Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti 2013
Teatro Donizetti
MARIA DE RUDENZ
Dramma tragico in tre parti, libretto di Salvadore
Cammarano, musica di Gaetano
Donizetti
(20
settembre 2013, prima)
Di
Giosetta Guerra
Maria
de Rudenz è l’opera della follia, l’amore non è fonte di felicità, ma latore di
gelosia, furore e vendetta, i protagonisti sono al di fuori di ogni schema
naturale, basti pensare che Maria ha lo strano privilegio di morire tre volte,
ritornando in vita le prime due per completare la sua vendetta, sentimento
dominante della sua vita, pur essendo monaca, che la porta ad essere assassina
e suicida.
Cammarano aveva tratto l’argomento dal terrificante dramma francese “La nonne sanglante ” di Anicet Bourgeois
e Julien De Mallian, ma non lo aveva edulcorato abbastanza, infatti quel
romanticismo nero non era piaciuto ai suoi contemporanei e la prima dell'opera alla Fenice di Venezia il 30 gennaio 1838 fu un vero
fiasco, anche se la musica di Donizetti era curata in ogni dettaglio.
Il compositore, nonostante una certa riluttanza
verso tale romanticismo esagerato e febbrile,
trovò nelle convulsioni dell’amore e della gelosia e nel furore della vendetta lo
spunto per dare via libera alla sua vena creativa, sperimentò soluzioni
melodiche inusuali per descrivere le lacerazioni interiori dei personaggi,
caricò di sussulti la tensione di un canto estremo.
Forse
è proprio questo clima allucinato a guidare la lettura del regista Francesco Bellotto, che sottolinea l’alienazione
mentale dei personaggi, lo stesso tenore che si esibisce seduto su una sedia a
rotelle per un reale infortunio, contribuisce ad accentuare le stranezze di
questa gabbia di matti.
In
apertura di scena suore nere e bianche si muovono lente su e giù per le scale
cantando “Laude all’eterno amor primiero”
al suono dell’organo, mentre in basso un malato giace su una lettiga e riceve
le cure di una suora e di un infermiere che arriva con un carrello e materiale
ospedaliero. Il malato scalzo e con lo sguardo assente, vestito di bianco come
i pazienti di un manicomio, è Corrado, forse rimasto sconvolto da ciò che aveva
combinato nell’antefatto dell’opera (Corrado era
fuggito in Italia con l'amata Maria, negatagli in sposa dal padre di lei, poi,
temendola infedele, l’abbandonò nelle catacombe romane), e in preda a costanti visioni di Maria da sola o col
presunto amante, materializzate in figure in controluce, proiezioni o
apparizioni lampo. L’opera è di difficile comprensione, ricca
di rimandi a fatti accaduti, fortunatamente la regia pulita e non cervellotica, anche se incentrata sulla follia dei
personaggi, di Francesco Bellotto ci fa comprendere il travaglio interiore dei
protagonisti che si esprimono con una gestualità marcata e una vocalità tutta forza e sussulti. Le
scene chiare e luminose e i bellissimi costumi bianchi o neri di
Angelo
Sala contribuiscono

a restituire l’immagine di un’esistenza senza colore, di rosso c’è solo il
sangue, le eteree proiezioni e le luci spettrali di Claudio Schmid acuiscono il contrasto tra il chiaro e lo scuro.
Vocalmente
i protagonisti sono chiamati ad un canto estremo, che i cantanti sostengono con
sicurezza fino alla fine.
Dario Solari (Corrado Waldorf) ha voce robusta di baritono, suoni pieni e sonori, con belle arcate nel raccontar la storia al fratello Enrico e un bel fraseggio nei cantabili larghi al pensiero della sua nuova sposa Matilde, di cui è innamorato anche Enrico. Intensa l’interpretazione.
Enrico è appannaggio di Ivan Magrì, un tenore dalla vocalità di
bel timbro, spinta e sicura anche nelle proiezioni acute e sovracute. L’accento
incisivo e i suoni sostenuti non gli impediscono di usare il canto a mezza voce
(“Talor nel mio delirio ”), la dizione
è chiara.


Il canto di Maria è quasi sempre di forza, ma Maria Billeri sa unire potenza e morbidezza, acuti aggressivi e mezze voci carezzevoli, piegando una voce lanciata di soprano lirico spinto alle esigenze di un canto melodioso. “Sì, del chiostro penitente ” è una bella prova di belcanto con trilli, variazioni, slanci acuti e sovracuti, scale discendenti, suoni densi e pastosi. “Il tuo core a me togliesti ” è un brano infuocato per la furia di Maria che canta a scatti scale discendenti sopra un’orchestra prepotente, il coro e le altre voci.
La supplica a Corrado di tornare con lei è una
pagina di alta poesia e lei la rende con tenerissima linea di canto, poi
diventa una furia spietata. Quello di Maria è un ruolo terribile, che Maria Billeri sostiene con rigore vocale
e proprietà interpretativa fino alla fine.

L’ Orchestra del Bergamo Musica Festival, sotto la
guida sensibile di Sebastiano Rolli,
restituisce la ricchezza dei colori e delle emozioni di questa bella partitura.
Il coro, distribuito in modo artistico, è stato ben
preparato da Fabio Tartari.
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