giovedì 14 agosto 2014

Torre del Lago, La Bohème



Torre del Lago Puccini

La Bohème con una grande Daniela Dessì
e le scene storiche 
di Ettore La Scola
Recensione di Giosetta Guerra
 
(26 luglio 2014)

Serata dedicata al grande tenore Carlo Bergonzi, scomparso la notte prima.

La pioggia è arrivata precisa all’ultima nota del primo atto, con conseguente intervallo di un’ora.

Mi chiamano Mimì, ma il mio nome è MELODIA”, così dovrebbe cantare la Dessì quando si presenta a Rodolfo nella soffitta sopra i tetti di Parigi, perché la sua magnifica voce è pura melodia, sia nel canto a fior di labbra, sia nelle grandi arcate melodiche, sia nel canto di conversazione, sia nelle struggenti arie di dolore e di abbandono. Il flusso sonoro pieno, continuo, pastoso, carezzevole, parla al cuore, proprio come voleva Puccini. Con fraseggio accurato e suoni ben dosati la Dessì fa uscire la psicologia del personaggio, con perfetta linea di canto tenuta sempre sul fiato, fluidità d’emissione e intenso modo di porgere realizza la tinta pucciniana.

Ed è proprio quella tinta che contraddistingue le opere di Puccini a dilatare la melodia fin dentro la tua testa e a farti sentire il nodo alla gola, ogni volta, ogni volta, ogni volta, se ciò non accade non si è ascoltato Puccini.

Daniela Dessì è la figlia prediletta di Puccini e si sente che lei lo ama profondamente.

 

Sarebbe stato magnifico se avesse avuto accanto un Rodolfo con la stessa fluidità d’emissione e con la stessa facilità di esplorare territori stellari; Fabio Armiliato è un bel bohémien che si destreggia bene vocalmente nel registro medio, ma ha affrontato di forza e con qualche difficoltà le frequenti impennate acute. 

 

Gli altri bohémiens hanno cantato bene; da sottolineare la vocalità importante e il bel colore scuro del basso Marco Spotti, che emerge in ogni frase di Colline e s’impone nella nota "vecchia zimarra", cantata con morbidezza d’emissione e fiati sostenuti,

 

l’estensione vocale e la spavalderia di Alessandro Luongo per Marcello, la bella voce ampia e ben gestita di Federico Longhi per Schaunard, la musicalità di Alida Berti per una frizzante Musetta. Squillante e pulita la voce acuta del tenore Ugo Tarquini (Parpignol), solida la vocalità e la tenuta scenica di Angelo Nardinocchi nel duplice ruolo di Benoit e Alcindoro. Il Sergente dei doganieri era Marco Simonelli e il doganiere Jacopo Bianchini.

Scanzonato e divertito il coretto dei bambini interpretato dal Coro delle voci bianche del Festival Puccini, preparato da Sara Matteucci. Bravo il Coro del Festival Puccini, diretto da Stefano Visconti.

L’Orchestra del festival è stata ben diretta dal maestro viareggino Valerio Galli.
La regia di Ettore Scola
aveva ovviamente un taglio cinematografico e la sua direzione ha lasciato ai cantanti la libertà di esprimersi. Nel Quartiere Latino a sinistra ha messo un pittore che ritrae una coppia seminuda per un petit déjeuner sur l’herbe.

Assistenti alla regia: Carlo Negro, Luca Ramacciotti. Aiuto regista: Marco Scola Di Mambro. Assistente scenografo: Francesco Catone.

La scenografia tradizionale dai colori caldi a dalle morbide linee architettoniche di Luciano Ricceri è composta di due elementi architettonici laterali fissi e di uno centrale girevole manualmente, per riprodurre gli interni decorati e gli esterni richiesti: l’abitazione su due piani dei bohémiens, la facciata del Café Momus e l’edificio del dazio con la vicina osteria.


