giovedì 25 dicembre 2014

Fano-prosa: Sinfonia d'autunno

Teatro della Fortuna di Fano

SINFONIA (triste) D’AUTUNNO

di Ingmar Bergman

(6 dicembre 2014)

Recensione di Giosetta Guerra

Essere soli significa 

non potersi raccontare a nessuno

buio e tuona; a poco a poco la scena s’illumina della fioca luce di due lampade ai lati di un lungo divano grigio posto davanti ad una vetrata, a sinistra la scrivania di Eva, a destra un televisore dove Viktor guarda le immagini del figlioletto scomparso e in un angolo la cameretta coi giochi rimasta intatta, dove i genitori isolatamente si rifugiano nell’illusione di continuare a parlare e a giocare col figlio. Una scala laterale porta ad un lungo ballatoio che conduce alla camera di Helena, costretta a letto o sulla sedia a rotelle dalla sua infermità. In quella casa regnano silenzio e dolore, squarciati ogni tanto dalle grida laceranti di Helena, seguiti dalla corsa precipitosa di Eva che corre dalla sorella, i dialoghi tra Eva e Viktor sono meri monologhi, l’atmosfera è cupa, i costumi sono grigi e austeri, la scena è grigia e popolata di fantasmi del passato, perfino da un fantomatico pianoforte che Charlotte finge di suonare sedendo su un seggiolino posto sul boccascena e tenendo le braccia in avanti protese nel vuoto in atteggiamento di usare la tastiera (originale idea registica). L’arrivo di Charlotte, famosa pianista e madre di Eva, per lo più assente a causa della sua carriera, ma presente nell’esercizio del suo dispotismo, segnando negativamente la vita delle figlie, fa ritornare a galla le frustrazioni del passato scatenando violente reazioni tra i componenti della famiglia. Vorrebbero comunicare, vorrebbero perdonare, ma il baratro è troppo profondo e ognuno di loro è solo perché non riesce a raccontarsi all’altro.

Lo stile asciutto e serrato di Bergman è la stessa cifra stilistica di Gabriele Lavia, che ha curato la regia di Sinfonia d’autunno ed ha preparato gli attori alla lettura e all’interpretazione di un testo difficile, di una storia complicata, di un groviglio di vipere attraversato dai fili dell’alta tensione. La sua impronta è evidente nel modo di recitare degli artisti, nell’abilità di scavare nell’intimo dei personaggi per far emergere l’egocentrismo e l’autoritarismo della madre, la sofferenza sia fisica che interiore delle due sfortunate figlie, la drammatica rassegnazione dell’unico uomo di casa.

Charlotte è interpretata da un’insuperabile Anna Maria Guarnieri al suo sessantesimo anno di teatro. Vestita con un comodo camicione prima grigio poi rosso (unica macchia di colore in questo grigiore snervante e ossessivo, come la vita dei membri della famiglia), tiene una recitazione pacata nel racconto delle ultime ore di suo marito Leonardo, la dizione è chiarissima, ma poi la gestualità tradisce la sua nevrosi dovuta a continue lotte interiori e al mal di schiena, si alza, passeggia, si pavoneggia, s’innervosisce per la figlia malata e ogni tanto si distende sul divano sempre nello stesso angolo, con la testa indietro e le braccia larghe continuando a parlare. Recita distesa anche sullo sgabello del pianoforte, sul tavolino del salotto contorcendosi per il dolore, gattona e parla parla parla, si placa solo davanti al pianoforte fantasma, dove obbliga la figlia a sedersi con lei, a fingere di suonare e ad ascoltare le sue lezioni sul modo d’interpretare Chopin. La recitazione si fa fremente quando parla della sua carriera, del calore e della tenerezza con cui interpretava Schumann, l’amore per il pianoforte che l’ha tenuta in vita ma lontana dai doveri familiari è ancora forte, e ora che la sua carriera è finita emergono i dubbi e i rimpianti,  tuttavia per lei è “meglio una sana donna anormale”, ma poi aggiunge “Avevi i toni dell’amore ma non avevi l’amore”; è una donna cinica e sofferente, che, nonostante i suoi rimorsi come madre mancata, non rinuncia ad una nuova tournée comunicatale al cellulare (aggiunta registica). L’interpretazione della Guarnieri è magistrale per la sicurezza e la fluidità dell’eloquio, per l’espressività gestuale, per la padronanza scenica, per la caratterizzazione del personaggio in tutte le sue sfumature.

