lunedì 19 gennaio 2015

Fano, Teatro della Fortuna, Nuda proprietà, prosa

Fano, Teatro della Fortuna

 

Nuda proprietà


commedia di Lidia Ravera


(10 gennaio 2015)

 di  Giosetta Guerra


Quando si è in età avanzata e senza soldi, ma proprietari di una casa, si vende la nuda proprietà, per avere denaro e abitazione assicurati fino alla fine della vita e poi più nulla.

Così fa Iris che, per realizzare di più dalla vendita, si finge vecchia e malandata con l’acquirente napoletano speculatore, ma in realtà è ancora fresca e pimpante, capace di saltare con la corda e di…innamorarsi. 

Senza volerlo s’innamora di Carlo, uno psicanalista ancor giovane ma solo, a cui la donna ha affittato una stanza per il suo studio, un amore pacato, fatto di condivisioni, di complicità, di affinità, di sostegno reciproco, di completamento, che matura a poco a poco e coinvolge prima lei poi lui e che finisce con uno sberleffo della natura: lui più giovane si ammala prima di lei. A movimentare questo nuovo menage ci pensa la giovanissima e spregiudicata nipote di lei, tornata all’improvviso, che rivendica la sua cameretta ora diventata studio medico, e naturalmente il nuovo proprietario della casa, ansioso di entrare definitivamente in possesso del suo appartamento.

Questo il plot della commedia Nuda proprietà, estrapolato dal romanzo Piangi pure di Lidia Ravera, giornalista, scrittrice ironica, attenta al mondo femminile.

Visto l’argomento, è naturale che lo scavo psicologico dei personaggi sia in prima linea e i dialoghi siano serrati, ed è richiesta agli attori una capacità istrionica di trasformismo e di adattamento ai cambiamenti anche improvvisi di situazioni.

Se si pensa ad un’attrice capace di alternare una recitazione logorroica e compulsiva a momenti di silenzio e di contemplazione, l’esuberanza di una giovane donna alla precarietà deambulatoria e gestuale di una vecchia malata, di dialogare coi presenti e con gli assenti (un po’ alla Edoardo De Filippo), di esprimere con la mimica facciale e con l’intonazione della voce  il dolore e la felicità, la paura e la speranza, la rassegnazione e il desiderio, l’amore e la delusione, il nome di Lella Costa esce per primo. Iris è dunque Lella Costa, un’attrice dal fisico ancora giovane e scattante, naturalissima nelle trasformazioni e nell’esternazione dei sentimenti contrastanti, delicata nei rapporti col nuovo arrivato, incontrollabile nel  profluvio di parole permeate di autoironia. Impressionante anche la trasformazione della bionda signora in abito grigio perla e scarpe rosse in vecchietta con vestaglia, mantellina della nonna, retina sulla testa, borsa dell’acqua calda, tremore alla gamba, voce insicura.

L’affianca un composto e riservato Paolo Calabresi, che sa dare significato anche ai silenzi con un’espressività comunicativa, un bel giovanotto mai invadente, ma ironicamente catastrofico che aumenta le ansie di lei e finisce per darle tanta sicurezza. Dai loro sguardi e dai rari sfioramenti delle mani e del viso s’intuisce un rapporto estremamente tenero.

La regista Emanuela Giordano, responsabile anche di costumi e luci, ha  fortemente sottolineato le differenze generazionali presentando una nipote scoppiettante e trasgressiva anche nell’abbigliamento, ottimamente interpretata dalla giovanissima Claudia Gusmano

mentre ha dato a Marco Palvetti i connotati di un subdolo jettatore, innescando una serie di equivoci esilaranti. Musiche di Antonio di Pofi, scene minimaliste grigio perla di un interno di Francesco Ghisu, produzione La Contemporanea – Mismaonda.

Un testo cervellotico, non privo di sarcasmo, d’ironia, di dramma, una recitazione intimista, quasi un parlarsi addosso, adatta ad un ambiente raccolto, perché non si possono perdere parole ed espressioni, come invece è capitato a me dall’alto di un palco laterale.











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