 



I costumi d’epoca di Cristina Da Rold sono di bella foggia e prevalentemente scuri, anche quello rosso di Musetta con boa rosso vivo. Adeguate le luci di Valerio Alfieri.  

Peccato che non abbia funzionato la nevicata del terzo atto. E allora si è rimpianto Zeffirelli.












martedì 22 luglio 2014

MI - Teatro alla Scala LE COMTE ORY



Milano, Teatro alla Scala

Le Comte Ory di Rossini

Melodramma giocoso in francese con autoimprestiti da Il Viaggio a Reims.

Alla Scala l’opéra divertissement nella scialba lettura di Laurent Pelly.

(15 luglio 2014) 

A cura di Giosetta Guerra

Siamo piuttosto lontani dalle produzioni pesaresi de Le Comte Ory, quella storica di  Pizzi del 1984 con Rockwell Blake e Alessandro Corbelli e quella più recente di Lluís Pasqual del 2003 con Juan Diego Florez.
Florez doveva esserci anche nell’attuale edizione della Scala, ma dopo la prima ha cancellato tutte le altre recite a causa di una tracheite. A noi è dispiaciuto molto, a lui forse un po’ meno vista la produzione scialba e volgarotta, lontana dal suo stile.
Ci avrebbero incuriosito le sue nudità, ma ci saremmo sentiti a disagio anche noi nel vederlo conciato da santone selvaggio e trasandato nel primo atto e da monaca sbracata nel secondo e in atteggiamenti più sguaiati che erotici.
Laurent Pelly, responsabile di regia, scene e costumi, ha buttato sulla scena un conte seminudo, coperto solo nelle parti intime con brache  
bianche arricciate e gli ha messo in testa una parrucca bianca, tipo rasta, lunga fino alla vita. In mutande, in accappatoio, in posizione yoga su un podio tipo Budda davanti alla fila di gente che gli chiede la grazia, o in abiti monacali per introdursi nelle stanze della contessa, le Comte è il prototipo del nobile frivolo e scanzonato che ha in testa una sola cosa, il sesso, solo che in questa edizione non ha nulla di nobile.
L’ambientazione del primo atto è brutta, è una piccola e scialba palestra, usata anche come teatrino, con bar annesso. Le persone sono vestite in modo squallido, moderni abiti plebei. Nel secondo atto c’è una visione cinematografica degli interni del palazzo della contessa, le scene che scorrono oltre lo spazio scenico mostrano in successione la cucina, la camera e perfino il bagno, a volte si vedono due stanze insieme per le azioni in contemporanea di persone non dialoganti tra di loro. Una bellissima idea. Divertente la scena a tre sul letto della contessa, che, nascosta dalle lenzuola, scivola lentamente a terra, lasciano l’ignaro Conte tra le braccia riluttanti di Isolier.
Regia ripresa da Christian Räth, luci generiche di Jöel Adam.
