Jesi Teatro
Pergolesi
Lucia di
Lammermoor di Donizetti
(25-11-12)
Anche i
giovani possono essere grandi
Di Giosetta Guerra
Nel difficile ruolo di Edgardo
si è esibito a Jesi Gianluca Terranova, il tenore che ha interpretato Caruso
nella recente fiction televisiva. Terranova è un vero cantattore, è un bel
giovane, è espressivo, si muove con padronanza del palcoscenico, ha una bella
canna di voce che usa con generosità e con passione, il timbro è bello, lo
squillo luminoso e robusto, l’emissione esuberante, la dizione chiara,
l’accento eroico, il canto di fibra comunica il lacerato spirito di Edgardo e,
una volta perfezionata la tecnica del canto sul fiato, riuscirà anche a
trasmettere il pathos con l’uso della mezza voce e del canto a fior di labbro.
Il ventitreenne soprano georgiano
Sofia Mchedlishvili (impossibile da pronunciare, dovrebbe prendere un nome
d’arte) (Lucia) ha già dimestichezza con l’arte del belcanto, brilla nei
virtuosismi, svetta negli acuti e sovracuti, esegue con facilità scale
cromatiche, cadenze, riprese con variazioni, usa la messa di voce; la tecnica è
ineccepibile, ma la voce, che diventa bella quando si espande nelle
progressioni acute, ha bisogno di maturare e di acquisire spessore e pastosità
nella zona medio grave.
Nella lunga scena della
follia, introdotta e accompagnata nella cadenza dal suggestivo suono dell’arpa
posizionata nel palchetto destro di proscenio, la Mchedlishvili, scarmigliata,
sbaffata, spiritata, ha cantato anche sdraiata (Alfin son tua) accanto al cadavere di Arturo, che il regista ha
fatto rotolare paurosamente giù dalle scale (che rotolone…era un figurante, che coraggio!).
Bravissimo Julian Kim, un
ottimo baritono di soli 26 anni che nel ruolo di Lord Enrico Ashton si
è imposto per bellezza, estensione e spessore vocali, per la morbidezza della linea
di canto e per la sicurezza del gesto.
Grande voce tridimensionale
dal timbro eroico, colore splendido, suoni ampi e rotondi, gravi pieni,
formidabili acuti tenuti a lungo, canto sempre sul fiato con ottima proiezione
del suono, dizione chiarissima, accento scolpito, prorompente ed energico nei
duetti con Lucia, favoloso nella modulazione dei cantabili.
Il basso trentaseienne Giovanni
Battista Parodi (Raimondo) ha una figura imponente, canta la prima frase con voce poco ferma (Dolente vergin), ma poi gestisce con
morbidezza un mezzo vocale ampio e corposo, di bel timbro scuro con note gravi
consistenti; dovrebbe perfezionare il sostegno del suono e aprire di più il
canto per non incupire i suoni. Il venticinquenne Alessandro
Scotto Di Luzio (Arturo)
è un tenore leggero acuto con buona dizione. Il ventiseienne
mezzosoprano Cinzia Chiarini (Alisa) ha voce robusta. Il ventottenne tenore
fermano Roberto Jachini Virgili (Normanno) ha esibito un bel timbro
deciso e sicurezza del gesto.
Matteo Beltrami, alla guida
della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana, è entrato or con enfasi or con
morbidezza nelle pagine di grande musica, creando atmosfere musicali
coinvolgenti e avvolgenti, lasciando spazio anche alle voci strumentali più
scoperte (corno, arpa, flauto), ma anche non controllando a volte le alte
sonorità.
L’impianto scenico era sulla
linea delle altre due opere della stagione: uso di scenari neutri in maglia
“psicoplastica” (come li aveva definiti Svoboda) per la proiezione di luoghi,
ambienti e simboli (il mare, il sangue, una roccia impervia, le margherite, le
candele) e trasparenti per la visione di posti e azioni in contemporanea (la
preparazione delle nozze, le tombe), talvolta sollevati a metà per creare più profondità. Una grande scalinata occupava tutto il palcoscenico. Suggestiva la
scena del parco: in una luce soffusa, sulle note cristalline dell’arpa posta in
cima alla scalinata che seguono le onde del mare proiettate sul velatino, due
fanciulle giocano a badminton, velatino che poi diventa un prato di enormi
margherite bianche prese da La Traviata
degli specchi di Svoboda. Inquietante la scena finale della morte di Edgardo
che si accascia sul sipario caduto dall’alto, mostrando una visione cimiteriale
di coristi a mezzo busto, allineati, sospesi nel vuoto, freddi ed immobili come
le statue.

Henning Brockaus ha curato regia
e luci, Benito Leonori ha ricostruito e variato le scene che Josef Svoboda
aveva creato per Macerata, Patrizia Toffolutti si è occupata dei costumi
(armature scure con elmetti argentati per il coro maschile, pastrani lunghi,
gilè e pantaloni alla zuava per gli uomini, semplici vestitini per Lucia in
verde e per Alisa in rosa, camicia da notte corta insanguinata per Lucia
assassina, abiti da sera per gli invitati alle nozze, doppio petto bianco per
Arturo di memoria petroliniana), Emma Scialfa delle coreografie un po’
scomposte.

Il Coro Lirico Marchigiano
“V. Bellini”, preparato dal maestro Pasquale Veleno, si è destreggiato bene sia
nel canto morbido delle pagine corali di grande presa ed alta estaticità sia in
quello sillabato (Come vinti da
stanchezza).
Cooproduzione coi teatri di
Cremona, Como, Brescia, Pavia, Fermo, Novara, Ravenna.
Foto Binci Teatro Pergolesi di Jesi e Elio Crociani
Sempre
per non dimenticare il passato.
Edgardo
è stato il ruolo principe del tenore marchigiano Mario Tiberini. Dal 1854 al
1873 l’ha cantato in 21 stagioni liriche in America e in Europa. Dal 1860 in poi ha avuto come
partner per Lucia la sua consorte, il soprano bergamasco Angiolina Ortolani, di
cui il prossimo anno ricorre il centenario dalla morte.
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