giovedì 20 febbraio 2014

Ferrara - La Cenerentola


Ferrara Teatro Comunale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Cenerentola di  carnevale 

con l’ammiccante regia di Lorenzo Regazzo 

e la splendida voce di Chiara Amarù

Melodramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti  

musica di Gioachino Rossini

  (7 febbraio 2014, prima)

Recensione di Giosetta Guerra

 

A Carnevale ogni scherzo vale 

e se gli scherzi sono

di buon gusto son anche graditi.

La prima cosa che colpisce all’inizio dell’opera, e viene confermata in itinere, è la magnifica acustica del Teatro Comunale di Ferrara: i suoni orchestrali e le voci girano lungo le pareti e arrivano allo spettatore come se fossero amplificati, invece non lo sono.
La Sinfonia d’inizio è stata intelligentemente eseguita a sipario chiuso, come ormai non si fa più; l’Orchestra Città di Ferrara, diretta da Sergio Alapont, ha diffuso un bel suono pulito sia nelle trasparenti leggerezze delle arie amorose che nella brillantezza dei sostenuti crescendo.
La voce dell’Amarù, che sentivi in tutta la sua corposa morbidezza come se l’avessi a dieci centimetri di distanza, era una vera delizia. Cenerentola era infatti quella magnifica giovane belcantista che si chiama Chiara Amarù, autentico mezzosoprano rossiniano dal corpo vocale consistente ed esteso, duttilissimo nella coloratura e nei salti d’ottava, dal caldo timbro brunito, dagli affondi morbidi e dalla luminosità degli acuti, il tutto corredato da una perfetta emissione dei suoni, un raffinato fraseggio, un corretto modo di porgere e una dizione chiarissima.



Purtroppo il principe non era alla sua altezza. Il tenore cinese Ly Yuan (Don Ramiro) ci è sembrato totalmente fuori ruolo, non per padronanza scenica che c’era, ma per mancanza di tecnica e per una pronuncia terrificante; la voce è robusta e di timbro chiaro, ma non si capisce che uso ne voglia fare il tenore, se non quello di far colpo con gli acuti tenuti; agilità saltellanti e staccate, alcuni acuti sbiancati in falsetto, suoni stretti e nasali in ascesa e ingolati in discesa, fino al limite dell’intonazione, lasciano capire che lo stile rossiniano non è ancora nelle sue corde.

 


Invece Clemente Daliotti (Dandini), pomposo nel canto e nel gesto, ha esibito voce ampia, sonora, ben messa, bei gravi, belle agilità, dimestichezza col canto veloce e col palcoscenico.  
Umberto Chiummo (un Magnifico istrione in scena), ha fatto uso di una bella voce di basso, ampia e sonora, ma dovrebbe raffinare la linea di canto; Fabrizio Beggi (Alidoro) ha evidenziato una vociona di basso dal bel timbro, ampia ma poco duttile, suoni rotondi e robusti, ma un po’ aspri.

 


Caterina Di Tonno (Clorinda) è un soprano scintillante dalla bella voce agile e ben usata, Elisa Barbero (Tisbe) ha usato con proprietà una buona voce di mezzosoprano.
Bellissimo l’amalgama sonoro del coro maschile, il Coro Voxonus preparato da Alessandro Toffolo.
Ma l’aspetto più geniale di questo allestimento è stata l’idea registica di caricare i caratteri senza uscire dal seminato e di aggiungere un personaggio muto senza compromettere la storia.
Il regista Lorenzo Regazzo (sì, proprio lui, il basso), coadiuvato da Guia Buzzi per scene e costumi e da Roberto Gritti per le luci, ha costruito uno spettacolo piacevole e divertente, dominato dal colore e dalla fine caricatura, in tema col periodo di carnevale, come i costumi, certo sopra le righe, ma adeguati ai caratteri.




Ecco quindi che Don Magnifico è un fan di Elvis Presley, di cui tiene una sagoma a dimensioni umane in casa e si veste e si muove come lui (parrucca da giovane rokkettaro, completi colorati con pantaloni a zampa d’elefante, magliette con l’immagine di Elvis e camicia gialla con ruches), le due sorellastre con parrucche esagerate esibiscono con disinvoltura le loro rotondità sia in sottoveste che dentro abiti arzigogolati e fronzolosi, Cenerentola ha una semplice vestaglietta quando sta in casa a stirare, un abito lungo rosso per la festa a palazzo
e infine un tailleur rosa quando diventa principessa con la corona in testa, Dandini è l’unico personaggio d’altri tempi con parrucca bianca e scarpe bianche stile settecento (ma il vestito è di raso azzurro, quindi carnevalesco), Alidoro ha una giacca bianca a coda e pantaloni argento da mago, gli altri indossano abiti attuali, Don Ramiro e il coro hanno abiti scuri con camicie colorate. E poi c’è il personaggio aggiunto: un azzimato e servizievole maggiordomo, vestito da pinguino, che porta oggetti a questo e a quello, insistendo sulla scarpetta di cristallo che porta ripetutamente in scena
su un cuscino e che nessuno vuole perché in quest’opera Cenerentola ha come oggetto di riconoscimento lo smaniglio e non la scarpetta. Interprete eccezionale di questo maggiordomo è lo stesso Lorenzo Regazzo con quella mimica facciale e gestuale che conosciamo. La sua regia è un garbato ed ironico mixage di trovate, che soltanto un maestro di palcoscenico come lui poteva scovare tra le pieghe di un’opera che lui ha più volte interpretato come cantante. Una lode in più al regista per non aver movimentato i concertati.
Le scene coloratissime come i luoghi delle favole erano veramente belle ed eleganti con pochi elementi funzionali: un divano letto giallo e rosso appoggiato ad una parete con carta floreale da parati azzurra e fuxia, una cucina con pareti azzurre, una credenza, un asse da stiro e tanti panni da stirare, una scala azzurra, e qualche porta da sbattere.


Elementi che cambiavano colore all’occorrenza 

dietro un curatissimo disegno luci. 

Uno spettacolo veramente bello, che rivedrei cambiando tenore.
 

Coproduzione Teatri e Umanesimo Latino S.p.A. -

Treviso e Fondazione Teatro Comunale di Ferrara

 


foto di Marco Caselli Nirmal



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