domenica 6 marzo 2016

Cattolica, Teatro della regina, La Cenerentola

Cattolica, Teatro della Regina

 LA CENERENTOLA  
di Gioachino Rossini

(28 febbraio 2016)

Recensione di Giosetta Guerra

Passione e spirito d'avventura guidano un gruppo di artisti più o meno giovani che da qualche anno, capeggiati da un inossidabile Ripesi, allestiscono opere liriche tra le Marche e la Romagna. I principali teatri che li ospitano sono La Fenice di Senigallia, il Raffaello di Urbino e La Regina di Cattolica, e proprio di ospitalità si tratta perché non sempre la compagnia riesce a portare a casa le spese, ma tanta è la passione e la convinzione che l'opera vada portata ovunque che prevale lo spirito d'avventura nel rispetto della dignità.
La Cenerentola di Rossini presentata al Teatro della Regina di Cattolica nel pomeriggio del 28 febbraio 2016 ha dimostrato quanto possa fare un gruppo di persone determinate e quanto potrebbe fare di meglio se avesse a disposizione tempo, denaro e personale e quindi maggior attenzione da parte delle istituzioni, che dovrebbero avvalersi, anche per la loro immagine, di queste forme di volontariato.
Con la brillante regia di Roberto Ripesi, ma anche affidandosi al loro estro per mancanza di prove, tutti gli artisti si son mostrati abili nell'arte del canto e dell'interpretazione, hanno vivacizzato i personaggi di carattere senza calcare la mano, tranne un paio di gag osé di Dandini, hanno superato con la tecnica alcuni passi di maggior difficoltà vocale.
Vocalmente si è distinta Julija Samsonova-Khayet nel ruolo di Cenerentola per un particolare colore ambrato della voce, dal suono denso e rotondo nelle tessiture media e grave, in grado di espandersi nella luminosità del registro acuto, di modulare e ammorbidire con grazia, di superare con naturalezza le "cento trappole" del difficile canto di coloratura.
Daniele Girometti, marito di Julija Samsonova-Khayet nella vita, pur non essendo un baritono prettamente rossiniano, ha affrontato bene il ruolo di Dandini, con voce bella, sonora, duttile ed estesa, e con padronanza scenica.
Dotati di consolidata tecnica di canto i due veterani del palcoscenico, Patrizio Saudelli e Roberto Ripesi.
Patrizio Saudelli, tenore di grazia dal timbro chiaro, nella parte di Ramiro ha evidenziato accurato modo di porgere e capacità di affrontare il registro acuto e sovracuto anche con suoni tenuti.

Il basso Roberto Ripesi, vero animale da palcoscenico, è un Don Magnifico magro e scattante, con capigliatura bianchissima e mimica naturale. Vocalmente è come il vino doc, migliora col tempo, la voce è infatti ancora ampia, robusta e agile nel sillabato, il suono è pieno e la dizione chiara. Qualche scollamento con l'orchestra nei sillabati stretti si sarebbe evitato con qualche prova in più.
Basterebbe un paio di mensilità di un parlamentare per tenere impegnati due giorni in più una ventina di persone.


Il soprano Anna Caterina Cornacchini come Clorinda e il mezzosoprano Daniela Bertozzi come Tisbe sono state due sorellastre teatralmente ineccepibili, agitate, scontrose, litigiose, altezzose, la loro voce dal timbro leggero era a volta coperta dal suono orchestrale.

 Il baritono Massimiliano Mandozzi ha cantato bene la parte del barbuto Alidoro con un frac abbondante, il timbro è chiaro, ma i gravi sono buoni e poi c'è ovviamente una bella apertura in acuto. Ha cantato bene anche iCoro Città Futura di Vallefoglia, scenicamente poco curato.
I volonerosi Cameristi del Montefeltro formavano l'Orchestra, affossata troppo in basso, diretta dal M° Stefano Bartolucci posizionato troppo in alto. Ben eseguita la Sinfonia con appropriati interventi strumentali solistici, qualche sonorità alta in corso d'opera, ma in generale la prova è stata soddisfacente.
I costumi erano belli, ma di fogge e stili differenti.
La scenografia, su bozzetto di Cristina Cicetti e realizzata da Leonardo e Gianmarco Bordi, era la parte più artigianale dell'allestimento: una sorta di parete a semicerchio di media altezza sì da tagliare le figure, per entrambi gli ambienti, con un camino e qualche screpolatura nell'intonaco 
per la cucina (ma don Magnifico non era povero)
 
e con quadri e intonaco intatto per la sala del ballo, era piuttosto naïve, 
ma dava comunque il senso di apertura e di ampiezza dello spazio. E poi c'erano i sopratitoli, come nei grandi teatri. WOW!
Applausi meritati, pubblico soddisfatto.


Un augurio di maggior attenzione da parte degli organi istituzionali preposti alla cultura.






 

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