Anche la figlia Eva è nevrotica per essere stata privata dell’affetto materno, che vorrebbe ora riconquistare, per essere stata costretta a curare sua sorella e per aver perso un bambino. La presenza della madre, dopo sette anni di silenzio, la libera dell’incapacità di  esternare la sua sofferenza e la fa esplodere in un’invettiva di amore/odio da manuale. 
Valeria Milillo interiorizza questa forma contenuta di follia e la esterna in modo superbo fino a darti l’ansia, è ipercinetica nel muoversi e agitata nel parlare, piena di ansia e d’insicurezza, l’espressività del volto segue i cambiamenti d’umore, amore e odio verso la madre la rendono nel contempo sottomessa e ribelle, il racconto della sua infanzia è soffocante, i dialoghi con la madre sono densi.

Danilo Nigrelli delinea magistralmente quel pover’uomo di Viktor, che non sa più che pesci prendere con quelle tre donne sull’orlo di una crisi di nervi, compie gli stessi gesti, fa le stesse azioni (gira il televisore, lo accende, prende la seggiolina, si siede, guarda il video di suo figlio, spegne il televisore, lo rigira, mette a posto la seggiolina) e si consola pensando che nella vita c’è un solo fenomeno di cui non si sa nulla: la vita stessa.

La regia punta sull’effetto drammatico anche visivamente, col fermo immagine in controluce, coi silenzi, con la staticità di certi quadri familiari, con una gestualità ripetitiva o portata all’estremo, con musica straniante, a volte ostinata su una sola nota, tipica degli spettacoli di Lavia. La scena in cui Helena si trascina carponi lungo il ballatoio e scende le scale a testa in giù gridando fa rabbrividire, le sue mani accartocciate e rattrappite, la smorfia di dolore sul suo viso stravolto, l’inutile tentativo di articolare le parole fanno di Helena un personaggio tragico che la bravura di Silvia Salvatori rende incredibilmente vero.

La tenuta drammatica non si allenta mai, i quattro attori sono di una bravura indescrivibile e la preziosità dell’allestimento porta la firma di Gabriele Lavia. Grande!



Peccato che il regista non sia uscito alla fine per gli applausi.

Scene di Alessandro Camera, costumi di Claudia Calvaresimusiche originali di Giordano Corapi, luci di Simone De Angelis, produzione Teatro Stabile dell'Umbria/Fondazione Brunello Cucinelli.




mercoledì 17 dicembre 2014

Torino Teatro Regio - Giulio Cesare

Teatro Regio di Torino

Prima esecuzione di
Giulio Cesare

Dramma degli affetti contrapposti in tre atti, Libretto di Nicola Francesco Haym

da Giacomo Francesco Bussani, Musica di Georg Friedrich Händel

(Debutta il 20 febbraio del 1724 al King's Theatre di Londra)

(recita del 23 novembre 2014)

Analisi di Giosetta Guerra

Una straordinaria miniera di pirotecnie virtuosistiche e di raffinatezze musicali per trenta magnifiche arie tripartite d’amore e di vendetta precedute da recitativi secchi, tre ariosi, quattro recitativi accompagnati, due duetti, due cori e sublimi pezzi orchestrali (un’ouverture e quattro brevi sinfonie)

