domenica 20 gennaio 2013

L'enfant prodigue e Cavalleria rusticana







ANCONA TEATRO DELLE MUSE


STAGIONE D’OPERA 2013

 

UN DITTICO INUSUALE…AL BUIO…O QUASI. 

Croci e crocefissi dappertutto anche in posti poco ortodossi

 

(domenica 13 gennaio 2013)

Di Giosetta Guerra

La Stagione Lirica 2012/13 di Ancona, curata dalla Fondazione Teatro delle Muse con la direzione artistica del Maestro Alessio Vlad, si è aperta venerdì 11 gennaio alle 20.30 e domenica 13 gennaio alle ore 16.00 con il dittico L’enfant prodigue di Claude Debussy e Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni.

L'enfant prodigue (1884), cantata per soli e orchestra su libretto di Edouard Guinand, è una composizione che Debussy fece a 22 anni a conclusione degli studi al Conservatorio di Parigi, fu rappresentata all’Académie de Beaux Arts e valse al musicista il "Prix de Rome".
Cavalleria Rusticana (1890), opera in un unico atto, su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, tratto dalla novella omonima di Giovanni Verga, musicata da Mascagni ventisettenne, vinse il concorso indetto dalla Casa Sonzogno.
Altri connotati in comune sono la religiosità e la brevità: la prima è la parabola del figliol prodigo tratta dal Vangelo di Luca e dura 35 minuti, la seconda si svolge nel giorno di Pasqua e dura 70 minuti.
Sul piano operativo il nuovo allestimento dei due lavori ha avuto in comune alle Muse regia, scene e luci di Arnaud Bernard, la direzione musicale di Carla Delfrate alla guida della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana e il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” preparato da Pasquale Veleno.
Con lettura attenta e fin troppo equilibrata Carla Delfrate ha guidato la brava orchestra nelle atmosfere rarefatte della musica di Debussy e nella temperie lirico/drammatica della musica di Mascagni.
La musica de L'enfant prodigue ha già lo stile del Debussy più noto: sopra un tessuto sonoro  sospeso si libra un fluttuare ininterrotto di aeree linee melodiche che ora crescono d’intensità, ora si arricchiscono di elementi giocosi e di varietà di colori espressi dai differenti timbri strumentali.
La musica di Cavalleria Rusticana ha pagine musicali distese di seducente bellezza, come il noto Intermezzo, e si esprime con vigore ed esuberanza nella descrizione del vero e del quotidiano.

Nella Cantata di Debussy alla levigatezza della musica fa da contraltare l’asperità del canto: il soprano Elisabetta Martorana (la madre Lia) esibisce suoni densi da mezzosoprano, il tenore Davide Giusti (il figliol prodigo Azaël) ha una bella voce che usa bene e con generosità, i loro acuti sono sempre tesi; il baritono Gianfranco Montresor (il padre Siméon) tiene un’emissione morbida e dizione francese chiara.


In Cavalleria Rusticana la tipologia vocale di stampo verista porta alcuni cantanti, specialmente i tenori, ad emettere suoni aperti, a cantare col fiato e non sul fiato, trascurando la “maschera” nel passaggio alla tessitura acuta, con il rischio che la voce a forza di tirare si spezzi. È quanto è successo al tenore  Kamen Chanev (Turiddu), che già nella Siciliana fuori campo esibisce quella che sarà la sua linea di canto per tutta l’opera, emissione di gola e di fibra, declamato a mezza voce fatto sottovoce, acuti tesi, fino a steccare l’acuto nell’addio alla madre (era logico, l’avevo capito fin dall’inizio che sarebbe finita così), eppure la voce c’è ed è di bel timbro e non sarebbe difficile imparare una tecnica giusta. Boh!
Gianfranco Montresor (Alfio) ha invece una buona linea di canto e usa in modo espressivo una bella voce di baritono.
Magnifico il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” specialmente nella sezione maschile che ha voci di grande spessore, quella femminile dovrebbe ingentilire la zona acuta.
Tra le donne c’è una gran confusione di registri. Lucia dovrebbe essere un contralto e qui Giovanna Donadini non si capisce cosa sia perché è una Lucia piuttosto sfiatata, Lola dovrebbe essere un mezzosoprano e Aliona Staricova è un soprano, corretta nel canto ma di poca presa, Santuzza è un soprano e qui la canta Anna Malavasi, che era soprano ma oggi è mezzosoprano e interpreta Carmen e Azucena. Comunque la Malavasi ha il temperamento e i mezzi vocali per essere una viscerale ed intensa Santuzza, ha voce piena, possente negli affondi, duttile e di bel colore brunito, gonfia un po’ i suoni medio-gravi e spinge gli acuti, ma sa modulare, interpretare e dare spessore drammatico alla frase pur con una dizione poco chiara. Anche scenicamente la Malavasi è molto espressiva, purtroppo, quasi al buio e coperto da uno scialle, non le si vede mai il viso. Che ci volete fare? Il regista ha deciso così: poca luce, poco colore, poca scenografia, scelta che danneggia soprattutto Cavalleria rusticana, dove manca l’assolata e calda Sicilia, manca l’evolversi della luce dall’alba al tramonto, manca la piazzetta su cui si aprono le porte della chiesa e dell’osteria. Scenicamente non ci si può limitare al colore della morte, ma si deve valorizzare anche il colore della vita, che in quest’opera è presente col sole della Sicilia, con la densità delle passioni, con la luce della Resurrezione.
Della chiesa c’è un interno, dove la gente si prepara alla funzione, si preparano gli addobbi coi fiori bianchi, si vestono di bianco i chierichetti e le bambine, c’è anche una macchina da cucire per  orlare un grande telo bianco. Tanti preti neri su fondo nero camminano o corrono per la scena, un grande candeliere viene portato in giro, rosari, croci e crocefissi dappertutto anche in posti poco ortodossi, proiettati sul fondale insieme ad una bicicletta, sulle pagine di un libro aperto, sulla schiena nuda e sulle natiche di una figura femminile proiettata per presentare Lola (contaminazione di sacro e profano), tra le mani insanguinate di Turiddu assassinato; ci sono donne che lavano il pavimento e la luce dà risalto alla pelle delle braccia e spessore alle masse. Tante passeggiate di gente coi fiori, coi lumini, coi teli, tante corse di persone, anche Santuzza all’inizio sfila sulla passerella attorno all’orchestra. Alfio giunge su un carrettino trainato da una vespa. L’uccisione di Turiddu viene gridata da una donna che entra correndo dal fondo della platea
 
