Rimini 105 Stadium
Buon Anno con
N a b u c c o
Dramma lirico in quattro atti di
Temistocle Solera, musica di Giuseppe Verdi
(1 gennaio 2015)
Recensione di Giosetta Guerra
Un’opera
il primo dell’anno val più d’un augurio.
Ề un vero peccato che
Rimini non abbia un teatro e sia costretta a fare gli spettacoli musicali in un
palazzetto dello sport, che non ha né la struttura né l’acustica idonee per la
musica, per cui si è costretti ad amplificare le voci e a penalizzare la
visibilità degli spettatori seduti sulle tribune laterali.
Per la visibilità una
soluzione ci sarebbe, fare lo spettacolo in platea, come fece Peter Brook al
Teatro dell’Opera di Roma per Carmen e anche il ROF col Tancredi al vecchio
palazzetto dello sport a Pesaro; per l’acustica bisognerebbe riempire gli angoli retti
del palazzetto arrotondando l’ambiente per far circolare i suoni. Strano che
non ci abbia mai pensato qualcuno e strano anche relegare a metà della tribuna
laterale sinistra il recensore dello spettacolo.
Dopo una prima parte vista
dimezzata e con i picchi dell’amplificazione che sfoga sempre lateralmente, sono
scesa in platea nella seconda parte ed ho avuto un ascolto migliore e una
visione più completa della scena e dei sopratitoli che dalle tribune non si
leggono.
Quindi ho meglio
apprezzato sia la scenografia di Joseph Cauchi, già sperimentata al Teatro dell’Opera di Gozo
(Malta), dove spesso Stinchelli lavora, sia il lavoro di regia di Enrico
Stinchelli, sia la
proiezione delle voci, penalizzate comunque nella qualità della resa
dall’amplificazione che, se da un lato aumenta il volume, dall’altro evidenzia
i difetti.
Le scene, che non ci
introducono chiaramente negli ambienti storici conosciuti, erano essenziali e simboliche
ma comprensibili; erano costituite di una struttura centrale fissa a forma di piramide quadrata tronca, con scale ai quattro
lati, sovrastata all’occorrenza da un trono dorato raffigurante il potere o
affiancata da un mitologico uccello e dalla grande testa dell’idolo che cadde
di colpo al momento opportuno. Le scene erano eleganti, belle e soprattutto
godibili all’occhio per l’aura fiabesca creata da
fumi e vapori e per l’abbondante sfarfallio e sfolgorio di luci e di colori,
che però stemperavano la tinta drammatica della vicenda.
Alla fissità
dell’architettura scenica faceva infatti contrasto l’ipercinesia delle
proiezioni o astratte o di elementi aerei, geometrici, figurativi, non sempre
attinenti, che diventavano più intense nei cambi di scena per coprire le
maestranze al lavoro. Operatore luci e video Alex Magrì.
Il regista Enrico
Stinchelli ha curato
molto bene la gestualità e la recitazione degli artisti, ha dato un tocco
pittorico alla disposizione delle masse, che in un’opera corale sono
coprotagoniste e particolarmente in Nabucco sono al centro delle aspettative
del pubblico che concentra nel “Va
pensiero” l’essenza dell’opera.
I personaggi entravano in
scena salendo le scale da dietro, fermandosi in alto e scendendo dal lato
anteriore, lo ha fatto anche un bambino all’inizio e alla fine.
Costumi d’epoca molto
belli con predominanza del bianco, del nero, del rosso e dell’oro. Costumista Giulia Brolli.
Dal punto di vista vocale
la partitura è particolarmente insidiosa, ogni interprete deve raggiungere il
limite massimo delle sue capacità sia naturali che tecniche.
In primis la schiava Abigaille, creduta primogenita di Nabucco, che è un autentico soprano drammatico d’agilità e richiede doti straordinarie di
potenza e di agilità.