Ascoltando Giulio Cesare di Händel ci si chiede come faccia un essere umano a comporre musica così divina. Basterebbero le due arie di Cleopatra di fine secondo e terzo atto per cadere in estasi come Santa Teresa, ma tutti i 30 pezzi chiusi riservati ai personaggi hanno un’architettura musicale di prestigio che dà speciale rilievo alla magnifica musica d’apertura e di chiusura delle arie e accompagna, sostenendole o dialogandoci, le acrobazie delle voci.
Le arie sono tutte col da capo, quindi lunghissime e richiedono enorme perizia vocale per non perdere peso, colore, agilità.
E le voci in questa edizione del Regio di Torino, almeno quelle principali, sono davvero di primo livello. Maestre del canto di coloratura e brave nei diversi registri espressivi, nel rispetto della prassi esecutiva barocca, il contralto Sonia Prina (Cesare primo imperatore dei romani) e il soprano Jessica Pratt (Cleopatra regina d'Egitto) formano una coppia vocalmente meravigliosa, anche se scenicamente devon studiare delle posizioni per attenuare la differenza di statura.
Giulio Cesare, grande impervio ruolo barocco scritto per il castrato Francesco Bernardi, detto il Senesino, è un autentico personaggio eroico e Sonia Prina, con corazza da guerriero e gonnellino a frange fino al ginocchio, assecondata dalla gestualità del corpo e dall’espressione del viso, ha una credibilità incredibile in questo ruolo virile. Sul piano vocale la cantante si fa apprezzare per lo scavo della parola, i gravi corposi, la morbidezza del suono (aria “Presti ormai l’Egizia terra”, atto I sc. I), l’abilità nel canto sbalzato e nella coloratura furiosa (“Empio, dirò, tu sei”, atto I sc. III, aria di furore con frenetica introduzione strumentale contro Achilla che ha portato la testa di Pompeo); esperta del recitar cantando, porge in modo carezzevole nel recitativo accompagnato “Alma del gran Pompeo” (atto I sc. VII), cui segue una scena di seduzione che termina con un bacio tra Cesare e Lidia, alias Cleopatra. Fantastico il dialogo della sua voce, pastosa nel canto sfumato e agile in quello di forza, col corno naturale nell’aria “Va tacito e nascosto” (atto I sc. IX) con variazioni nel da capo. Nell’aria “Se in fiorito ameno prato” (atto II sc. II) con lunga introduzione degli archi e arpa posizionati in palcoscenico, la Prina, salita dalla buca dell’orchestra, intraprende un lungo dialogo col violino con voce duttile, lunghi fiati tenuti, proprietà d’accento, canto sbalzato con accompagnamento vivace; rivolgendosi a Lidia la voce diventa sensuale nel recitativo “Che veggio?” (atto II sc. VII). Strepitosa nella vigorosa grande aria di furia “Al lampo dell’armi” (atto II sc. VIII), con l’orchestra velocissima e incalzante, mentre uccide i congiurati, esegue con piglio guerresco i molti vocalizzi e abbellimenti che terminano con grande slancio acuto tenuto. Peccato non ci sia spazio per gli applausi perché irrompe Cleopatra bellicosa. Evidenzia pastosità, pienezza e rotondità del suono nell’aria pacata e lenta “Aure, deh, per pietà” (atto III sc. IV) con accompagnamento morbido e cadenzato. Bravissima!
Cleopatra è un’incantatrice, a lei sono riservate arie molto acute e fiorite di grande effetto e di ampio virtuosismo che le conferiscono una fisionomia smagliante e che la Pratt esegue in modo eccelso.
Jessica Pratt, più matrona romana dalle forme rotonde e seni prominenti (apprezzati anche da Cesare: “Che bel sen”, atto I sc. VII) sotto un leggero e trasparente abito bianco, che una spigolosa regina egizia, di cui non ha il classico taglio di capelli pur essendo mora, spiega una luminosissima voce di soprano d’agilità con sovracuti puliti fin dall’aria d’ingresso (“Non disperar, chi sa?”, atto I sc. V); sotto il falso nome di Lidia sciorina lunghi slanci acuti e sovracuti, alleggeriti e rinforzati con la messa di voce, e picchiettati cristallini nell’aria “Tutto può donna vezzosa” (atto I sc. VII). Nel duetto col figlio Sesto “Son nata a lagrimar” (atto I sc. XI) si sente il dolore nella voce e nella linea sonora dell’orchestra che segue i gesti larghi del direttore, ne deriva una captante staticità estatica. Vestita da gran dama, incorniciata dentro un grande quadro, canta con maggior peso vocale l’aria canzone “V’adoro, pupille” (atto II sc. II) con gli archi in sordina; permea di una certa ironia la figura di Cleopatra nella melodia  di ampio respiro “Venere bella” (atto II sc. VII) con fioriture, ripetute puntature e giochi vocali in acuto e sovracuto, che esegue con facilità d’emissione, bellezza del suono, alleggerimenti, messa di voce in acuto. La sublimità della musica con orchestra dolorosa si sposa con la soavità di una voce struggente e l’intensità del fraseggio nella delicatissima aria di dolore “Se pietà di me non senti” (atto II sc. VIII), che la  Pratt arricchisce con una puntatura sovracuta provocando un’estasi totale e una fragorosa ovazione. E qui si chiude il secondo atto.
Incatenata, vestita da squaw, nell’aria di prigione “Piangerò la sorte mia” (atto III sc. III) alterna suoni rotondi e spianati, morbide mezze voci, dolci filati, sbalzi, trilli e sovracuti con puntatura improvvisa; esterna tutta la sua abilità virtuosistica nella bellissima aria agitata molto fiorita e sbalzata, con molti vocalizzi e picchiettati in acuto, “Da tempeste il legno infranto” (atto III sc. VII), certamente la più difficile e la più ricca di fiorettature, variazioni, giochi acrobatici in acuto e sovracuto e trascinante cadenza finale.  Splendida!
L’erotismo emerge nel duetto finale con Cesare.
Il contralto Sara Mingardo (una bionda e riccioluta Cornelia, moglie di Pompeo, con abito celeste trasparente) è un’artista esperta, dotata di vocalità rotonda e di bel timbro brunito, fa uso della messa di voce e si esprime con voce patetica, vibrante e screziata nella lentissima aria di dolore per la morte del marito “Priva son d’ogni conforto” (atto I sc. IV) con l’accompagnamento delicato delle tiorbe e dei violini; bella messa di voce iniziale anche nell’aria di dolore “Nel tuo seno, amico sasso” (atto I sc. VIII) con strumentazione cupa e lenta. A volte la sua voce è vetrosa e il suono diventa chiuso, sì da sembrare quella di un controtenore, nel dialogo con Tolomeo della scena VII del III atto, ad esempio, le due voci sono simili. Scenicamente ha il contegno e la fierezza del ruolo.
Sesto, figlio di Pompeo e Cornelia, con tunica chiara corta e calzari romani, è interpretato da una brava e temperamentosa Maite Beaumont en travesti, mezzosoprano dalle ottime qualità vocali (registro grave scuro e zona acuta luminosa e sicura), in possesso di una buona tecnica di canto. Buoni gli slanci acuti, notevole la tenuta del fiato sia nelle lunghe frasi spiegate sia nel canto d’agilità e di sbalzo, ottima la messa di voce nell’aria veloce e scintillante “Svegliatevi nel core (atto I sc. IV), che sfocia in un’aria di furore; voce di spessore in grado di ammorbidirsi, modulare e tenere suoni lunghi nell’aria lenta “Cara speme (atto I sc. VIII), sostenuta dal cembalo e dalla viola; esegue bene le fitte agilità e le grandi espansioni acute con salti al grave, ma la dizione non è sempre chiara (recitativo “Figlio non è”…aria “L’angue offeso mai riposa”, atto II sc. VI);  brava, pulita, lanciatissima nell’acutissima aria di furore La giustizia ha già sull’arco (atto III sc. VI). Brava!
Antonio Abete in tunica romana presta una corposa voce di basso a Curio, tribuno di Roma.

