domenica 2 dicembre 2012

Iesi-Lucia di Lammermoor



Jesi Teatro Pergolesi 
 Lucia di Lammermoor di Donizetti
(25-11-12)

Anche i giovani possono essere grandi


Di Giosetta Guerra

Nel difficile ruolo di Edgardo si è esibito a Jesi Gianluca Terranova, il tenore che ha interpretato Caruso nella recente fiction televisiva. Terranova è un vero cantattore, è un bel giovane, è espressivo, si muove con padronanza del palcoscenico, ha una bella canna di voce che usa con generosità e con passione, il timbro è bello, lo squillo luminoso e robusto, l’emissione esuberante, la dizione chiara, l’accento eroico, il canto di fibra comunica il lacerato spirito di Edgardo e, una volta perfezionata la tecnica del canto sul fiato, riuscirà anche a trasmettere il pathos con l’uso della mezza voce e del canto a fior di labbro.

Il ventitreenne soprano georgiano Sofia Mchedlishvili (impossibile da pronunciare, dovrebbe prendere un nome d’arte) (Lucia) ha già dimestichezza con l’arte del belcanto, brilla nei virtuosismi, svetta negli acuti e sovracuti, esegue con facilità scale cromatiche, cadenze, riprese con variazioni, usa la messa di voce; la tecnica è ineccepibile, ma la voce, che diventa bella quando si espande nelle progressioni acute, ha bisogno di maturare e di acquisire spessore e pastosità nella zona medio grave.

Nella lunga scena della follia, introdotta e accompagnata nella cadenza dal suggestivo suono dell’arpa posizionata nel palchetto destro di proscenio, la Mchedlishvili, scarmigliata, sbaffata, spiritata, ha cantato anche sdraiata (Alfin son tua) accanto al cadavere di Arturo, che il regista ha fatto rotolare paurosamente giù dalle scale (che rotolone…era un figurante, che coraggio!).

Bravissimo Julian Kim, un ottimo baritono di soli 26 anni che nel ruolo di Lord Enrico Ashton si è imposto per bellezza, estensione e spessore vocali, per la morbidezza della linea di canto e per la sicurezza del gesto.

Grande voce tridimensionale dal timbro eroico, colore splendido, suoni ampi e rotondi, gravi pieni, formidabili acuti tenuti a lungo, canto sempre sul fiato con ottima proiezione del suono, dizione chiarissima, accento scolpito, prorompente ed energico nei duetti con Lucia, favoloso nella modulazione dei cantabili.

Il basso trentaseienne Giovanni Battista Parodi (Raimondo) ha una figura imponente,  canta la prima frase con voce poco ferma (Dolente vergin), ma poi gestisce con morbidezza un mezzo vocale ampio e corposo, di bel timbro scuro con note gravi consistenti; dovrebbe perfezionare il sostegno del suono e aprire di più il canto per non incupire i suoni. Il venticinquenne Alessandro Scotto Di Luzio (Arturo) è un tenore leggero acuto con buona dizione. Il ventiseienne mezzosoprano  Cinzia Chiarini (Alisa) ha voce robusta. Il ventottenne tenore fermano  Roberto Jachini Virgili (Normanno) ha esibito un bel timbro deciso e sicurezza del gesto.

Matteo Beltrami, alla guida della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana, è entrato or con enfasi or con morbidezza nelle pagine di grande musica, creando atmosfere musicali coinvolgenti e avvolgenti, lasciando spazio anche alle voci strumentali più scoperte (corno, arpa, flauto), ma anche non controllando a volte le alte sonorità.

L’impianto scenico era sulla linea delle altre due opere della stagione: uso di scenari neutri in maglia “psicoplastica” (come li aveva definiti Svoboda) per la proiezione di luoghi, ambienti e simboli (il mare, il sangue, una roccia impervia, le margherite, le candele) e trasparenti per la visione di posti e azioni in contemporanea (la preparazione delle nozze, le tombe), talvolta sollevati a metà per creare più profondità. Una grande scalinata occupava tutto il palcoscenico. Suggestiva la scena del parco: in una luce soffusa, sulle note cristalline dell’arpa posta in cima alla scalinata che seguono le onde del mare proiettate sul velatino, due fanciulle giocano a badminton, velatino che poi diventa un prato di enormi margherite bianche prese da La Traviata degli specchi di Svoboda. Inquietante la scena finale della morte di Edgardo che si accascia sul sipario caduto dall’alto, mostrando una visione cimiteriale di coristi a mezzo busto, allineati, sospesi nel vuoto, freddi ed immobili come le statue.


Henning Brockaus ha curato regia e luci, Benito Leonori ha ricostruito e variato le scene che Josef Svoboda aveva creato per Macerata, Patrizia Toffolutti si è occupata dei costumi (armature scure con elmetti argentati per il coro maschile, pastrani lunghi, gilè e pantaloni alla zuava per gli uomini, semplici vestitini per Lucia in verde e per Alisa in rosa, camicia da notte corta insanguinata per Lucia assassina, abiti da sera per gli invitati alle nozze, doppio petto bianco per Arturo di memoria petroliniana), Emma Scialfa delle coreografie un po’ scomposte.

Il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, preparato dal maestro Pasquale Veleno, si è destreggiato bene sia nel canto morbido delle pagine corali di grande presa ed alta estaticità sia in quello sillabato (Come vinti da stanchezza).

Cooproduzione coi teatri di Cremona, Como, Brescia, Pavia, Fermo, Novara, Ravenna.

 

Foto Binci Teatro Pergolesi di Jesi e Elio Crociani

Sempre per non dimenticare il passato.

Edgardo è stato il ruolo principe del tenore marchigiano Mario Tiberini. Dal 1854 al 1873 l’ha cantato in 21 stagioni liriche in America e in Europa. Dal 1860 in poi ha avuto come partner per Lucia la sua consorte, il soprano bergamasco Angiolina Ortolani, di cui il prossimo anno ricorre il centenario dalla morte.






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