mercoledì 28 gennaio 2015

San Lorenzo in Campo (PU), Teatro Tiberini, La Mandragola

San Lorenzo in Campo (PU) - Teatro Tiberini

Stagione di prosa

LA MANDRAGOLA  
di Nicolò Machiavelli

Tragicommedia d’intrighi, d’inganni e d’ironia, dove il fine giustifica i mezzi, entrambi non sempre nobili.
 
(22 gennaio 2015)

L’attualità del passato fa riscoprire la contemporaneità dei classici

recensione di Giosetta Guerra

Pensate un po’ cosa potrebbe uscir fuori da un gruppo di persone così assortite: un marito anziano forse sterile che vorrebbe ancora diventar padre, un giovanotto innamorato della bella moglie dell’anziano ritenuta sterile e quindi verginella repressa con una madre ruffiana, un frate venale e senza scrupoli, un Figaro della situazione animatore d’inganni, tutti presentati da uno speaker d’ordinanza.

State già sorridendo? Non vi affannate, ci ha già pensato cinquecento anni fa Nicolò Machiavelli, scrivendo La Mandragola, capolavoro del teatro comico cinquecentesco, scritto intorno al 1518.

Questa commedia prende il titolo da un'erba medicinale “la mandragora” ritenuta capace di combattere la sterilità nelle donne, ma in realtà erba velenosa che potrebbe essere scambiata con la borraggine. Quindi attenti.

Ề ovvio che far credere ad un marito tradito che la moglie sia rimasta incinta grazie ad un’erba miracolosa era un espediente per giustificare una moglie fedifraga, ma per crear queste fantasie occorreva una mente diabolica e creativa, e la satira di Machiavelli si avvale proprio dell’astuzia e dell’intelligenza di alcuni suoi personaggi per smascherare e condannare la corruzione della società del suo tempo. Il sarcasmo di Machiavelli si traduce in satira pungente contro la corruzione del clero e la superficialità del potere, contro la stupidità delle donne e la falsità degli amici, delineando stereotipi immortali adattabili ad ogni tempo.

Ecco il plot de “La Mandragola”.

Messer Nicia Calfucci è il marito anziano di Lucrezia, di lei è innamorato Callimaco, che Ligurio, ideatore dell'inganno, presenta a Nicia come famoso dottore conosciutissimo anche a Parigi e persino a corte in grado di risolvere il suo problema; Callimaco, con arte affabulatoria e sentenziando in latino convince l’anziano di avere un rimedio contro la sterilità: una miracolosa pozione di mandragola da far bere alla moglie la sera stessa prima di coricarsi per far avvenire il miracolo durante la notte. Purtroppo quella bevanda ha una controindicazione: il primo uomo che giacerà con lei morirà presto, quindi sarebbe opportuno prendere un “garzonaccio”  sconosciuto dalla strada, per dar poi via libera al vero marito. Il piano è machiavellico ma ben congegnato, Ligurio ottiene anche la complicità di Fra' Timoteo che per denaro convince Lucrezia e la madre Sostrata che non sarà commesso alcun peccato se la moglie passerà la notte con uno sconosciuto, perché non lo fa per sua scelta.  Ovviamente lo sconosciuto è Callimaco, che riesce a passare la notte con Lucrezia e, una volta rivelatosi, ne diviene l’amante col benestare del marito ignaro e riconoscente, che invita lui e Ligurio a vivere nella sua casa come amici di famiglia. Sicché dopo l’inganno anche la beffa. Siro è il presentatore e complice dell’inganno. Tutti si ritrovano la mattina seguente in chiesa per “purificarsi” delle loro colpe.

Per mettere in scena una simile fantasia di fuochi d’artificio occorre una gran sintonia tra gli attori e una regia che non abbia tempi morti o rallentati.

 

Al Teatro Tiberini di San Lorenzo in Campo abbiamo avuto il piacere di ospitare la Compagnia U.R.T.-La Corte Ospitale che ha i requisiti richiesti (ma dovrebbe cambiare nome perché non si capisce chi è).