Jud Perry con tunica lunga a piastre nere e argento è un ambizioso Tolomeo, re d'Egitto, fratello di Cleopatra. Il controtenore esibisce bel colore vocale, buone progressioni acute, agilità, buon peso e densità del suono, ma dizione poco chiara (“Muora Cesare…L’empio, sleale, indegno”, aria di vendetta, atto I sc. VI), suoni un po’ chiusi e appoggi gravi di petto (“Sì, spietata, il tuo rigore”, atto II sc. IV). Nell’arioso “Belle dee” (atto II sc. IX ), che in questa edizione torinese apre il terzo atto, la voce del controtenore è pastosa ma poco accattivante; denota abilità nel canto di sbalzo, ma precarietà del suono e brutto grave di petto in finale nell’aria “Domerò la tua fierezza” (atto III sc. II), rivolta a Cleopatra prigioniera.
Guido Loconsolo, con elmetto, corazza sopra una gonna al ginocchio e stivali, interpreta Achilla, duce generale dell'armi e consigliere di Tolomeo. Il baritono ha voce di grande peso capace anche di puntature acute piene, ma poco duttile (“Tu sei il cor di questo core”, atto I sc. XI). L’aria  Dal fulgor di questa spada” (atto III sc. I), dolcemente mossa, è ben cantata con voce ampia e di spessore, ma con qualche intemperanza nell’emissione.
Riccardo Angelo Strano (Nireno, confidente di Cleopatra e di Tolomeo) è un bravo controtenore con voce brillante in grado di scendere ai gravi in modo naturale.
Per quest’opera del genere eroico l’orchestra, più ricca rispetto allo standard dell’epoca, è quella del Teatro Regio di Torino, con gli aggiunti alla tiorba, alla viola da gamba e al cembalo dell'Academia Montis Regalis; la concertazione e la direzione sono affidate al M°
Alessandro De Marchi, specialista del repertorio barocco e direttore artistico del Festival barocco di Insbruck. Una direzione precisa, attenta al dettaglio sia nell’intreccio e nei colori degli strumenti che nel sostegno alle voci e soprattutto appassionata; l’Orchestra risponde bene sia nella varietà e nella leggerezza della bellissima Ouverture (purtroppo disturbata dai movimenti scenici), sia nell’espressione del patetismo, sia nei ritmi incalzanti e nella ricchezza del suono che nell’esuberanza del trionfo, inoltre i musicisti agli strumenti solisti sono proprio bravi.
Posizionato ai lati dell’orchestra, il bravo coro del Teatro Regio, istruito da Claudio Fenoglio, ha solo due interventi, uno in apertura per salutare l’arrivo di Cesare e uno alla fine con un’orchestra trionfale per il ritorno di Cesare.
L’allestimento è quello che Laurent Pelly ideò nel 2011 per lOpéra national de Paris (regia qui ripresa da Laurie Feldman) con le scene di Chantal Thomas e le luci di Joël Adam.
L’opera è ambientata nel deposito di un museo egizio, forse quello del Cairo visto il fez degli inservienti (ma anche a Torino c’è un famoso museo egizio), con una grande statua, scatoloni e scaffali con busti che muovono la testa, la grande testa mozza di Pompeo nel I atto; galleria di quadri barocchi fra cui uno che segue gli spostamenti di Cesare (assolutamente distraente) e un grande ritratto di Händel nel II, dove vediamo Achilla con un innaffiatoio giocattolo e Cornelia piangente che spinge un carrello con palma e poi sale su un’impalcatura per suicidarsi ma viene salvata da persone che trascinano fino a lei una scaletta di ferro;tappeti orientali, poi scaffali vuoti nel III, 
 
