Fano Teatro della Fortuna
4 e 5 gennaio 2014
Una produzione del
Teatro Eliseo in collaborazione con Fuxia contesti d’immagine
Prima del silenzio
di Giuseppe Patroni Griffi
con Leo
Gullotta ed Eugenio Franceschini
e le video apparizioni di Paola Gassman, Sergio Mascherpa e Andrea Giuliano
e le video apparizioni di Paola Gassman, Sergio Mascherpa e Andrea Giuliano
regia Fabio Grossi
video Luca Scarzella
musiche Germano Mazzocchetti
disegno luci Umile Vainieri
risoluzione scenica Luca Filaci
disegno audio Franco Patimo
assistente regista Mimmo Verdesca
video Luca Scarzella
musiche Germano Mazzocchetti
disegno luci Umile Vainieri
risoluzione scenica Luca Filaci
disegno audio Franco Patimo
assistente regista Mimmo Verdesca
Recensione di Giosetta
Guerra
Parola e azione tra il reale e il virtuale
Prima del silenzio è un’opera teatrale
scritta nel 1979 da Giuseppe Patroni Griffi per Romolo Valli, che la interpretò
egregiamente e morì dopo la recita per incidente stradale.
Il
protagonista è un anziano poeta chiuso nel suo mondo coi ricordi del passato
che spesso assumono i connotati dell’incubo, l’unico rapporto con la realtà è
l’amicizia di un ragazzo che vive a casa sua.
La
differenza generazionale è spesso motivo di scontro: la parola contro l’azione,
il vagheggiare “pallido e assorto” contro la vivacità e l’immediatezza
dell’agire, la sensibilità e le insicurezze contro il cinismo e la
spregiudicatezza, e viceversa, tuttavia i due, forse legati da un sentimento
che va oltre l’amicizia, riescono a stemperare proprio nello scontro, che è poi
un confronto, le loro morbosità. Ma più il poeta che il ragazzo, perché, mentre
per il poeta il ragazzo è, come ultima fase della vita, un’ancora cui
aggrapparsi per dare una forma di concretezza alla sua esistenza stretta dentro
una torre d’avorio, per il ragazzo il poeta è una fase iniziale della vita e
quindi trampolino di lancio verso il mondo che sta fuori della torre e che
l’aspetta con tutti i suoi rischi e le sue malie. È evidente che il rapporto
non dura e chi ne esce con le penne strappate è ovviamente l’anziano poeta, non
tanto per la fine di un’amicizia, quanto per quella porta sbattuta sulle sue
illusioni. E qui sta l’attualità e l’immortalità del testo. Ogni persona nasce
e muore sola, ma vive anche sola pur a fianco di altri; l’amore, l’amicizia, i
rapporti interpersonali sono parentesi, sono attimi che arricchiscono e
aiutano, ma ai quali non ci si può aggrappare, perché nessuno può contare su
qualcuno in modo esclusivo e duraturo e, in fondo, non ne ha neanche il
diritto. Quindi delusioni, pretese, gelosie, senso del possesso sono solo
sintomi d’insicurezza. Nulla è per sempre, perciò godiamoci le nostre
parentesi. Non è pessimismo, è concretezza.
Tutto
questo ci ha trasmesso l’interpretazione magistrale di due bravissimi attori
sul palcoscenico del Teatro della Fortuna di Fano: Leo Gullotta ed Eugenio
Franceschini.
Nel
lungo travagliato dialogo, che diventa quasi un cervellotico monologo perché il
ragazzo risponde a tratti, riaffiora tutto il suo vissuto (che compare in
proiezioni), una sorta di rilettura senza possibilità di correzioni.
Bravissimo
Leo!
Gli
sta a fianco il giovane Eugenio
Franceschini, che a soli 22 anni ha una padronanza scenica, una scioltezza
del gesto e una fluidità di recitazione da grande attore. E poi è bellissimo:
un viso pulito e maschio su un fisico scolpito mozzafiato e ben dotato, che non
ci è dispiaciuto vedere <nature> sotto la doccia proiettata sul velatino. A lui sono
toccate le scene più osées, come quella dell’autoerotismo, a dire il vero un
po’ troppo lunga fino ad essere per noi imbarazzante, praticato, per finta
naturalmente, sul divano girato all’indietro con un’arte attoriale superba sì
da farlo sembrare vero. L’attore ha voce decisa e di bel timbro e ben ci sta
nel ruolo di un giovane cinico, sfrontato, egocentrico, sicuro di sé, ma soprattutto
libero.
La
scena è un cubo vuoto con pareti delimitate da tubi al neon che cambiano
colore, al centro in alto il titolo al neon, un velatino ogni tanto scende per
rendere ancor più impenetrabile l’ambiente e permettere doppie proiezioni,
l’unico arredo è un divano rosso vintage,
dove i due si siedono, si sdraiano, da soli o insieme, mimano l’azione dei
rematori come se quello fosse una barca e si sente il fruscio del mare che
compare sul fondale con riflessi argentei e si
polverizza sul velatino, viene poi aggiunto un tavolo con libri, culla della parola, perché “la vita è parola”, ma, se la parola non è capita, naufraga, si disintegra e una pioggia di lettere dell’alfabeto, senza senso perché isolate, invade il palcoscenico. Bellissima scena.
polverizza sul velatino, viene poi aggiunto un tavolo con libri, culla della parola, perché “la vita è parola”, ma, se la parola non è capita, naufraga, si disintegra e una pioggia di lettere dell’alfabeto, senza senso perché isolate, invade il palcoscenico. Bellissima scena.
Certo
le trovate registiche di Fabio Grossi
sono intelligenti e spettacolari, ma la più sorprendente è la scelta di far
interloquire i presenti con gli assenti che sono visivamente ma non
concretamente presenti e parlano, si muovono e rispondono al poeta, dando vita
ad un dialogo dell’assurdo che vive solo nella mente disturbata del poeta. Sono
le persone del passato che riaffiorano e incombono come fantasmi, la moglie, il figlio, il cameriere, e si
moltiplicano, s’ingigantiscono, si uniscono, assumono forme distorte, fino a
soffocarlo, persone dalle quali il poeta si difende dicendo “Non so chi siete, non vi conosco”.
Nelle
vesti dell’altera e distaccata moglie compare in immagini in 3D una
straordinaria Paola Gassman, nel ruolo del figlio piccolo
borghese c’è Andrea Giuliano e in
quello del venale cameriere Sergio
Mascherpa. Una trovata veramente geniale. Il tutto supportato dal
suggestivo disegno luci di Umile
Vainieri e da musiche appropriate scelte da Germano Mazzocchetti (gli altoparlanti erano posizionate lungo il
boccascena).
Nessun commento:
Posta un commento