La regia di Jurij Ferrini è fluida e movimentata, ha un ritmo serrato, un po’ sopra le righe nei toni a volte troppo alti ed esagitati delle voci, che comunque seguono il crescendo dello sviluppo scenico della vicenda, fitta d’intrichi, di equivoci, di doppi sensi, di gags esilaranti, di giochi di parole. 

Belle idee registiche per creare spettacolarità, come la danza degli ombrelli e l’uso appropriato delle luci disegnate da Lamberto Pirrone, o per strappare la risata, come Nicia che fruga nelle parti intime e non trova il bigolo e quel vasetto di urina pronto per le analisi che finisce in faccia di qualcuno.

Il regista è presente anche fisicamente nel gioco scenico in qualità di attore, perché è proprio Jurij Ferrini ad impersonare Messer Nicia Calfucci il vecchio marito cornuto, contento e coglionato. Impressionante la sua espressività, la sua mimica facciale, l’aria attonita e spaesata del credulone, l’aria schifata di chi aborre l’idea di essere sterile, l’intenzionalità dei suoi silenzi e dei suoi sguardi, fisicamente caratterizzato da un aspetto ingenuo e trasandato con quegli occhialini sul naso e i capelli brizzolati in disordine e una deambulazione precaria, lui è l’elemento comico, meglio dir tragicomico, della compagnia, il Falstaff della situazione, perché sembra strano, ma in palcoscenico e nella vita il burlato fa sempre ridere, anche se con un retrogusto amaro.

E grande sintonia c’è stata tra i bravi attori ben calati nei loro personaggi con vis comica naturale per questo esilarante sposalizio tra tradizione e modernità.

Igor Chierici è un versatile servitore di nome Sirio, molto sciolto sulla scena e nella recitazione, Luca Cicolella è un Callimaco dal gesto nervoso e dalla loquacità compulsiva e impetuosa, fluido è il fraseggiar di Michele Schiano di Cola nel ruolo di Ligurio, servo di Nicia, Angelo Maria Tronca, con la tonaca nera e il collarino da prete (ma non deve essere un frate e quindi vestito col saio bianco?), è Fra’ Timoteo,  

venale e sfuggente come Don Basilio de Il barbiere di Siviglia, si muove con fare circospetto alla ricerca di qualche utile personale, non abbandona mai la scatola nera delle LIMOSINE e fantastica con mimi e mugolii sulla notte d’amore dei due amanti. 

Meno caratterizzate le due donne: Cecilia Zingaro è Madonna Lucrezia, una dama alta coi capelli lunghi in libertà e un vestito rosso piuttosto castigato, che denuncia più la sua vita composta che i suoi desideri repressi, (il regista avrebbe potuto giocare un po’ sull’indecisione se mostrare o nascondere, presentando magari una dama ritrosa ma vestita in modo provocante, anche distinguendola con un costume d’epoca scollato al punto giusto); Claudia Benzi con abito nero profilato di bianco e un gran cappello nero, è Sostrata, la madre un po’ sciatta di Lucrezia. 

L’azione è ambientata nel nostro presente, in scena solo un lungo tavolo grigio con sedie nere, gli uomini sono in giacca e cravatta e le donne con abiti un po’ retró (costumi di Nuvia Valestri), la recitazione pone attenzione alla parola perché è sul gioco di parole e sui doppi sensi che nasce l’ilarità, il testo è originale quindi in rima e in lingua medievale comprensibile con intercalar di latino per le persone istruite.