dove viene introdotto un modulo architettonico raffigurante un paesaggio esotico con sopra Cleopatra e nell’ultima scena sul fondale compare la vela della nave di Cesare e in palcoscenico Cleopatra avvolta in un tappeto che intesse con l’amato un duetto erotico.
I cantanti sono statue che si animano e si muovono per il palcoscenico o cantano dentro le teche del museo o dentro la cornici dei quadri o sopra grandi sculture trainate dagli inservienti e alla fine dell’opera tornano ad essere statue.
La scarsità di luce impedisce di vedere i visi.
Assistente alla regia Anna Maria Bruzzese. Assistente ai costumi Victoria James. Direttore dell'allestimento Saverio Santoliquido.
Uno spettacolo assolutamente da vedere e ascoltare, sebbene lungo e difficile anche per recensire.






































martedì 2 dicembre 2014

Torino, Teatro Regio Rossini tour


TEATRO REGIO TORINO ROSSINI TOUR

Per la prima volta il Teatro Regio in America 










Conferenza stampa


(24 novembre 2014)

di Giosetta Guerra


Nella Sala del Caminetto del Teatro Regio di Torino  il nuovo Direttore Artistico del Teatro Gastón Fournier-Facioil Sovrintendente Walter Vergnanoil Direttore musicale Gianandrea Noseda (tramite video) e il sindaco di Torino Piero Fassino hanno tenuto una conferenza stampa per annunciare il RossiniTour dell'Orchestra e del Coro del Regio che, dal 3 al 9 dicembre 2014, diretti da Gianandrea Noseda, porteranno negli Stati Uniti Guglielmo Tell di Rossini in forma di concerto con i cantanti Luca Salsi (Guglielmo Tell), John Osborn/Enea Scala (Arnoldo), Angela Meade (Matilde),  Marco Spotti (Gualtiero Farst), Fabrizio Beggi (Melcthal padre), Marina Bucciarelli (Jemmy), Anna Maria Chiuri (Edwige), Gabriele Sagona (Gessler), Mikeldi Atxalandabaso (Ruodi), Saverio Fiore (Rodolfo) e Paolo Maria Orecchia (Leutoldo). Il Coro del Teatro Regio, protagonista di alcune tra le più belle pagine di quest’opera, sarà istruito dal maestro Claudio Fenoglio.
Ecco il calendario:

Mercoledì 3 dic. 2014, Chicago, Harris Theater, ore 19

Venerdì 5 dic. 2014, Toronto, Roy Thomson Hall, ore 19

Domenica 7 dic. 2014, New York, Carnegie Hall, ore 14

Martedì 9 dic. 2014, Ann Arbor (Michigan), Hill Auditorium, ore 19.30

Inoltre domenica 7 dicembre Gianandrea Noseda dirigerà l’Orchestra del Teatro Regio in un concerto rossiniano comprendente le sinfonie de La gazza ladra, La Cenerentola, Il barbiere di Siviglia e Guglielmo Tell, presso la sede di Eataly a New York, per il connubio tra la cultura del cibo italiano e quella della grande musica; un concerto a beneficio di The Global Fund, associazione in prima linea nella lotta contro l’AIDS, la tubercolosi e la malaria, che vanta tra i fondatori il cantante Bono.

Lunedì 8 dicembre, sempre a New York, nella prestigiosa sede dell’ONU, più conosciuto come il Palazzo di Vetro, un concerto voluto da Fassino in occasione della conclusione del Semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea: l’Orchestra del Teatro Regio eseguirà Antiche arie e danze di Ottorino Respighi e Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi, direttore e solista Sergey Galaktionov, primo violino dell’orchestra.

Il Rossini Tour ha un budget di un milione di euro coperto dai ministeri dei Beni Culturali e degli Esteri e da cinque sponsor privati: Barilla, Eataly, Eni, Lavazza e Maserati.


La scelta del Guglielmo Tell di Rossini inorgoglisce doppiamente i Marchigiani, perché Rossini è marchigiano e Guglielmo Tell è l’opera che il tenore marchigiano Mario Tiberini nel ruolo di Arnoldo, affiancato dalla moglie il soprano Angelina Ortolani nel ruolo di Matilde, ha fatto trionfare al Teatro Regio di Torino nel 1860.