Dimitra Theodossiou ha voce possente e screziata nei colori (“Ben io t’invenni”), bella in tutta la
gamma, sicura nel canto di forza e di coloratura, rotonda ed armoniosa nelle
smorzature e nel canto morbido, è bravissima negli slanci acuti strabilianti,
negli affondi e nei glissando, riesce a coprire gli sbalzi di due ottave, dosa
la voce all’espressività del fraseggio con sensibile modo di porgere, accento
incisivo, scavo della parola scenica, filati acutissimi tenuti e sonori
(accorato e lievissimo il finale nella scena della morte).
Nabucco, re
di Babilonia, ha inizialmente perso la sua autorevolezza a causa della scarsa
fermezza vocale nel canto spinto di Carlo
Guelfi,
un baritono dal bel timbro e dal giusto accento ma con voce corta e ondeggiante
seppur potente. Dopo il fulmine che ha colpito Nabucco, Guelfi ha cantato
meglio, perché, tenendo una linea più morbida, ha sostenuto i suoni con voce
più ferma (“Deh, perdona”), controllando
l’emissione e cantando sul fiato il suono è risultato più bello e più sicuro (“Dio di Giuda”).
L’autorevolezza e la
pacatezza di Zaccaria, gran
pontefice degli Ebrei, sono emerse dal gesto
e dal modo di porgere del basso Ivaylo Dzhurov, che ci riporta allo stile di Samuel Ramey
per la maestosità del canto e per l’arte di arrotondare i suoni.
La sua voce ampia, estesa,
corposa e sonora si distingue per la bellezza del colore, per la pienezza, la
fermezza e la pastosità del suono e per la morbidezza del canto. Il basso canta
sul fiato, affronta bene la tessitura acuta, la grave è corretta e sostenuta,
ha buona tecnica di canto e di articolazione della parola.
Nel ruolo d’Ismaele, nipote di Sedecia, re di Gerusalemme, il tenore Paolo Antognetti ha usato in modo corretto una voce acuta robusta e di bel timbro, ha espresso con veemenza la disperazione sopra il canto cadenzato dei Leviti (“Per amor del Dio vivente”), ha cantato bene, tenendo una linea di canto omogenea e ammorbidendo i finali.
Fenena,
figlia di Nabucco, era Patrizia Patelmo, mezzosoprano
dal bel corpo vocale, voce pastosa che sale rotonda in
acuto e ammorbidisce nel canto a mezza voce; la cantante ha evidenziato accurato
modo di porgere, buon uso della messa di voce, bel suono, ma dizione poco
chiara.
Senza
infamia e senza lodo il basso Antonio
Di Matteo nelle vesti del Gran Sacerdote di Belo.
Roberto Carli (Abdallo vecchio
ufficiale del re di Babilonia), tenore chiaro e squillante, è
stato un dignitoso comprimario.
Elettra Benfatto (Anna sorella di Zaccaria) è un corretto soprano dalla voce
pulita.
La liricità di questo
grande affresco corale è stata espressa dal Coro Lirico città di Rimini
Amintore Galli,
spesso immobile in una staticità ieratica, con
compattezza dell’amalgama sonoro nelle pagine più vigorose e con dinamiche
morbide e sfumate nelle pagine di maggior raccoglimento, qualche imprecisione
nella tenuta del suono in “Va pensiero”,
cantato a mezza voce e disturbato da spire di fumo o di nuvole e da giochi di
luci. Maestro del coro Matteo Salvemini.
La scrittura musicale, che
in orchestra sviluppa sia movimenti e sonorità travolgenti sia atmosfere di
struggente poesia, trova una brava interprete nell’Orchestra Teatro dell’Opera di
Rousse diretta da Nayden
Todorov. Coro e
Orchestra riescono a
comunicare una coralità intensa.
Corrette
le danze del corpo di ballo Future Company.
Successo generale. Grande dimostrazione d'affetto per Dimitra Theodossiou, scampata miracolosamente all'incendio del traghetto greco tre giorni prima.
Dimitra Theodossiou e Giosetta Guerra
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