Impreziosiscono lo spettacolo musiche importanti, lontane dall’epoca della storia ambientata nella Firenze del 1494. In apertura una musica da film introduce l’imbonitore Sirio che presenta i protagonisti, l’Adagio di Albinoni sottolinea l’entrata di Nicia, Toccata e fuga di Bach accompagna la digitazione del codice del bancomat sulla schiena del frate, Le Danze ungheresi di Brahms danno inizio alla beffa, il Can Can da I racconti di Hoffmann di Offembach introduce il maschio Callimano nell’impresa della seduzione e apre il ballo con gli ombrelli aperti e gli ombrelli rotti, la danza spagnola dal Lago dei cigni di Cajkovskij e per chiudere il canone in re maggiore di Pachelbel. (Consiglio di scrivere anche i titoli musicali in programma, perché il teatro, oltre che divertimento, è anche insegnamento).









lunedì 19 gennaio 2015

Fano, Teatro della Fortuna, Nuda proprietà, prosa

Fano, Teatro della Fortuna

 

Nuda proprietà


commedia di Lidia Ravera


(10 gennaio 2015)

 di  Giosetta Guerra


Quando si è in età avanzata e senza soldi, ma proprietari di una casa, si vende la nuda proprietà, per avere denaro e abitazione assicurati fino alla fine della vita e poi più nulla.

Così fa Iris che, per realizzare di più dalla vendita, si finge vecchia e malandata con l’acquirente napoletano speculatore, ma in realtà è ancora fresca e pimpante, capace di saltare con la corda e di…innamorarsi. 

Senza volerlo s’innamora di Carlo, uno psicanalista ancor giovane ma solo, a cui la donna ha affittato una stanza per il suo studio, un amore pacato, fatto di condivisioni, di complicità, di affinità, di sostegno reciproco, di completamento, che matura a poco a poco e coinvolge prima lei poi lui e che finisce con uno sberleffo della natura: lui più giovane si ammala prima di lei. A movimentare questo nuovo menage ci pensa la giovanissima e spregiudicata nipote di lei, tornata all’improvviso, che rivendica la sua cameretta ora diventata studio medico, e naturalmente il nuovo proprietario della casa, ansioso di entrare definitivamente in possesso del suo appartamento.

Questo il plot della commedia Nuda proprietà, estrapolato dal romanzo Piangi pure di Lidia Ravera, giornalista, scrittrice ironica, attenta al mondo femminile.

Visto l’argomento, è naturale che lo scavo psicologico dei personaggi sia in prima linea e i dialoghi siano serrati, ed è richiesta agli attori una capacità istrionica di trasformismo e di adattamento ai cambiamenti anche improvvisi di situazioni.

Se si pensa ad un’attrice capace di alternare una recitazione logorroica e compulsiva a momenti di silenzio e di contemplazione, l’esuberanza di una giovane donna alla precarietà deambulatoria e gestuale di una vecchia malata, di dialogare coi presenti e con gli assenti (un po’ alla Edoardo De Filippo), di esprimere con la mimica facciale e con l’intonazione della voce  il dolore e la felicità, la paura e la speranza, la rassegnazione e il desiderio, l’amore e la delusione, il nome di Lella Costa esce per primo. Iris è dunque Lella Costa, un’attrice dal fisico ancora giovane e scattante, naturalissima nelle trasformazioni e nell’esternazione dei sentimenti contrastanti, delicata nei rapporti col nuovo arrivato, incontrollabile nel  profluvio di parole permeate di autoironia. Impressionante anche la trasformazione della bionda signora in abito grigio perla e scarpe rosse in vecchietta con vestaglia, mantellina della nonna, retina sulla testa, borsa dell’acqua calda, tremore alla gamba, voce insicura.

L’affianca un composto e riservato Paolo Calabresi, che sa dare significato anche ai silenzi con un’espressività comunicativa, un bel giovanotto mai invadente, ma ironicamente catastrofico che aumenta le ansie di lei e finisce per darle tanta sicurezza. Dai loro sguardi e dai rari sfioramenti delle mani e del viso s’intuisce un rapporto estremamente tenero.

La regista Emanuela Giordano, responsabile anche di costumi e luci, ha  fortemente sottolineato le differenze generazionali presentando una nipote scoppiettante e trasgressiva anche nell’abbigliamento, ottimamente interpretata dalla giovanissima Claudia Gusmano

mentre ha dato a Marco Palvetti i connotati di un subdolo jettatore, innescando una serie di equivoci esilaranti. Musiche di Antonio di Pofi, scene minimaliste grigio perla di un interno di Francesco Ghisu, produzione La Contemporanea – Mismaonda.

