L’opera di
Wolf-Ferrari in scena a Jesi dopo 90 anni di assenza
Un “Segreto di
Susanna” di alta qualità
chiude
in bellezza
il raffinato Festival dell’Opera da camera
Servizio di ANTONIO
REVELLI


È
la vera opera da camera quella che si
è vista a Jesi tra maggio e luglio nel cartellone della Rassegna “Concerto a Palazzo”, al cui interno gli
appuntamenti specifici sono stati giustamente raggruppati e identificati come Festival
dell’Opera da camera. “Vera” non solo per l’alta qualità artistica
delle sue produzioni, ma perché proposta nel modo migliore in cui tale
particolare tipo di teatro in musica dovrebbe essere declinato per sua natura
d’arte e anche per fedeltà al tipo di fruizione riferita alla sua stessa
concezione compositiva. Gli spettacoli del Festival si caratterizzano infatti per
una rara scelta di proposta, che assume essa stessa un preciso stimolo
culturale: i luoghi di rappresentazione delle produzioni sceniche non sono
teatri, ma i “saloni della musica” dei più bei palazzi storici di Jesi,
ripristinando l’uso antico di assistere a spettacoli in ambienti raffinati e in
un’atmosfera di assoluta intimità con gli artisti come può avvenire solo in
condizioni “di sala” o di “camera”. Un recupero delle condizioni di fruizione
d’arte e di condivisione sociale dell’evento che rimanda all’epoca
pre-istituzionale del teatro d’opera, quando al suo nascere come fenomeno
espressivo nei primi anni del ‘600 non esisteva ancora lo spazio teatrale
deputato come lo conosciamo oggi, ma il suo luogo esecutivo era all’interno dei
palazzi aristocratici, con necessità sceniche adeguate alla logistica della
sala e per platee contenute, per privilegiare il contatto diretto tra
spettatori e interpreti. Una caratteristica importantissima, questa, che
connota il Festival jesino come esperienza artistica e produttiva unica nel suo
genere, pertanto di interesse e attenzione nazionale. Poche altre istituzioni
della penisola propongono questo genere in miniatura, molte lo fanno quasi
sempre con magniloquenza espressiva e profusione di allestimento come se si trattasse
di grand-opéra, snaturando così lo
spirito stesso della composizione. Prodotto dalla Fondazione “Alessandro
Lanari” con il sostegno di Comune di Jesi, Provincia di Ancona e vari sponsor
privati, il Festival –direttore artistico Gianni
Gualdoni- si è articolato in diversi palazzi antichi con appuntamenti
concertistici e scenici, toccando l’apice anche logistico proprio nella parte
strettamente operistica: il meraviglioso scrigno rococò di Palazzo Pianetti ha
visto infatti rappresentare per la prima volta a Jesi il delizioso intermezzo “Pimpinone”
di Tomaso Albinoni, mentre il raffinato Palazzo Colocci ha chiuso il Festival
venerdì 19 luglio con una chicca novecentesca, “Il segreto di Susanna” di
Ermanno Wolf-Ferrari, evento nell’evento perché appositamente per l’occasione è
stato aperto al pubblico il piano nobile di Palazzo Colocci altrimenti non
visitabile. Debuttata a Monaco di Baviera nel dicembre del 1909, l’opera era
stata in scena a Jesi una sola volta, nel corso della
Stagione lirica del Teatro “Pergolesi” del 1923 con il celebre baritono
Benvenuto Franci; merito culturale del Festival è pertanto l’averla riproposta
al pubblico del territorio dopo 90 anni di assenza, bissando in tal modo la
rarità produttiva già mostrata con la prima assoluta locale di “Pimpinone”.


“Il segreto di Susanna” è un delicato capolavoro di teatro da
camera che erige a modello “La serva
padrona” di Pergolesi,
ma la cui scrittura, di stretta relazione fra testo, musica e gesto teatrale,
ne fa, secondo il celebre direttore Felix
Mottl che ne diresse la prima, «l’opera più wagneriana che io
conosca». Wolf-Ferrari (1876-1948) è un compositore di valore, per lungo tempo colpevolmente
dimenticato sebbene importante nel panorama compositivo italiano del
Novecento: ugualmente distaccato dalle avanguardie militanti come da esiti
veristi, nel corso di un’intensa attività di scrittura ha trovato una sua nuova
moderna e autonoma cifra espressiva; insieme alle
opere su argomento goldoniano, “Il segreto di Susanna”, qui
proposta nella versione per pianoforte, brillante e quanto mai intima,
particolarmente adatta al luogo di rappresentazione,
è un altro capitolo del lavoro dell’autore per il recupero e il rilancio delle
forme di nobile divertimento dell’antico “spirito italiano” del teatro, in
questo caso attraverso una vicenda di ambientazione moderna. Gil e Susanna sono una coppia di giovani aristocratici appena sposati, il
cui matrimonio è però messo in fibrillazione dalla gelosia di lui che teme di
avere un rivale nel cuore della bella moglie; alla fine, dopo divertenti
malintesi e confronti anche sanguigni con la consorte, scoprirà che Susanna
cova sì un segreto, che non è però un amante bensì “il vizio” del fumo, a cui a
sua volta, per amore di lei, Gil si adeguerà facendosi egli stesso fumatore.
In
scena, nella perfetta ambientazione “naturale” del Palazzo, si è esibita una
coppia di artisti di grande qualità e prestigioso nome, Paola Quagliata e Carlo
Morini, che ha offerto un’interpretazione raffinata e convincente,
scenicamente impeccabile e musicalmente in ruolo, a proprio agio sia nei
momenti di aperta cantabilità che nelle pagine di più difficile scrittura della
partitura, che riserva passaggi di notevole difficoltà vocale.
Assai incisivo Morini, soprattutto nei momenti di
concitazione in cui trova sfogo la tensione della gelosia, con un timbro
brillante e una qualità vocale che unisce potenza e ampia tavolozza di colori
espressivi.
Notevole la sensibilità musicale della Quagliata, sia nella dinamica incalzante del dialogo che nei
momenti di delicato effluvio melodico che la partitura riserva al soprano in
vari momenti di raccoglimento e d’intimità espressiva.
Di grande efficacia la
regia di
Gianni Gualdoni, tanto
asciutta nel racconto scenico quanto ricca e fluida nello svolgimento di
un’azione che il libretto rende a volte complicata e di non facile gestione.
Tutto sembrava “naturale”, quasi si guardasse da vicino un momento di vera vita
privata all’interno di una coppia reale e concreta: e questo, forse, per tale
tipo di opera è il miglior complimento che si possa fare ad un progetto
registico. Un pubblico motivato ha gremito la sala e tributato agli artisti un
consenso convinto, fatto di numerose insistenti chiamate a fine spettacolo.
Menzione d’obbligo a Jacopo Mancini,
adattissimo attore nei panni di Sante,
a Giuliana Gualdoni per i costumi di
notevole eleganza e raffinatezza, a Silvia
Ercolani nel difficile ruolo di concertazione al pianoforte.

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