapimento quando la cucina in primo piano di Gilda si spacca in due e scivolando lateralmente dietro le quinte lascia comparire in alto l’esterno della sua casa con la finestra illuminata attraverso la quale abbiamo assistito al rapimento e in basso il muro contro il quale è stata appoggiata la scala; bella anche l’idea della taverna di Sparafucile scavata nella roccia col lato anteriore aperto per la visione in contemporanea di ciò che accade all’interno e all’esterno.
Le luci di Andrea Borelli sono state molto efficaci ed aderenti alle situazioni.

Allestimento del Teatro Regio di Parma.
Foto Roberto Ricci Teatro Regio di Parma

Curiosità: Quattro artisti di questo Rigoletto hanno già ricevuto il Tiberini d’oro: Michele Pertusi (2007), Martino Faggiani e Coro del Teatro Regio (2011), Jessica Pratt (2012) e il prossimo anno, se vorrà e potrà, ci piacerebbe premiare il verdiano assoluto Leo Nucci.