martedì 17 novembre 2015

Ancona alle Muse FALSTAFF

Ancona, Teatro alle Muse

Molto colore per Falstaff


(23 ottobre 2014)
di Stefano Gottin
Proprio un bel Falstaff (ovviamente di Verdi) quello proposto dalla Fondazione Teatro delle Muse di Ancona quale secondo titolo della breve stagione lirica 2015.
La produzione era quella di “Ravenna Festival”, con regia e ideazione scenica di Cristina Mazzavillani Muti, light designer Vincent Longuemare, scene di Ezio Antonelli, costumi di Alessandro Lai, visual designer Davide Broccoli.
Bello spettacolo, si diceva, tradizionalmente padano con le sue osterie, i vini e i salumi, con la casa natale di Verdi, alle Roncole, a fare da sfondo all’inizio del terzo atto, col busto del Gran Vecchio che troneggiava sulla destra del palcoscenico, quindi il romantico giardino della Villa di Sant’Agata con la fuga dei pioppi che a perdita d’occhio si sperdono nelle nebbie della “bassa”.
Falstaff, ultima opera di un Verdi ottantenne, giovane, scattante, di una lucidità impressionante nell’imbastire, con il librettista Arrigo Boito, questa sua unica opera comica (a parte il giovanile e sfortunato Un Giorno di Regno), tutta impregnata di significati che sarebbe stucchevole e pretenzioso cercare di riepilogare, perché i capolavori nascondono tra le loro pieghe sempre qualcosa di nuovo cui non avevi pensato e che mai avresti immaginato. Falstaff, remake shakespeariano da fare invidia a Shakespeare, e non sarebbe la prima volta se è vero, come è vero, che il grande Lawrence Olivier, dopo un Otello verdiano al Covent Garden (con Tito Gobbi come Jago), ebbe a dire che non sarebbe più riuscito a pensare all’omonima tragedia di Shakespeare senza tenere conto dell’opera di Verdi.
Verdi, assoluto genio del teatro che solo dopo il Falstaff (Teatro alla Scala, 9 febbraio 1893), commedia lirica paragonabile solo a Die Meistersinger von Nürnberg di R. Wagner, precedente di un trentennio, trova il coraggio di definire se stesso musicista, finalmente consapevole della tanta sapienza e ricchezza musicale profusa in questa opera in tre atti, dallo straordinario passo teatrale e dotata di un’incredibile caratterizzazione dei personaggi chiamati a rappresentare tutte le età della vita e tutti gli strati sociali.
Buona era la direzione del maestro Nicola Paszkowski a capo della persuasiva FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, attenta alle dinamiche e varia nei timbri, sempre scattante e “a piombo”. Positiva anche la prova del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” sotto la guida di un’istituzione come il maestro Carlo Morganti.
Ad Ancona sir John Falstaff era Kiril Manolov, baritono dall’ottima dizione e dotato di una voce facile e importante, come la presenza fisica, in tutto coerente col ruolo. Una gradita sorpresa era rappresentata dal baritono Federico Longhi, che come Ford ha esibito una voce nettamente sopra la media per volume e morbidezza, ma anche una capacità interpretativa per dare il giusto risalto e le necessarie sfumature a un personaggio che vuole gabbare Falstaff per sentirsene poi gabbato e perciò trascinato nei gorghi di un’immotivata gelosia verso la moglie Alice, per poi ricredersi ma tornare gabbato per mano della figlia Nannetta che giustamente vuole sposare il giovane Fenton, ch’ella ama, e non lo stridulo e attempato Dr. Caius come il padre invece vorrebbe.
Ottima Mrs. Alice Ford nell’interpretazione del soprano Eleonora Buratto, ricca di verve e di classe, sicura vocalmente, bella a vedersi, così da poterla annoverare tra i migliori soprani lirici del momento. Ugualmente sugli scudi le altre Comari di Windsor: Mrs. Meg Page interpretata dall’avvenente mezzosoprano Anna Malavasi, dotata di voce assai bella e in ordine, ormai avviata a una luminosa carriera sui principali palcoscenici internazionali; gustosissima la Mrs. Quickly ottimamente resa dal mezzosoprano dal colore contraltile Isabel De Paoli, spiritosa e caricaturale nei limiti di un gusto inaffondabile; fresca e sicura la Nannetta del soprano Damiana Mizzi che ha saputo capitalizzare la difficile ma anche remunerativa aria del Terzo Atto “Sul fil d’un soffio etesio”
Positiva anche la prova del tenore Giovanni Sebastiano Sala come Fenton, sufficientemente sicuro vocalmente e in grado di gestire con coerenza scenica e con elegante fraseggio il giovanile e pur aggraziato ardore di un personaggio poco più che adolescente. Ottimi anche i caratteristi Giorgio Trucco quale Dr. Cajus, Matteo Falcier quale Bardolfo e Graziano Dallavalle come Pistola.
Eccellente, alla fine dell’opera, la risposta del pubblico, davvero caloroso dopo la “stretta” che chiude la magistrale e salace fuga “Tutto nel mondo è burla”, che sempre mi commuove pensando che si tratta delle ultime note che Verdi ha composto in un’opera, genere teatrale e musicale che, senza Verdi, non sarebbe ciò che è…..come, del resto, l’Italia, che trova nel Genio di Busseto una delle figure più alte e nobili.


foto di Silvia Lelli











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