giovedì 10 dicembre 2009

Ottone in Villa di Antonio Vivaldi - Teatro Olimpico di Vicenza

Foto: Marina Bartoli; Maria Laura Martorana / Guido Turus

Francesco Bertini ("Corriere del Teatro”)

Il Teatro Olimpico di Vicenza ospita, sempre all’interno delle Settimane Musicali, un’opera di grande interesse, “Ottone in villa” di Antonio Vivaldi, di raro ascolto e per la prima volta in epoca moderna nella città che la vide nascere nel lontano 1713. Il lavoro del “Prete Rosso” coglie una situazione ingarbugliata che mette in scena vicende di “infedeltà, ambiguità sessuale, menzogne, simulazione e dissimulazione”, come ci riporta Vittorio Bolcato nel saggio introduttivo contenuto nel cospicuo libretto di sala, ambientandole in una “Villa delitiosa di Roma”, ritiro dell’imperatore Ottone. Raffinata esecutrice musicale la compagine orchestrale de L’Arte dell’arco, diretta dal pregevole Federico Guglielmo, offre un’interpretazione convincente in un repertorio, quello vivaldiano, che padroneggia da sempre, assecondando bene il cast vocale, punta di diamante della serata. Il sopranista rumeno Florin Cezar Ouatu ha acquisito maggiore sicurezza in tutta la gamma e padroneggia, impeccabilmente, la propria parte intrisa di difficoltà, non soccombendo alle ardue agilità e trovando, nei passaggi lenti, la giusta espressività grazie ad un colore vocale di prima qualità. Non da meno le signore, cominciando dalla sfolgorante Marina Bartoli impegnata nel ruolo en-travestì di Tullia - Ostilio che le ha permesso di sfoggiare le proprie encomiabili doti musicali, sorrette da ottima tecnica, al pari della collega Maria Laura Martorana la quale ottiene, dalle sue elogiate frequentazioni del repertorio classico-barocco, sempre nuovi successi personali, come nel caso vicentino, nei panni della protagonista Cleonilla, ruolo impervio risolto con brillante sicurezza. A ricoprire i panni del protagonista, l’imperatore Ottone, il mezzosoprano norvegese Tuva Semmingsen, più convincente in acuto che non nella zona centrale, della quale sottolineiamo la dolcezza del timbro e l’accuratezza del canto. Peccato per il Decio di Luca Dordolo, inadatto al difficile ruolo tenorile assegnatoli che annovera alcuni pezzi solistici irti di difficoltà. L’esecuzione in forma di concerto non ha privato della dovuta attenzione lo spettacolo, permettendo, anzi, di cogliere le raffinatezze dell’esecuzione; pubblico non numeroso ma attento e soddisfatto al termine.

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