lunedì 28 maggio 2012





La Dirindina 
di Domenico Scarlatti
(domenica 6 maggio alle 17.30)

Recensione di Giosetta Guerra
Ultimo titolo della Rassegna “Musica a Palazzo”, promossa dalla Fondazione “Lanari” per la direzione artistica di Gianni


 Gualdoni, La Dirindina di Domenico Scarlatti viene rappresentata nella Sala Maggiore del Palazzo della Signoria, primo luogo teatrale di Jesi nel 1500 e ora sede della Biblioteca. Certo gli spazi per muoversi sono esigui, ma è così che si faceva anche un tempo, quando gli intermezzi venivano performati nella sala di un palazzo nobiliare nel bel mezzo di una festa, non di rado licenziosa (vedi il film Casanova di Fellini).
Il regista Gianni Gualdoni riporta quindi questa farsetta per musica ai suoi luoghi e ai suoi tempi, coadiuvato visivamente dai bellissimi e tipici costumi settecenteschi (parrucche e trucco compresi), disegnati e realizzati da Giuliana Gualdoni, usa con intelligenza lo spazio riservato alla scena, posizionando un unico grande tavolo sopra una pedana al centro e l’ensemble strumentale da un lato. Attento ai dettagli nei gesti, nella mimica, nelle posture, sulla linea del puro divertimento che non scade nel buffonesco, il regista guarda con sottile ironia i personaggi, che si muovono con estrema naturalezza.
Perfettamente calati nei loro ruoli, i tre protagonisti si esprimono con maestria anche vocalmente. Il basso buffo Lucio Mauti (Don Carissimo, maestro di cappella pedante e bacchettone) evidenzia un corpo vocale consistente ed esteso, dal colore bellissimo e screziato, il soprano Paola Quagliata (Dirindina, sua allieva mediocre ed ambiziosa), agilissima nelle fiorettature dello stile fiorito del primo Settecento, usa con gusto una voce piena e brillante,  il sopranista Angelo Bonazzoli nel ruolo di Liscione, evirato cantore abile e spregiudicato, un tempo appannaggio di un castrato, molto affettato nei modi come da libretto, è abbastanza sciolto, nonostante un mezzo vocale piuttosto flebile, una tecnica d’emissione e linea di canto da perfezionare. Tutti hanno una dizione chiara e, proprio per rendere comprensibile la pronuncia anche del sopranista, il regista opta per i suoi recitativi quasi parlati, riservando l’uso del suo timbro a momenti ridicoli e caricaturali. Ottima la recitazione e la caratterizzazione gestuale dei personaggi, che in spazi più grandi avrebbero fatto faville.
Lodevole  l’esecuzione dell’Orchestra da camera del Teatro Lirico Sperimentale delle Marche, con il basso continuo realizzato al cembalo da Andrea Zepponi (che ha bei  momenti solistici) e al violoncello da Jacopo Mariotti, e con Claudio Mercanti (viola), Paola Ottavi e Marco Fabio Cola (violini), ensemble strumentale che ricrea suoni e atmosfere della musica settecentesca, molto gradevole e ben strutturata nei vari movimenti.

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