Nel ruolo protagonista del Comte Ory Colin Lee si destreggia bene sia teatralmente che vocalmente, canta bene, ha una vocalità di bel timbro, solida anche negli slanci acuti (cavatina Que le destin prospère”, che riprende l’aria di Madama CorteseDi vaghi raggi adorno” dal Viaggio a Reims), ma la solidità e la brillantezza del suono non durano fino alla fine, dove alcuni suoni sono un po’ stretti in gola.
Morbidezza, agilità e robustezza degli acuti e sovracuti contraddistinguono il duetto con Isolier  Une dame de haut parage”, dove il mezzosoprano Chiara Amarù (Isolier in pantaloni e giubbetto di pelle) si distingue per pastosità e morbidezza del suono, incisività d’accento, sicurezza d’emissione e facilità di salire alla tessitura acuta.
La Comtesse de Formoutier, introdotta da un dolcissimo intermezzo orchestrale, si presenta con un soprabito bianco. La sua fantastica aria d’ingresso sospirosa e languorosa  En proie à la tristesse” (ripresa dall’aria della Contessa di Folleville del Viaggio a ReimsPartir, o ciel, desio”) è ricca di trilli e sbalzi, scale ascendenti e discendenti, appoggiature, picchiettati, acuti e sovracuti con crescendo orchestrali.
Pretty Yende, un soprano di colore e di coloratura dalla bellissima voce, la interpreta con intensità d’accento, colori densi e sonorità scintillanti, ma deve perfezionare gli acuti iperbolici. Il suo duetto con l’eremita è pervaso dai fumi dell’erotismo.
Il basso Roberto Tagliavini è un Gouverneur apprezzabile in ogni senso, ha voce importante, ampia, duttile e di bel colore, con belle sonorità e buoni gravi, buon sostegno del suono anche nelle grandi arcate, pronuncia chiara e padronanza del palcoscenico, oltre a una bella figura  (cavatina “Veiller sans cesse” con cabaletta “Cette aventure” che riprende quella di Lord Sidney).
Raimbaud ha la bella voce baritonale di Nicola Alaimo, padrone del palcoscenico, che si destreggia bene nel sillabato buffo dell'aria “Dans ce lieu solitaire (copia dell’aria di Don Profondo “Medaglie incomparabili” del Viaggio).
Marina De Liso (Ragonde) ha una buona voce ma i suoni sono un po’ chiusi.
Nelle parti minori: Rosanna Savoia Alice, Massimiliano Difino Gérard, Michele Mauro Mainfroy, Maria Blasi, Marzia Castellini, Massimiliano Difino, Emidio Guidotti, Devis Longo les Coyphées.
Non manca il temporale rossiniano, qui posto all’inizio del secondo atto, che è un vero temporale in orchestra, l’Orchestra del Teatro alla Scala, diretta con mano leggera da Donato Renzetti, si gonfia nel concertato con coro del finale atto primo “Ciel! Ô terreur extrème…Venez, amis”, che riprende il “Destino maledetto” del Viaggio. Il Coro del Teatro alla Scala, molto compatto e sonoro nella sezione maschile e delizioso nelle pagine corali femminili, è diretto da Bruno Casoni.



