Ancona - Teatro delle Muse “Franco Corelli”
Stagione lirica 2012/13
Madama Butterfly
nel nuovo allestimento della Fondazione Teatro delle Muse di Ancona
(Recita del 10 febbraio 2013)
Puccini entra più nelle orecchie che nel cuore
Di Giosetta Guerra
Il sipario è aperto e nei dieci minuti di ritardo
per l’inizio dell’opera gli spettatori possono osservare la scena. Il
palcoscenico è cosparso di petali rossi, al centro c’è una pedana lignea quadrata,
alla quale si arriva tramite passerelle laterali verde scuro a linea spezzata,
dalla botola centrale esce un figurante nero che si posiziona immobile al
centro. Pinkerton in divisa bianca giunge
dalla platea al primo attacco dell’orchestra e chiama i servitori per i
bagagli. Lo guida un ossequioso e venale Goro,
poi si presentano Suzuki con un
kimono rosa antico (grigio e rosso scuro nel secondo atto) e Sharpless con un gessato chiaro, scarpe
marrone, paglietta e bastone. Cio Cio San
con ombrellino e kimono fiorito bianco e rosso entra preceduta da una fila di giapponesi con kimono
grigio e ombrellino bianco. Anche lo zio
Bonzo arriva dalla platea. La protagonista indossa un kimono di raso bianco
per la notte di nozze, poi un abitino bianco all’occidentale e infine un kimono
scuro.
Il popolo è vestito in varie gradazioni di grigio e
ha i capelli neri acconciati alla giapponese.
Semplici arredi sono portati a vista, l’ombrellino
simbolo del Giappone diventa ombrellone sopra una sdraio sulla quale Butterfly
si adagia e una casetta in miniatura è spesso presente.
L’area attorno alla pedana, inizialmente piena di
fiori, nel secondo atto diventa un suggestivo e fantasioso mare di bandierine
americane, mentre la pedana viene coperta da fiori rossi sparsi a mano dalle
due donne o provenienti a pioggia dall’alto, poi, rimosse a vista ad una ad una
tutte le bandierine e riposte in cassette da inservienti, compare uno specchio
d’acqua in cui appaiono conficcate pedana e passerelle e si riflettono le
immagini.
Bellissime le figure in controluce. Il decorativo e
l’esotico sono presenti nelle scene, con base fissa, luminose e suggestive. Il
regista rispetta la gestualità giapponese e la poetica delle piccole cose, ma compie
una scelta orripilante alla fine: al momento del karakiri tiene il bambino di
spalle in un angolo coi suoi giocattoli e dopo la morte della madre gli fa
coprire con un lenzuolo il cadavere… della madre… Capite? Davvero raccapricciante!
Regia, scene e luci sono opera di Arnaud
Bernard.
In Madama Butterfly il sentimento, che non è sentimentalismo, si
esprime con una varietà di disegni strumentali e vocali mai sentiti prima di
Puccini e l’originalità sta proprio nella ricchezza di sonorità cangianti e
allusive che riescono a creare una sorta di osmosi tra personaggio e luogo
scenico.
E per portare anche lo
spettatore dentro questo cerchio fatato occorrono grandi interpreti.
Pinkerton ha la voce luminosa, anche se di grana un po’ aspra (“Dovunque al mondo”) e lo squillo bello e sostenuto del tenore Luciano Ganci, bravo nel canto lanciato, flebile nei pianissimi, impreciso nella pronuncia. Dopo un attacco morbido esegue l’aria “Bimba dagli occhi pieni di malia” con voce rigida evitando a malapena una stecchina, canta bene a piena voce “Addio fiorito asil”. La bruciante comunicativa della melodia attira sempre l’applauso.
Il mezzosoprano Enkelejda Shkosa nel ruolo di Suzuki
esibisce un denso corpo vocale, voce robusta e appoggi pieni, ma non si capisce
niente.
Ci rincuora la dizione chiarissima di Gianfranco Montresor sia nel canto, che nei recitativi di conversazione e nella lettura della lettera. Il baritono
interpreta il ruolo di Sharpless con eleganza e compostezza, la voce
risulta qui più chiara e di minor peso rispetto ad altri teatri o opere, ma il
canto è sempre sul fiato, il suono è sostenuto e ben proiettato, il fraseggio
espressivo, l’emissione ben dosata.
Ci rincuora la dizione chiarissima di Gianfranco Montresor sia nel canto, che nei recitativi di conversazione e nella lettura della lettera. Il baritono

Goro è interpretato dal tenore Stuart Patterson, lo zio Bonzo da Gianluca Breda, un basso
roboante che terrorizza tutti anche se non si capisce cosa dice, Kate Pinkerton
ha la vocina tremolante del soprano Aliona Staricova, il principe Yamadori è Giacomo Medici, il commissario imperiale è Gianni Paci, l’ufficiale del registro Alessandro Pucci.
E chi era quel bravissimo, piccolissimo bambino?
Dal Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, preparato
da Pasquale Veleno
emerge la morbidezza della sezione femminile. Appena percettibile il coro a bocca chiusa eseguito con qualche
incertezza fuori campo. Peccato!
Nessuno, tranne Montresor, ha una pronuncia
comprensibile e in un’opera di conversazione non capire le parole è un vero
problema.
L’acustica del teatro non rende giustizia a nessuno
se non all’orchestra, la FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, che diretta da
Renato Palumbo sviluppa i
temi e le cellule melodiche della partitura, restituendo le giuste atmosfere e
la tinta pucciniana. Il clima dell’opera, più che dai personaggi, è delineato dalla musica: nel
primo atto i suoni orchestrali sono morbidi, l’esotismo è evocato dalla
tavolozza ritmica ed armonica di colorata varietà per la descrizione dei luoghi
e dei personaggi minori, nel secondo il tessuto sonoro è pervaso da una musica
armoniosa, è sospeso a un filo per la lettura della lettera, è coinvolgente e
penetrante fin dalle prime note del coro a bocca chiusa, nel terzo atto la
musica è ricca di colori, di paesaggi, di atmosfere, si passa dalla leggerezza delle
volatine dei violini con dissolvenza del suono a densità sonore più calde fino
al drammaticità del finale con sonorità alte ed ossessionanti.
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