mercoledì 20 febbraio 2013

Ancona-Teatro alle Muse - Madama Butterfly





Ancona - Teatro delle Muse “Franco Corelli”


Stagione lirica 2012/13

Madama Butterfly

nel nuovo allestimento della Fondazione Teatro delle Muse di Ancona

(Recita del 10 febbraio 2013)

Puccini entra più nelle orecchie che nel cuore

Di Giosetta Guerra

Il sipario è aperto e nei dieci minuti di ritardo per l’inizio dell’opera gli spettatori possono osservare la scena. Il palcoscenico è cosparso di petali rossi, al centro c’è una pedana lignea quadrata, alla quale si arriva tramite passerelle laterali verde scuro a linea spezzata, dalla botola centrale esce un figurante nero che si posiziona immobile al centro. Pinkerton in divisa bianca giunge dalla platea al primo attacco dell’orchestra e chiama i servitori per i bagagli. Lo guida un ossequioso e venale Goro, poi si presentano Suzuki con un kimono rosa antico (grigio e rosso scuro nel secondo atto) e Sharpless con un gessato chiaro, scarpe marrone, paglietta e bastone. Cio Cio San con ombrellino e kimono fiorito bianco e rosso entra preceduta da una fila di giapponesi con kimono grigio e ombrellino bianco. Anche lo zio Bonzo arriva dalla platea. La protagonista indossa un kimono di raso bianco per la notte di nozze, poi un abitino bianco all’occidentale e infine un kimono scuro.
Il popolo è vestito in varie gradazioni di grigio e ha i capelli neri acconciati alla giapponese.
Semplici arredi sono portati a vista, l’ombrellino simbolo del Giappone diventa ombrellone sopra una sdraio sulla quale Butterfly si adagia e una casetta in miniatura è spesso presente.
Il fondale assume colorazioni diverse in base ai momenti e agli accadimenti: chiaro, rosato, rosso sfumato, grigio, azzurro, color cipria, blu, celeste che sfuma al rosa, livido. Anche la pedana e le passerelle cambiano di colore.
 

L’area attorno alla pedana, inizialmente piena di fiori, nel secondo atto diventa un suggestivo e fantasioso mare di bandierine americane, mentre la pedana viene coperta da fiori rossi sparsi a mano dalle due donne o provenienti a pioggia dall’alto, poi, rimosse a vista ad una ad una tutte le bandierine e riposte in cassette da inservienti, compare uno specchio d’acqua in cui appaiono conficcate pedana e passerelle e si riflettono le immagini.
Bellissime le figure in controluce. Il decorativo e l’esotico sono presenti nelle scene, con base fissa, luminose e suggestive. Il regista rispetta la gestualità giapponese e la poetica delle piccole cose, ma compie una scelta orripilante alla fine: al momento del karakiri tiene il bambino di spalle in un angolo coi suoi giocattoli e dopo la morte della madre gli fa coprire con un lenzuolo il cadavere… della madre… Capite? Davvero raccapricciante! 
Regia, scene e luci sono opera di  Arnaud Bernard.

In Madama Butterfly il sentimento, che non è sentimentalismo, si esprime con una varietà di disegni strumentali e vocali mai sentiti prima di Puccini e l’originalità sta proprio nella ricchezza di sonorità cangianti e allusive che riescono a creare una sorta di osmosi tra personaggio e luogo scenico.
E per portare anche lo spettatore dentro questo cerchio fatato occorrono grandi interpreti.
Al teatro delle Muse di Ancona nel ruolo di Madama Butterfly Elena Popovskaya riesce ad esprimere la tinta pucciniana, la voce è di bel colore e abbastanza melodiosa, passa agevolmente dalla densità dei suoni medio gravi alla levità dei suoni acuti con linea di canto morbida, buon dosaggio del fiato, peccato che talvolta l’acuto sia gridato e la dizione incomprensibile. Inoltre la sua resa non è costante. Nella nota melodia “Un bel dì vedremo”, dopo l’attacco delicato, non riesce ad entrare nell’interiorità e nell’intensità della pagina, che esegue con potenza vocale, voce vetrosa, linea di canto poco omogenea, dizione zero; è più intensa nell’addio al figlio. Il soprano russo ha facilità nel canto a piena voce, ma corre il rischio di stringere i suoni e di essere monocorde; dovrebbe ammorbidire l’emissione, fraseggiare con maggior consapevolezza,  imparare la pronuncia. Udire delle urla, vedere gesticolazioni e non capirne il motivo è una vera tragedia.
Pinkerton ha la voce luminosa, anche se di grana un po’ aspra (“Dovunque al mondo”) e lo squillo bello e sostenuto del tenore Luciano Ganci, bravo nel canto lanciato, flebile nei pianissimi, impreciso nella pronuncia. Dopo un attacco morbido esegue l’aria “Bimba dagli occhi pieni di malia con voce rigida evitando a malapena una stecchina, canta bene a piena  voce “Addio fiorito asil”. La bruciante comunicativa della melodia attira sempre l’applauso.
I dialoghi tra lui e lei sono incomprensibili e spesso coperti dall’orchestra.
Il mezzosoprano Enkelejda Shkosa nel ruolo di Suzuki esibisce un denso corpo vocale, voce robusta e appoggi pieni, ma non si capisce niente.
Ci rincuora la dizione chiarissima di Gianfranco Montresor sia nel canto, che
nei recitativi di conversazione e nella lettura della lettera. Il baritono interpreta il ruolo di Sharpless con eleganza e compostezza, la voce risulta qui più chiara e di minor peso rispetto ad altri teatri o opere, ma il canto è sempre sul fiato, il suono è sostenuto e ben proiettato, il fraseggio espressivo, l’emissione ben dosata.
Goro è interpretato dal tenore Stuart Patterson, lo zio Bonzo da Gianluca Breda, un basso roboante che terrorizza tutti anche se non si capisce cosa dice, Kate Pinkerton ha la vocina tremolante del soprano Aliona Staricova, il principe Yamadori è Giacomo Medici, il commissario imperiale è Gianni Paci, lufficiale del registro Alessandro Pucci.

E chi era quel bravissimo, piccolissimo bambino?

Dal Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, preparato da Pasquale Veleno emerge la morbidezza della sezione femminile. Appena percettibile il coro a bocca chiusa eseguito con qualche incertezza fuori campo. Peccato!
Nessuno, tranne Montresor, ha una pronuncia comprensibile e in un’opera di conversazione non capire le parole è un vero problema.
L’acustica del teatro non rende giustizia a nessuno se non all’orchestra, la FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, che diretta da Renato Palumbo sviluppa i temi e le cellule melodiche della partitura, restituendo le giuste atmosfere e la tinta pucciniana. Il clima dell’opera, più che dai  personaggi, è delineato dalla musica: nel primo atto i suoni orchestrali sono morbidi, l’esotismo è evocato dalla tavolozza ritmica ed armonica di colorata varietà per la descrizione dei luoghi e dei personaggi minori, nel secondo il tessuto sonoro è pervaso da una musica armoniosa, è sospeso a un filo per la lettura della lettera, è coinvolgente e penetrante fin dalle prime note del coro a bocca chiusa, nel terzo atto la musica è ricca di colori, di paesaggi, di atmosfere, si passa dalla leggerezza delle volatine dei violini con dissolvenza del suono a densità sonore più calde fino al drammaticità del finale con sonorità alte ed ossessionanti.
 












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