credit Brescia/Amisano Teatro alla Scala








domenica 13 luglio 2014

Torre del Lago Festival Puccini 2014, comunicato



TORRE DEL LAGO

FESTIVAL PUCCINI

60^ edizione

a cura di Giosetta Guerra
  
La 60.a edizione del Festival dedicato al Maestro Puccini, a 90 anni dalla sua scomparsa, propone quattro nuovi allestimenti.
Madama Butterfly, a 110 anni dalla prima, (25 luglio, 1, 8, 16, 24 agosto) con Micaela Carosi, Amarilli Nizza e Silvana Froli (Cio Cio San), Rame Lahaj (Pinkerton), Giovanni Meoni (Sharpless) e Renata Lamanda (Suzuki).
Sul podio alla guida dell’Orchestra e del Coro del Festival Puccini il gradito ritorno di un grande direttore, Daniel Oren, raffinato interprete dello stile pucciniano, che cederà la sua bacchetta a Francesco Ivan Ciampa per l’ultima recita.
L’anniversario sarà celebrato con un nuovo allestimento curato da Renzo Giacchieri a cui sono affidate scene, costumi e regia e realizzato in coproduzione con ABAO
OLBE Asociación Bilbao de Amigos de la Ópera di Bilbao, dove lo spettacolo andrà in scena nel febbraio 2015. Nell’allestimento di Giacchieri, tolti i veli di un oleografico Giappone, troveremo i segni chiari, evidenti e puntuali del Giappone, così come i segni delle due culture contrapposte ed inconciliabili, dove però la farfalla tradita non volerà verso un fondale dipinto, confondendo il suo sangue con il decoro laccato, ma libererà il suo dolore, ancora vanamente cercando quel “fil di fumo”, volando sulle acque tranquille del lago di Massaciuccoli così caro al Maestro, rendendosi in questo modo immortale.
La Bohème (26 luglio, 2, 10, 15, 22 agosto) sarà diretta da uno dei più grandi registi del Cinema italiano, Ettore Scola, che celebra con la 60.a edizione del Festival Puccini i suoi 50 anni di gloriosa carriera. Scola darà una lettura nuova e diversa del capolavoro pucciniano, coadiuvato dalle scene dell’amico e collaboratore di sempre Luciano Ricceri e dai costumi di Cristina Da Rold. Sul podio Valerio Galli, apprezzato e raffinato interprete dei capolavori pucciniani, nato nella Terra di Puccini e che a Torre del Lago ha visto il suo importante debutto come direttore prima di approdare su palcoscenici internazionali.
Per la Bohème un cast d’eccezione: la favolosa coppia Daniela Dessì nei panni di Mimì e Fabio Armiliato in quelli di Rodolfo, Alessandro Luongo come Marcello, Alida Berti per Musetta e Marco Spotti nel duplice ruolo di Benoit e Alcindoro.
Turandot (9, 14, 17, 23, 29 agosto) in un nuovo allestimento per la 60.a edizione del Festival; regia, scene e costumi sono affidati ad un eclettico artista, cresciuto professionalmente a Torre del Lago, Angelo Bertini, al suo debutto nella regia.
La bacchetta sarà affidata ad un direttore di sicura esperienza, già direttore artistico del Festival Puccini, Marco Balderi.
Nel ruolo della principessa di gelo due straordinarie interpreti, la grande Giovanna Casolla e la bravissima Lise Lindstrom, mentre Calaf sarà interpretato da Walter Fraccaro e Lorenzo De Caro. Nel ruolo di Liù il gradito ritorno di un’artista della Terra di Puccini, Serena Farnocchi.
Il Trittico (3, 7, 21, 30 agosto), tre atti unici Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi, torna ad essere rappresentato integralmente a Torre del Lago dopo 40 anni e andrà in scena nell’Auditorium del Teatro di Torre del Lago intitolato ad Enrico Caruso.
Alla messa in scena de Il Trittico la Fondazione Festival Pucciniano, da sempre attenta a favorire le carriere di giovani artisti che hanno la possibilità di prepararsi e farsi conoscere nel contesto di un Festival che richiama pubblico da tutto il mondo, ha dedicato speciali attività di formazione e perfezionamento. Un’attenzione verso i giovani che la Fondazione ha voluto sintetizzare nel Progetto Puccini 2.0, scegliendo regista, scenografo e costumista tramite una selezione pubblica. Ad aggiudicarsi il Bando per l’ideazione dell’opera è stata la proposta di un gruppo di donne, guidato dal Monica Bernardi, che ha firmato le scene, con lei Carla Conti Guglia assistente alla scenografia e ai costumi, Selene Farinelli per il progetto di regia del Tabarro, Vittoria Lai e Giorgia Guerra per la regia di Suor Angelica, Elena Marcelli per la regia di Gianni Schicchi e Lorena Marin per i costumi.