Notizie storiche

Il mercoledì 15 febbraio 1860, alle 7 di sera, sempre al Regio di Torino prende il via l’opera-ballo Guglielmo Tell di  Gioachino Rossini, con repliche il 16- 18- 25 febbraio, 3-12-20 marzo e altre due di cui non si sono rintracciate le date. Date desunte da  La Gazzetta Piemontese dei  mesi di febbraio e di marzo. Interpreti: G. F. Beneventano (G. Tell), M. Tiberini (Arnoldo), L. Rossi (Furst), C. Ferrara (Melchtal), G. Marini (Jemmy), G. Bronzino (il Pescatore), A. Ortolani-Tiberini (Matilde), S. Poggiali (Rodolfo). Primo violino e direttore d’orchestra F. Bianchi, maestro concertatore G. Panizza. (da Cronologie, p. 189). 

La prima rappresentazione ha uno di quegli esiti splendidi che fanno epoca nei fasti teatrali. I risultati sono pressoché costanti nelle varie recite, con una predominanza dei coniugi Tiberini sul resto del cast.

“La  Ortolani-Tiberini è sempre una cantante corretta ed elegante; nella romanza e nel duetto col tenore ed in tutti gli altri pezzi si mantiene al grado di altezza raggiunto nella  Lucia
Il Tiberini è insuperabile  nei pezzi di grazia e di sentimento, e per conseguenza in tutta la prima parte  del duetto col baritono, nel duetto con Matilde, nel celebre terzetto e nell’adagio della sua aria, e, dove si richiede forza, trova anche modo di farsi applaudire senza fare spreco inutile di voce; l’adagio poi  nel duetto fra i due coniugi Tiberini è quanto di più squisitamente  cantato si possa udire”. (L’Opinione, 23 febb. 1860, Anno XIII, N. 34. Appendice: Cronaca del Carnevale, p. 2.).



lunedì 1 dicembre 2014

Teatro Regio Torino- Concerto barocco con Dantone


Il barocco al Teatro Regio

di Torino

Händel e Mozart per il debutto al Regio 

di Ottavio Dantone, il noto specialista 

di musica barocca, nella duplice veste 

di solista all’organo e di direttore 

dell’Orchestra del Teatro Regio.

(22 novembre 2014)

Di Giosetta Guerra

Il Teatro Regio di Torino si è concesso un ampio spazio barocco organizzando tra una recita e l’altra del Giulio Cesare di Händel un concerto di ottima qualità e fattura con musiche di Händel e di Mozart eseguite dall’Orchestra del Regio diretta da Ottavio Dantone.
La prima parte è stata dedicata a Georg Friedrich Händel (1685-1759).
Water Music è una serie di movimenti orchestrali (raccolti in 3 suite) composti da Händel per il re Giorgio I che voleva un concerto sul fiume Tamigi, dove appunto Water Music debuttò nel 1717.



Händel e Giorgio I su una chiatta sul Tamigi e dietro un'altra chiatta coi musicisti



Dantone ha diretto l’Orchestra del Teatro Regio, composta per l’occasione da 11 violini, 3 viole, 2 violoncelli, 2 contrabbassi, 2 corni, 2 oboi, 1 fagotto e un cembalo, per l’esecuzione della suite n. 1 in fa maggiore HWV 348, che inizia con un’Ouverture raffinata (Largo – Allegro), seguita da nove movimenti (II. Adagio e staccato, III. Allegro, IV. Andante espressivo, V. Presto, VI. Air. Presto, VII. Minuet, VIII. Bourrée. Presto, IX. Hornpipe, X. Allegro moderato). 
L’accurata lettura del direttore e la bravura dei musicisti hanno restituito il fascino di questa musica vitale, colorita e molto comunicativa, con pagine accentate e sincopate che si alternano con la morbidezza degli insiemi e la leggerezza felpata della danza,  per sfociare nella festosità della musica di corte che ci riporta ai salotti incipriati di parrucche e broccati; gli interventi solistici degli strumenti hanno fatto emergere le capacità virtuosistiche degli oboi lunari, dei corni pastosi, dei violini solari, dei fagotti sornioni.
Nel 1738 Händel pubblicò sei concerti per piccolo organo e orchestra per rendere piacevole l'attesa durante gli intervalli degli oratori rappresentati al Covent Garden. Händel diede un carattere nuovo, più mondano e brillante, all’organo impiegato fino ad allora per il servizio liturgico, lui stesso lo suonava ed era un virtuoso dello strumento come il castrato Farinelli lo era della voce.

