mercoledì 21 ottobre 2015

AN, Teatro Muse Bohème 2015

ANCONA, TEATRO DELLE MUSE


UNA FRESCA E GIOVANE BOHÈME 

PER UNA BUONA APERTURA DI STAGIONE


 (9 ottobre 2015)


Servizio di Stefano Gottin

La Bohème, di Giacomo Puccini: opera per me familiare nel vero senso del termine poiché collegata al grato e affettuoso ricordo della mia nonna materna, Fanny, che nacque nello stesso anno, il 1896, in cui l’opera vide la luce il 1° febbraio al Teatro Regio di Torino sotto la direzione del giovane Arturo Toscanini.
La Bohème, si diceva: col trascorrere del tempo sempre più ne rilevo la modernità teatrale e musicale, l’attualità dei sentimenti e delle vicende che la animano. Raramente, infatti, un titolo lirico presenta una tale continuità d’ispirazione e una simile “perfezione” d’impianto: mirabile nella sinteticità degli episodi e per la compattezza dell’insieme, scattante ed equilibrata nell’incedere narrativo dei fatti (a conferma che Verdi era ben presente a Puccini); sul piano musicale, un’opera nel solco della migliore tradizione italiana, ma moderna, aperta alle novità della musica europea di quell’epoca e dell’avvenire; opera soprattutto in grado di “incontrare” il gusto del pubblico di ogni tempo e perciò anche di quello futuro, posto che essa è un crogiolo di sentimenti, valori e pulsioni eterni.
La Bohème, opera di giovani e per giovani perché sa far riemergere da ciascuno di noi, indipendentemente dall’età, il profumo della nostra giovinezza e il senso di quel precipizio interiore di quando, ancor giovani, la vita ci mette a confronto con la morte di persone care, con l’irreparabilità della loro perdita e con la solitudine che ne deriva, tutti aspetti esistenziali considerati fino ad allora mere astrazioni o, tutt’al più, problemi non nostri, quasi che fossimo investiti di un’aura di immunità inossidabile, che in un istante è invece andata in frantumi.
Così è per i giovani personaggi del titolo pucciniano, dei quali il Teatro delle Muse di Ancona ha voluto ripercorrere le vicende con uno spettacolo in economia, fresco e ed essenziale, ideato dal  regista Nicola Berloffa, (scene di Fabio Cherstich e costumi di Valeria Bettella), che ha avuto l’intelligenza di non complicarsi/ci la vita con soluzioni pseudo-intellettuali, ma di lasciar parlare il mirabile libretto di Giacosa e Illica con le relative didascalie (anche in questo si vede che La Bohème è un capolavoro, poiché musica e libretto dicono già tutto senza bisogno di “mediazioni culturali”).
Il maestro Gabriele Bonolis, a capo dell’efficiente FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana, dirigeva con appropriatezza ma anche in modo poco personale la partitura pucciniana, in verità molto complessa e preoccupante banco di prova per qualunque direttore che non abbia avuto dimestichezza con la gavetta del teatro lirico e provenga invece dalla musica sinfonica (la quale, è bene ricordarlo, presenta difficoltà differenti ma decisamente minori rispetto allo spettacolo lirico).
Note positive per la compagnia di canto che si è distinta per capacità attoriale e naturale tenuta del palcoscenico: ragguardevole, anche in questo senso, il contributo del regista Nicola Berloffa.

Su tutti ricorderei il soprano Grazia Doronzio (Mimì), incisiva nella dizione e nella messa a fuoco del timbro, sicura nell’intonazione, propensa a curare le dinamiche e nel differenziare le intensità di suono, seppure con una tendenza appena percepita a stringere il suono in zona acuta. Davvero pregevoli, nell’interpretazione del giovane soprano, ci sono sembrati i due ultimi quadri dell’opera.
Bravo anche il tenore Jenish Ysmanov (Rodolfo), dotato di appropriato physique du rôle e di voce ben impostata e squillante in zona acuta, ma ancora un poco fané nei centri e nella dizione.

Efficace ed incisiva la Musetta interpretata dal soprano Lavinia Bini, brillante, civettuola, seduttiva, ma accorata nel IV quadro. Il baritono Francesco Vultaggio dava voce sicura e giusta quadratura emotiva al sanguigno personaggio di Marcello, mentre Schaunard era affidato all’altro baritono della compagnia, Italo Proferisce, ancora un poco acerbo per questo difficile ruolo. Il ruvido e sensibile Colline era il basso Dario Russo, vocalmente ben attrezzato e puntuale nella “Zimarra”. Di accertato professionismo il baritono Marco Camastra nel doppio ruolo da caratterista di Alcindoro e Benoit. Come si suol dire, bene gli altri: il Parpignol di Alessandro Pucci, Il doganiere di Gianni Paci, il Sergente dei Doganieri di Roberto Gattei. Una finale nota di apprezzamento per il Coro Lirico “V. Bellini” di Ancona, per il Coro di Voci Bianche “ArteMusica” con Maestro del Coro Angela De Pace e per la Banda di Palcoscenico Orchestra Fiati di Ancona con direttore Mirco Barani.
Il teatro, nonostante la straordinaria popolarità del titolo, non ha fatto il pieno (effetto crisi?) ma il successo è stato via via crescente, con vive acclamazioni al soprano Grazia Doronzio e agli altri artisti in misura coerente con i rispettivi valori in campo.
Esordio azzeccato per le Muse, come comprovava la commozione, nel finale, da parte del pubblico e di chi scrive (che, tra l’altro, pucciniano non è …).






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