Un testo cervellotico, non privo di sarcasmo, d’ironia, di dramma, una recitazione intimista, quasi un parlarsi addosso, adatta ad un ambiente raccolto, perché non si possono perdere parole ed espressioni, come invece è capitato a me dall’alto di un palco laterale.











lunedì 12 gennaio 2015

Rimini Stadium NABUCCO

Rimini 105 Stadium

Buon Anno con 

 N a b u c c o 

Dramma lirico in quattro atti di Temistocle Solera, musica di Giuseppe Verdi



(1 gennaio 2015)


 

Recensione di Giosetta Guerra

Un’opera il primo dell’anno val più d’un augurio.

Ề un vero peccato che Rimini non abbia un teatro e sia costretta a fare gli spettacoli musicali in un palazzetto dello sport, che non ha né la struttura né l’acustica idonee per la musica, per cui si è costretti ad amplificare le voci e a penalizzare la visibilità degli spettatori seduti sulle tribune laterali.

Per la visibilità una soluzione ci sarebbe, fare lo spettacolo in platea, come fece Peter Brook al Teatro dell’Opera di Roma per Carmen e anche il ROF col Tancredi al vecchio palazzetto dello sport a Pesaro; per l’acustica bisognerebbe riempire gli angoli retti del palazzetto arrotondando l’ambiente per far circolare i suoni. Strano che non ci abbia mai pensato qualcuno e strano anche relegare a metà della tribuna laterale sinistra il recensore dello spettacolo.

Dopo una prima parte vista dimezzata e con i picchi dell’amplificazione che sfoga sempre lateralmente, sono scesa in platea nella seconda parte ed ho avuto un ascolto migliore e una visione più completa della scena e dei sopratitoli che dalle tribune non si leggono.

Quindi ho meglio apprezzato sia la scenografia di Joseph Cauchi, già sperimentata al Teatro dell’Opera di Gozo (Malta), dove spesso Stinchelli lavora, sia il lavoro di regia di Enrico Stinchelli, sia la proiezione delle voci, penalizzate comunque nella qualità della resa dall’amplificazione che, se da un lato aumenta il volume, dall’altro evidenzia i difetti.

Le scene, che non ci introducono chiaramente negli ambienti storici conosciuti, erano essenziali e simboliche ma comprensibili; erano costituite di una struttura centrale fissa a forma di  piramide quadrata tronca, con scale ai quattro lati, sovrastata all’occorrenza da un trono dorato raffigurante il potere o affiancata da un mitologico uccello e dalla grande testa dell’idolo che cadde di colpo al momento opportuno. Le scene erano eleganti, belle e soprattutto godibili all’occhio per l’aura fiabesca creata da fumi e vapori e per l’abbondante sfarfallio e sfolgorio di luci e di colori, che però stemperavano la tinta drammatica della vicenda.

Alla fissità dell’architettura scenica faceva infatti contrasto l’ipercinesia delle proiezioni o astratte o di elementi aerei, geometrici, figurativi, non sempre attinenti, che diventavano più intense nei cambi di scena per coprire le maestranze al lavoro. Operatore luci e video Alex Magrì.

Il regista Enrico Stinchelli ha curato molto bene la gestualità e la recitazione degli artisti, ha dato un tocco pittorico alla disposizione delle masse, che in un’opera corale sono coprotagoniste e particolarmente in Nabucco sono al centro delle aspettative del pubblico che concentra nel “Va pensiero” l’essenza dell’opera.

I personaggi entravano in scena salendo le scale da dietro, fermandosi in alto e scendendo dal lato anteriore, lo ha fatto anche un bambino all’inizio e alla fine.

Costumi d’epoca molto belli con predominanza del bianco, del nero, del rosso e dell’oro. Costumista Giulia Brolli.

Dal punto di vista vocale la partitura è particolarmente insidiosa, ogni interprete deve raggiungere il limite massimo delle sue capacità sia naturali che tecniche.