Seduto al piccolo organo, Ottavio Dantone ha eseguito con grande maestria ed eleganza il Concerto in fa maggiore per organo e orchestra op. 4 n. 4 HWV 292, sottolineando le peculiarità dei quattro movimenti: I. musica scintillante tutta in acuto per organo solo col sostegno della sezione archi per il primo Allegro, II. musica ovattata dell’organo sopra la mezza voce degli archi nell’ampio Andante di tono intimo e delicato, che dà spazio anche ad un organo più chiacchierino con note ribattute, III. organo delicatissimo con qualche arcata per l’Adagio in minore, IV. scintillio di note saltellate e picchiettate per organo solo nell’Allegro finale con brevi accompagnamenti densi per un dialogo giocoso tra le voci.
Padronanza dello strumento, finezza del tocco, agilità delle dita di Dantone per una brillante esecuzione.
Nella seconda parte ha fatto il suo ingresso sua maestà Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), per cui  l’orchestra s’è ingrandita. Per la  Sinfonia n. 10 in sol maggiore K 74 l’organico era formato da 16 violini, 4 viole, 3 violoncelli, 3 contrabbassi, 2 corni, 2 oboi, per la Sinfonia n. 38 in re maggiore K 504 (Praga) si sono aggiunti ai precedenti 2 flauti, 2 trombe, 2 fagotti e timpani.
La Sinfonia n. 10 in sol maggiore K 74, composta a Milano nel 1770, durante il primo viaggio in Italia di Mozart quattordicenne, è un esempio di ouverture italiana in tre tempi: Allegro in sol magg con vivaci frasi ripetute dei violini seguite da un dialogo degli oboi sopra una nota tenuta dei corni, Andante in do magg che si allaccia al primo movimento con un rallentamento del ritmo, Rondò allegro in sol magg, dinamico, dominato da una frase ostinata degli archi.
Anche la Sinfonia n. 38 in re maggiore K 504, detta “Praga”, perché eseguita in quella città nel 1787, è formata come la precedente da tre movimenti, ma è di tutt’altra natura, sia perché appartiene a un Mozart più maturo, sia perché è più innovativa. Nell’alternarsi di potenza e leggerezza si avverte l’atmosfera misteriosa e il clima d’attesa che si respirano nel Don Giovanni.
Il primo movimento è un ampio e solenne Adagio, col suono vellutato dei violini e quello denso dei fiati, cui segue l’Allegro con un intreccio di temi e di suoni. L’Andante centrale, una lenta e languida melodia un po’ soporifera, alterna molteplici temi ed è imperniato sulla delicata leggerezza degli archi. Il Presto finale è una pagina effervescente in cui s’intrecciano con ritmo incalzante volatine di violini, brontolii di fagotti, cinguettii di flauti in un amalgama sonoro di grande piacevolezza e termina in tono trionfale con l'intera orchestra.

La direzione attenta e partecipata di Ottavio Dantone, specialista del repertorio barocco, virtuoso del clavicembalo e fortepiano, direttore dal 1996 dell’orchestra barocca Accademia Bizantina, ha coinvolto l’Orchestra del Regio di Torino, che ha suonato magnificamente e ha coinvolto anche il pubblico che è rimasto molto soddisfatto. 

i mitici lampadari del Regio


giovedì 13 novembre 2014

Fano Teatro Fortuna prosa DON GIOVANNI

Fano Teatro della Fortuna 

Don Giovanni di Molière

Alessandro Preziosi è Don Giovanni

La legge del piacere e dell’inganno
“Tutto il piacere dell’amore è nel mutamento”

 (2 novembre 2014)
Di Giosetta Guerra

Dopo il debutto al Teatro Gentile di Fabriano, Don Giovanni di Molière, prodotto da  Khora.teatro, Teatro Stabile d’Abruzzo, approda al Teatro della Fortuna di Fano l’1 e il 2 novembre 2014.
Don Giovanni, nato nel 1625 con l’opera teatrale in versi El burlador de Sevilla y convidado de piedra del drammaturgo spagnolo Tirso de Molina, non morirà mai, nonostante lo faccia ogni volta che va in scena. 
il personaggio più corteggiato da scrittori e operisti del XVII e XVIII secolo, (le opere più note sono Dom Juan ou le festin de pierre commedia tragica di Molière pubblicata nel 1665 e il dramma giocoso Don Giovanni musicato da Mozart su libretto di Da Ponte debuttata nel 1787) ed è uno dei personaggi più amati dal pubblico per quella dissacrante spavalderia liberatoria tipica della gioventù e della voglia di vivere, in netto contrasto con le oscure regole poste ora e allora da religioni oscurantiste ed inquisitorie.
Ed è proprio Don Giovanni di Molière nella traduzione e adattamento di Tommaso Mattei che Alessandro Preziosi, in qualità di attore e di regista, sta portando nei teatri italiani, attirando un pubblico giovane soprattutto femminile, che entra attratto dalla sua avvenenza ed esce con una maggior conoscenza di un classico della letteratura.
Il ruolo del ricco e giovane libertino gli sta proprio a pennello: Preziosi disegna un Don Giovanni bello e impossibile che si confronta sinceramente solo col suo servitore pur dominandolo, avvolgente e ironico nel corteggiamento decanta l’infedeltà come generosità verso tutte le donne, sfuggente e dissacratore preferisce la concretezza della matematica alla vaghezza della religione e gestisce con spirito goliardico il suo rapporto con le donne e col Commendatore, peccato che non abbia potuto sfruttare il magnetismo dei suoi occhi perché la scena era per lo più poco illuminata. 