Nelle 4 rappresentazioni del Trittico si alterneranno sul palcoscenico, i giovani cantanti dell’Accademia a fianco di grandi artisti quali Amarilli Nizza nei tre ruoli femminili, Alberto Mastromarino nel ruolo di Michele e il grande Rolando Panerai nei panni di Gianni Schicchi. Sul podio a dirigere i tre titoli il maestro Bruno Nicoli.
Il Festival di Torre del Lago ospita anche due interessanti produzioni provenienti dall’estremo Oriente.
Dal Giappone l’opera Junior Butterfly (unica rappresentazione 13 agosto) di Shigeaki Saegusa, compositore e artista di punta del mondo culturale giapponese.
Un’opera con cui Saegusa propone di osservare il secondo conflitto mondiale con lo spirito e gli strumenti del 21° secolo. L’opera, già rappresentata in prima assoluta per tutto il mondo a Torre del Lago nel 2006, torna quest’anno con il libretto tradotto in italiano.
Il libretto è di Masahiko Shimada, scrittore giapponese tra i più stimati della nuova generazione che firma anche la regia. L’opera è il sequel di Madama Butterfly e racconta la storia di suo figlio, Dolore, americano a tutti gli effetti, che viene mandato dal suo
governo in Giappone con un incarico di informazione bellica. A Kobe si innamora di una giovane donna giapponese di nome Naomi. Il Progetto, ambizioso e riuscitissimo, vede in scena artisti italiani e artisti giapponesi e si è realizzato grazie alla forte volontà del Governo giapponese, dell’Istituto di Cultura Giapponese in Italia e del Festival Puccini.   Sul podio a dirigere l’Orchestra del Festival Puccini l’apprezzata bacchetta di Naoto Otomo, mentre troviamo nel ruolo del titolo il giovane tenore Angelo Fiore e in quello di Naomi Shinobu Sato. Completano il cast Mayuko Sakurai (Suzuki), Valentina Boi (la
Suora), Vincenzo Serra, Federico Longhi, Vejo Torcigliani e Pedro Carrillo. Il coro
Giapponese di Roppongi è formato da liberi professionisti ed esponenti del mondo politico giapponese appassionati d’opera.
Gran Gala dell’opera Coreana (28 agosto) al Gran Teatro Giacomo Puccini.
Lo spettacolo nasce dalla collaborazione tra Fondazione Festival Pucciniano e Beseto Opera, organizzazione coreana che ha prodotto nel 2013 Turandot andata in scena con straordinario successo a Seoul nell’ambito di una felice collaborazione tra le due istituzioni. Una serata per l’anniversario dei 130 anni dell’avvio dei rapporti diplomatici tra Italia e Corea del Sud vede protagonisti i migliori solisti dei teatri d’opera della Corea del Sud, l’Orchestra del Festival Puccini, il Coro del Festival Puccini e il Coro dell’Opera
Nazionale coreana. Direttore Marco Balderi.
E per non farci mancare nulla il palcoscenico di Puccini ospiterà il 29 luglio il balletto con la star della danza Roberto Bolle e alcune grandi stelle dell'American Ballet, tra cui i Principal Julie Kent, ballerina simbolo della Compagnia e Daniil Simkin, famoso per i suoi eccezionali salti e considerato uno dei più virtuosi danzatori nell’attuale panorama mondiale, insieme ad altri straordinari artisti provenienti dalle più importanti Compagnie europee. Étoile della Scala di Milano e Principal Dancer dell'ABT di Ny, Bolle si presenta al pubblico di Torre del Lago con un gala rinnovato nel programma che comprende assoli e passi a due tratti dal repertorio dei grandi coreografi moderni e contemporanei.
Infine il 18 agosto sul palco del Gran Teatro all’aperto Giacomo Puccini di Torre del Lago salirà Massimo Ranieri con lo spettacolo Sogno e Son Desto.
 