Tutto è pesantemente nero e vuoto: i costumi dei preti (ma quanti preti!), quelli delle due donne tranne Lola che è in chiaro e al di là di ogni tentazione, quelli del popolo stemperati col bianco, i fondali, le scene, il velatino/sipario che (non si capisce perché visto che dietro non c’è niente da cambiare) viene calato ad ogni batter di ciglio, interrompendo l’azione e  lasciando momenti e spazi di nero assoluto, così nero che al ritorno in scena di Turiddu imbrattato di sangue rossissimo alla fine dell’opera con proiezione delle sue mani insanguinate ho esclamato: 
“Oh, finalmente un po’ di colore”!

Clima tetro e opprimente, dunque, che la scena di sesso tra Turiddu e Lola in apertura d’opera non lasciava certo intuire, comunque alcuni quadri sono suggestivi, specialmente quando si usa il fermo immagine o immagini riflesse o figure ispirate a composizioni pittoriche.  Inoltre non si capisce perché Santuzza auguri la mala Pasqua a Turiddu che se n’è andato e non la può sentire e perché sempre Santuzza strappi istericamente dei fogli bianchi durante l’intermezzo. Mah! Misteri della fede!
I figuranti di Cavalleria rusticana provengono dalla Scuola di Teatro del Teatro Stabile delle Marche.


È nera anche la scena de L'enfant prodigue, ma qui il gioco delle luci crea l’atmosfera onirica che si respira in una sontuosa camera con crocefisso luminescente e con un grande letto dalle lenzuola nere, nel quale dormono marito e moglie (lei in preda agli incubi, lui no) in attesa del ritorno del figlio, atmosfera adatta anche all’apparizione flash del figliol prodigo che sbuca dal nulla, o meglio dal buio, a lato della camera e la cui immagine viene proiettata ingigantita sul fondale. Ma poi il ritorno del figlio è sogno o realtà? Il buio che non definisce gli ambienti ce lo fa apparire come un sogno, il cambiamento del rapporto tra i due genitori (distaccati nell’attesa e poi amorevolmente riuniti – lei gli lava perfino i piedi) ci fa supporre che sia tutto vero, ma, se il figlio è ritornato davvero, perché non esplode la luce? Comunque interessante questa indefinitezza.
Bellissima e nuova anche l’idea registica di far danzare in aria le frasi tradotte dal francese in italiano, come in una favola, fluttuante la lunga camicia da notte bianca un po’ trasparente della madre, decisamente brutta la tutina chiara in maglina aderente indossata dal padre, che fortunatamente aveva il fisico di Gianfranco Montresor, ma che proprio per questo il regista doveva mandare a letto a petto nudo.

La seconda opera in cartellone sarà Madama Butterfly  di Puccini, in scena l’8 e il 10 febbraio 2013 al Teatro delle Muse con direttore d’orchestra Renato Palumbo, regia, scene, costumi e luci di Arnaud Bernard. Speriamo che nella terra del sol levante schiarisca i colori.

Foto Bobo Antic.

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