Io ero in prima fila e non ho visto il lampo azzurro.
Preziosi è animale da palcoscenico e gestisce con disinvoltura i lunghi dialoghi con Sganarello (il Leporello mozartiano) e i monologhi sui temi basilari della vita: fedeltà, fede, religione, pragmatismo, ipocrisia; piega abilmente alle esigenze del copione la recitazione, che è all’occasione insinuante, sensuale, burlesca, giocosa, divertita, veemente, audace, sprezzante; il gesto sempre appropriato segue la mente, la figura slanciata ed elegante arricchisce la padronanza scenica. Versatile nel finto dialogo col padre Don Luigi assente, a cui lui stesso presta la voce modificata.
Chi parla più di tutti è Sganarello che filosofeggia fino alla noia, ma, si sa, il teatro di Molière è il teatro della parola e non puoi perderne neanche una, anche se una maggior stringatezza gioverebbe al ritmo teatrale. Lo interpreta un bravo ed esperto Nando Paone, un servitore maturo che cerca di tenere a freno le intemperanze del suo padrone.
La giovane coppia di contadini Pierino e Carlotta (Masetto e Zerlina per Mozart) è interpretata da due giovanissimi attori, Daniele Paoloni e Barbara Giordano, con gestualità sciolta, mimica facciale espressiva, recitazione fluida. Paoloni veste anche i panni di Francisco un mendicante e di Ragotin servo di Don Giovanni e la Giordano quelli di uno spettro.

Tutti a loro agio i numerosi attori, calati in più ruoli: la brava e temperamentosa Lucrezia Guidone (Elvira, sposa di Don Giovanni),  Daniela Vitale (una vivace Maturina, contadina innamorata del Don, poi Violetta serva di Don Giovanni), Matteo Guma (Don Carlos fratello di Elvira, poi Ramon spadaccino di Don Giovanni), Roberto Manzi (Gusman scudiero di Elvira, Don Alonso fratello di Elvira e il mercante Signor Domenica conciato da ebreo).
L’allestimento scenico si avvale di moduli scorrevoli, di un velatino per azioni in trasparenza e in contemporanea, di proiezioni dietro e davanti al velatino, per dare all’azione l’ubicazione richiesta dal libretto, così compaiono effetti d’acqua sul fondale per lo scampato annegamento di Don Giovanni e Sganarello, alberi arabescati per lo scambio d’abiti tra servo e padrone all’aperto, un pesante mausoleo in pietra bianca con al centro una statua che muove la testa e la bocca (soluzione azzeccata), visione di uno spettro e della morte con la falce prima dell’arrivo della statua a cena, comparsa della statua dietro il velatino raggiunta da Don Giovanni, che le dà la mano e, esclamando ”Il mio corpo è un braciere” viene avvolto dalle fiamme (soluzione registica di grande effetto), sopra l’inquietante musica del Don Giovanni di Mozart (finalmente, io l’avrei usata di più in corso d’opera, perché il mistero che si respira con la musica di Mozart è ben più intenso di quello che si trova nel testo di Molière).
Belli dunque gli effetti scenici e i cambi di scena, eleganti le figure fisse in controluce, come quella d’apertura che mostra due spadaccini in costumi settecenteschi (Don Giovanni e il Commendatore) fermi sotto una nevicata.
Splendidi i costumi d’epoca completi di parrucca bianca o scura con codino per i due protagonisti, adeguati ai personaggi e alle situazioni quelli degli altri.
Scene di Fabien Iliou, costumi di Marta Crisolini Malatesta, musiche di Andrea Farri, luci di Valerio Tiberi, supervisione artistica di Alessandro Maggi, regia di Alessandro Preziosi.

Uno spettacolo complessivamente ben fatto (qualche ritocco alle luci e alle musiche non guasterebbe), che dovrebbe spingere chi non lo conosce ancora ad ascoltare il Don Giovanni di Mozart, ben più intrigante e variegato del Don Giovanni di Molière.