Fondazione Festival Pucciniano
Gran Teatro all’Aperto Giacomo Puccini
via delle Torbiere
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T+39 0584 350567
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sabato 28 giugno 2014

Firenze – Un addio alla grande al Teatro Comunale, sede storica di prestigiosi spettacoli.

 

L'amour des trois oranges 

di Sergej Prokof'ev,

tratta dalla fiaba di Carlo Gozzi, 

nuovo allestimento in lingua francese.

(1 giugno 2014)


 

Recensione di Giosetta Guerra

Molto movimento e tantissimi personaggi divisi in buoni e cattivi, come in ogni fiaba, giocati sull’ironia e su una comicità che non scade mai di tono. Da bravissimi attori sono tutti entrati nel gioco scenico e si sono mossi ed espressi con naturalezza e con spontaneità, arricchendo di persona il personaggio delineato dal regista, un vero lavoro d’équipe.Eccezionali i costumi per fantasmagoria dei colori, originalità delle linee, caratterizzazione delle fogge, accuratezza dei dettagli.Il cast, affiatatissimo, anche vocalmente si destreggia bene tra le maglie elaborate della partitura.

La voce più bella e più interessante è quella del basso francese Jean Teitgen (Le Roi de Trèfles); oltre ad autorevolezza vocale, ampiezza e rotondità ragguardevoli, il basso sa ammorbidire i suoni ed ha un bel modo di fraseggiare e di porgere.

Le Prince, gravemente malato d’ipocondria, è portato in scena in pigiama bianco e corona in testa su un letto bianco d’ospedale con delle aggiunte atipiche, ed è interpretato  dal tenore Jonathan Boyd; la scrittura musicale di questo ruolo non è facile, perché segue l’umore del personaggio, che non ha una linea di canto melodica  e ha qualche atonalità, pertanto il tenore si esprime inizialmente con un canto lamentoso e strascicato, a volte anche in falsetto, poi fa uscire una bella vocalità robusta ed estesa con un ottimo sostegno del fiato anche nelle frequenti progressioni acute.
Scenicamente sicura negli abiti da cavallerizza della cattiva Princesse Clarice (nipote del re con aspirazioni regali), Julia Gertseva è un mezzosoprano sonoro, incisivo ed esteso. 

Il primo ministro Léandre, suo complice nella congiura contro il re, ha la voce poco corposa ma ben gestita del basso Davide Damiani.









Pantalon, fedele confidente del re, è portato in scena con mimica e gestualità ridicolizzate da un mefistofelico Leonardo Galeazzi con barba e capelli bianchi e di rosso vestito; il baritono esibisce una bella voce ampia ed estesa e canta bene.

Il comico Trouffaldino, una sorta di Arlecchino in bianco e nero e faccia bianca, chiamato, purtroppo inutilmente, dal re per far ridere il Principe, non poteva avere miglior interprete di Loïx Félix, tenore leggero acuto contraltino, magnifico saltimbanco e cantante versatile.

Chi invece fa ridere inavvertitamente il principe è proprio colei che si presenta indesiderata e con intenti malefici alla festa organizzata da Trouffaldino, la perfida Fata Morgana, sostenitrice di Léandre; Trouffaldino la spinge per cacciarla e lei rotola a terra provocando una sonora risata del principe. In questo ruolo apprezziamo una magnifica Anna Shafajinskaia, bella donna fisicamente sexy e provocante in body nero e strascico per mostrare le sue grazie, che si muove tra le luci rosse del mistero e presta una voce lanciata di soprano drammatico ad un ruolo 

ridicolizzato.

 

Suo compagno è il mago buono Tchélio, ben presentato con voce robusta dal baritono Roberto Abbondanza con cappello e mantello nero e fuxia.Dentro la prima melarancia c’è la principessa Linette, cantata da Martina Belli mezzosoprano esteso dal suono un po’ chiuso, nella seconda c’è Nicolette, impersonata dal  soprano Antoinette Dennefeld, le due muoiono per mancanza di acqua; nella terza c’è Ninette interpretata da Diletta Rizzo Marin, soprano melodioso dai lunghi fiati.


Per la Cuisinière si è scelta la versione più fiabesca dell’orco cattivo, perché la interpreta un uomo, in più gigantesco, in più con voce di basso dai gravi un po’ sfocati, in più vestito da gallina con un grande mestolo in mano;  Kristinn Sigmundsson è favoloso in questo ruolo.

Larissa Schmidt, mezzosoprano esteso dal bel suono, è una frizzante Sméraldine nera col gonnellino di paglia; il diavolo Farfarello bardato da aviatore è il baritono Ramaz ChikviladzeLe Maître de Cérémonies è Andrea Giovannini e Le Héraut è Karl Huml.