In primis la schiava Abigaille, creduta primogenita di Nabucco, che è un autentico soprano drammatico d’agilità e richiede doti straordinarie di potenza e di agilità. 
 

Dimitra Theodossiou ha voce possente e screziata nei colori (“Ben io t’invenni”), bella in tutta la gamma, sicura nel canto di forza e di coloratura, rotonda ed armoniosa nelle smorzature e nel canto morbido, è bravissima negli slanci acuti strabilianti, negli affondi e nei glissando, riesce a coprire gli sbalzi di due ottave, dosa la voce all’espressività del fraseggio con sensibile modo di porgere, accento incisivo, scavo della parola scenica, filati acutissimi tenuti e sonori (accorato e lievissimo il finale nella scena della morte).


Nabucco, re di Babilonia, ha inizialmente perso la sua autorevolezza a causa della scarsa fermezza vocale nel canto spinto di Carlo Guelfi, un baritono dal bel timbro e dal giusto accento ma con voce corta e ondeggiante seppur potente. Dopo il fulmine che ha colpito Nabucco, Guelfi ha cantato meglio, perché, tenendo una linea più morbida, ha sostenuto i suoni con voce più ferma (“Deh, perdona”), controllando l’emissione e cantando sul fiato il suono è risultato più bello e più sicuro (“Dio di Giuda”).

L’autorevolezza e la pacatezza di Zaccaria, gran pontefice degli Ebrei, sono emerse dal gesto e dal modo di porgere del basso Ivaylo Dzhurov, che ci riporta allo stile di Samuel Ramey per la maestosità del canto e per l’arte di arrotondare i suoni.

La sua voce ampia, estesa, corposa e sonora si distingue per la bellezza del colore, per la pienezza, la fermezza e la pastosità del suono e per la morbidezza del canto. Il basso canta sul fiato, affronta bene la tessitura acuta, la grave è corretta e sostenuta, ha buona tecnica di canto e di articolazione della parola.


Nel ruolo d’Ismaele, nipote di Sedecia, re di Gerusalemme, il tenore Paolo Antognetti ha usato in modo corretto una voce acuta robusta e di bel timbro, ha espresso con veemenza la disperazione sopra il canto cadenzato dei Leviti (“Per amor del Dio vivente”), ha cantato bene, tenendo una linea di canto omogenea e ammorbidendo i finali.

Fenena, figlia di Nabucco, era Patrizia Patelmo, mezzosoprano dal bel corpo vocale, voce pastosa che sale rotonda in acuto e ammorbidisce nel canto a mezza voce; la cantante ha evidenziato accurato modo di porgere, buon uso della messa di voce, bel suono, ma dizione poco chiara.

Senza infamia e senza lodo il basso Antonio Di Matteo nelle vesti del Gran Sacerdote di Belo.

Roberto Carli (Abdallo vecchio ufficiale del re di Babilonia),  tenore chiaro e squillante, è stato un dignitoso comprimario.

Elettra Benfatto (Anna sorella di Zaccaria) è un corretto soprano dalla voce pulita.

La liricità di questo grande affresco corale è stata espressa dal Coro Lirico città di Rimini Amintore Galli, spesso immobile in una staticità ieratica, con compattezza dell’amalgama sonoro nelle pagine più vigorose e con dinamiche morbide e sfumate nelle pagine di maggior raccoglimento, qualche imprecisione nella tenuta del suono in “Va pensiero”, cantato a mezza voce e disturbato da spire di fumo o di nuvole e da giochi di luci. Maestro del coro Matteo Salvemini.

La scrittura musicale, che in orchestra sviluppa sia movimenti e sonorità travolgenti sia atmosfere di struggente poesia, trova una brava interprete nell’Orchestra Teatro dell’Opera di Rousse diretta da Nayden Todorov. Coro e Orchestra riescono a comunicare una coralità intensa.

Corrette le danze del corpo di ballo Future Company.

Successo generale. Grande dimostrazione d'affetto per Dimitra Theodossiou, scampata miracolosamente all'incendio del traghetto greco tre giorni prima.

 



Dimitra Theodossiou e Giosetta Guerra