Artem Terasenko, Yerzhan Tazhimbetov, Edoardo Ballerini, Sung-Cehn Kang, Silvano Bociai, Lukas Zeman e Dielli Hoxha, sette allievi del Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze,  e i professionisti Alessandro Calamai, Saverio Bambi e Dario Shikhmiri sono les Ridicules.
Gestualità comica anche per le masse, impersonate dal Coro del Maggio Musicale Fiorentino, di grande peso vocale e teatrale, ben preparato dal M° Lorenzo Fratini.

Ma la vera star della serata è il giovane regista sudafricano con radici anconetane Alessandro Talevi, che sfoggia idee fantasmagoriche, creatività esilarante, consapevolezza e meticolosità nel delineare un mondo fiabesco tra il grottesco e l’assurdo, pur non completamente avulso dalla realtà, di non facile rappresentazione, senza mai scadere nella volgarità e nel caricaturale. Bravissimo nel gestire e nel caratterizzare una gran massa di gente, ha idee geniali e fresche, che ci riportano al sarcasmo di Dario Fo e al movimento di Michieletto, idee che non sono mai estemporanee ma determinate da una profonda conoscenza della materia. Una regia divertente e raffinata che non si è fatta mancare niente. La lettura e l’interpretazione del regista hanno sempre una giustificazione concreta, perché scaturiscono dalla conoscenza e dalla riflessione.
Supportato dalla dotta e fiabesca scenografia di Justin Arienti, dalle appropriate fantastiche luci di Giuseppe Calabrò, che fa uso anche dell’occhio di bue e di faretti puntati dall’alto, dai meravigliosi caratteristici costumi di Manuel Pedretti, ha allestito uno spettacolo fantastico, degno di essere riproposto in altri teatri. Un vero trionfo.

L’impianto scenico è particolare: ai lati modernissime impalcature di metallo come habitat delle masse, al centro il boccascena di un teatrino baroccheggiante che s’illumina a tratti nei contorni e che apre e chiude il sipario, come si faceva nella commedia dell’arte, per il cambio dell’azione, del fondale e della scena, 

carte geografiche prima dell’Europa poi del continente americano proiettate sul fondo; colpi di scena per l’ingresso dei due maghi (nel buio a destra e a sinistra del teatrino 
all’improvviso s’illuminano tra fumi sinistri due porte da cui escono due scale per la discesa in campo della magia, accompagnata da musica pesante e guizzi e strappi in orchestra; riferimento ai cartoni animati per i mascheroni vestiti da oggetti da cucina e 
la terribile cuoca trasformata in gallina, 

ma la scena più esilarante è quella del viaggio dall’Europa all’America mimato dal Principe, Truffaldino e Farfarello alla ricerca delle tre melarance, di cui il principe si è innamorato su maledizione di Fata Morgana, mentre un aereo biplano evidenziato dall’occhio di bue percorre la sua rotta sul fondale (una scena da “Piccolo Principe”, veramente geniale) tra le nuvole portate di corsa da figuranti attraverso il palcoscenico come nelle comiche. Le tre melarance poi sono bellissime, filigranate, trasparenti, illuminate, più uova di Pasqua che arance, ed è giusto perché all’interno c’è la sorpresa. 

La scena più shoccante che ci ha fatto esclamare “OOOOOOHHH” è il ritorno all’aspetto umano di Ninette, che la maga aveva trasformato in topo per sostituirla con Smeraldine che sarebbe andata in sposa al Principe riluttane: al momento delle nozze un’enorme inquietante coda di topo esce dal sipario del teatrino, il mago l’afferra, la tira e cade il sipario lasciando apparire la vera principessa in un biancore scintillante (un vrai coup de théâtre).
Assistente regista Silvia Paoli.
La musica fortemente descrittiva delle situazioni, e quindi brillante, tronfia, guizzante, dissonante, ironica, greve, sospesa, irruente, cadenzata, delicata, ritmata, di difficile esecuzione per i tempi che il “pianista” Prokof'ev ha conferito alla partitura orchestrale, è eseguita con precisione e vigore dall’Orchestra del Teatro Comunale di Firenze, diretta dallo slovacco Juraj Valčuha, esaltando e completando la godibilità dell’aspetto visivo dell’opera. Ne esce uno spettacolo veramente bellissimo, che vorrei rivedere.
Un grande successo.















sabato 7 giugno 2014

Modena, Teatro Comunale “LES PÊCHEURS DE PERLES”



Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti

 “LES PÊCHEURS DE PERLES”

Opéra-lyrique in tre atti. Libretto di Eugène Cormon e Michel Carré.

Musica di Georges Bizet

 



13 aprile 2014

Servizio di Giosetta Guerra


Opéra ballet visivamente suggestiva

 
Léïla è interpretata da Nino Machaidze, soprano di coloratura dal corpo vocale di bel colore e spessore consistente usato con leggerezza, suoni belli ma poco articolati nella parola, per cui la dizione è incomprensibile, incisive le puntature acute nel canto di furia;  nell’aria “Comme autrefois” con arcate dei violoncelli, nonostante la messa di voce, i filati e il buon uso del fiato, non restituisce la soavità dell’aria, brava nei gorgheggi.
 
Nadir è Jesús León, tenore chiaro con voce aspra, estesa verso l’alto e povera nei gravi, vocalità un po’ stirata, che si ammorbidisce nella famosa aria “Je crois entendre encore”, aria dolcissima, soavissima, cantata benissimo sul fiato con finale lunghissimo sfumato.
Nel duetto col soprano “Ton coeur n’a pas compris le mien” introdotta da un assolo di clarino, lui ha buon accento, lei è più manierata e con una linea di canto un po’ strana, fatta di canto sottovoce e non a mezza voce, seguito da slanci staccati, più che l’intensità del canto nel loro duetto c’è il ricamo del clarinetto, l’orchestra è attraversata dall’ondata del peccato dopo il disvelamento di lei.
Il baritono Vincenzo Taormina (Zurga)  ha voce ampia, buone sonorità centrali e corrette progressioni acute perché canta sul fiato,  sostiene bene i suoni, ma pronuncia "i" le "e" e accentua i finali.
 
Nourabad  è Luca Dall’Amico, basso di bel timbro, bei suoni gravi, rotondità e consistenza del suono.
Il Coro del Teatro Regio di Parma, diretto dal bravissimo Maestro Martino Faggiani, è quasi sempre presente in scena e fuori scena, intensamente coinvolto canta molto bene, esprime una coralità vasta e coinvolgente, che si addolcisce nel canto sospeso a mezza voce.
L’ Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna è diretta da Patrick Fournillier: morbidezza degli archi nell’Ouverture, musica sospesa e dilatata con qualche esplosione, strumenti solisti spesso scoperti, orchestrazione a tratti pesante ed elaborata.
La lentezza dei movimenti asseconda la dilatazione della musica.

 
Il sipario si apre su un magnifico paesaggio con dune azzurre e corpi seminudi distesi, luccichii di cristalli di sabbia sul pavimento, suggestivi quadri d’insieme con luci pastello che cambiano colore, scena piuttosto generica con poche variazioni: una grande testa che rappresenta il tempio in rovina dove lei è prigioniera, un cielo nero punteggiato di stelle, un albero al posto della statua di Brahma. 

 
Nude look per il corpo di danza, piuttosto agitato, costumi chiari per il coro, esotici nella foggia, nelle stoffe e nel colore per tutti.   Molto colore ed effetto cromatico fantastico. Veli, colori, movenze e disposizione delle masse ci ricordano Pier Luigi Pizzi.




Regia di Fabio Sparvoli, scene di Giorgio Ricchelli, luci di Jacopo Pantani, costumi di Alessandra Torella, coreografie di Annarita Pasculli.

 
Foto Rolando Paolo Guerzoni – Teatro Comunale di Modena