domenica 30 maggio 2010

CORSO DI PERFEZIONAMENTO
IN DIREZIONE D’ORCHESTRA
con concerto finale diretto dai partecipanti
2 - 14 Agosto 2010
Mercatello sul Metauro
(Pesaro e Urbino) - ITALIA
Lanfranco Marcelletti

Orchestra Sinfonica G. Rossini

ARIA ITALIANA- musica, arte e creatività in collaborazione con Musica&Musica 2010Soggetto organizzatore: ARIA ITALIANA, musica,
arte e creatività, organizzazione per l’ideazione
e la gestione di eventi musicali e culturali, con
sede in Italia, Mercatello sul Metauro (PU), propone
un corso di perfezionamento in direzione
d’orchestra
con concerto finale diretto dai partecipanti.
Soggetti ammessi: Il corso è rivolto a giovani direttori
d’orchestra di qualsiasi nazionalità, purchè
a conoscenza della lingua italiana o
inglese.
Il numero massimo di partecipanti è fissato a
otto corsisti effettivi ai quali potranno affiancarsi
non più di dieci uditori.
Docente titolare: Il Corso sarà tenuto dal Maestro
Lanfranco Marcelletti, professore di direzione
d’orchestra all’Università del Massachusetts di
Amherst (U.S.A.), nella quale ricopre anche il
ruolo di direttore dell’Orchestra. Il maestro è inoltre
direttore musicale della Cayuga Chamber
Orchestra di Ithaca (U.S.A.) e assistente del
Maestro Alberto Zedda nella direzione dell’Accademia
Rossiniana di Pesaro (ITA).
Nato a Recife (Brasile), lì ha iniziato gli studi musicali
e si è diplomato in pianoforte. Si è quindi
trasferito in Europa perfezionandosi alla Musik
Akademie di Zurigo e alla Hochschule für Musik
und darstellende Kunst di Vienna, dove ha studiato
anche composizione. Negli Stati Uniti ha
poi ultimato gli studi di direzione d’orchestra alla
Yale University (New Haven). Ha ottenuto premi
e riconoscimenti in varie parti del mondo sia
come pianista che come direttore d’orchestra.
I suoi impegni come direttore lo vedono impegnato
con orchestre in Europa, Sud America,
America Centrale e Stati Uniti: Orchestra Sinfonica
del Brasile (Rio de Janeiro), Orchestra del
Teatro Nazionale (Brasilia), Orchestra Sinfonica
Nazionale del Cile (Santiago), Orchestra Sinfonica
di Xalapa (Messico), Orchestra del Teatro
Comunale di Bologna (Italia), Orchestra Sinfonica
di Galicia (La Coruña, Spagna), Haydn
Chamber Orchestra (Londra) e Orchestra del
Festival Eleazar de Carvalho (Fortaleza, Brasile).
Ha iniziato la sua carriera come direttore operistico
al Glimmerglass Opera Festival (Cooperstown,
U.S.A.) nel 2000, poi ampliata in altri
importanti teatri; tra questi il Teatro Real (Madrid),
il Teatro Calderón (Valladolid, Spagna), la
Commonwealth Opera (Massachusetts, U.S.A.)
e il Rossini Opera Festival di Pesaro (Italia).
È stato inoltre assistente del Maestro Anton Coppola,
nella premiere della sua opera Sacco e
Vanzetti a Tampa (Florida, U.S.A.), ed ha ideato,
in collaborazione con l’attrice Carmen Bermejo,
lo spettacolo per bambini www.mozart.deus,
prodotto dal Teatro Calderon (Valladolid, Spagna).
Orchestra: Il concerto finale diretto dai partecipanti
e le sue prove vedranno la partecipazione
dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro.
Questa è l’orchestra della Provincia di Pesaro e
Urbino (Italia) ed è tra le poche riconosciute dal
Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Nata nell'aprile 2001, al termine di una selezione
coordinata dal Maestro Alberto Zedda, sarà nel
2010 una delle orchestre principali del Rossini
Opera Festival di Pesaro (Italia).
L'attività dell'orchestra, in costante sviluppo,
conta di circa 70 esecuzioni l'anno in Italia e
all’estero.
In particolare essa è l’orchestra di riferimento per
le produzioni concertistiche nelle città di Pesaro
(Teatro Rossini e Rocca Costanza), di Fano (Teatro
della Fortuna e Corte Malatestiana), di Urbino
(Teatro Raffaello Sanzio), di Cagli (Teatro
Comunale), di Mercatello sul Metauro (stagione
concertistica Musica&Musica) e nei numerosi
altri teatri storici della Provincia di Pesaro e Urbino.

Sede del corso: Le lezioni si terranno a Mercatello
sul Metauro (PU) dal 2 al 14 agosto 2010
nelle sale di Palazzo Gasparini,
prestigioso edificio
seicentesco che si affaccia sulla piazza principale
della cittadina.
Il palazzo dispone di confortevoli aule e di spazi
adeguati per le lezioni e le esercitazioni.
La sede del corso è inoltre dotata di rete wireless,
estesa anche alla piazza antistante per una
connessione internet sempre disponibile per i
partecipanti al corso.
Le prove generali e il concerto conclusivo si svolgeranno
nella Chiesa di San Francesco, sede
principale della stagione concertistica Musica&
Musica, edificio monumentale con ottima
acustica.
Programma del corso: Il programma, con sessioni
mattutine e pomeridiane, affronterà nozioni
di teoria e tecnica della direzione, analisi e preparazione
della partitura.
Sono previste lezioni teoriche, esercitazioni con
l’accompagnamento di un pianista e prove
con orchestra per un numero complessivo di
oltre 60 ore.
In particolare gli argomenti approfonditi durante
le lezioni tratteranno:
Teoria della direzione (Elementi storici sulla direzione
d'orchestra - Le orchestre nei vari periodi
storici - I primi direttori, evoluzione e
cambiamento della tecnica direttoriale - Le
grandi scuole europee - Il repertorio da camera,
sinfonico, operistico - Rapporti con l'orchestra,
il coro, i solisti, i cantanti, gli agenti
teatrali, le direzione artistiche dei teatri e delle
istituzioni sinfoniche);
Tecnica della direzione (Impostazione del
gesto, naturalezza, chiarezza, effetto nella direzione
- Concertazione e memorizzazione -
Programmazione ed organizzazione dei
tempi di prova in funzione dell'impegno -
Prime parti, file e sezioni, carattere e personalità
dell'orchestra - Arricchimento della sensibilità
all'ascolto del suono collettivo,
precisione ritmica e consapevolezza espressiva,
comprensione e rispondenza del gesto
direttoriale - La gestualità - Esercizi per migliorare
l'indipendenza della braccia);
Analisi della partitura (Analisi e prassi esecutiva
della partitura - Arcate - Tempo di preparazione
- Verifica e approfondimento di studi
e conoscenze della prassi compositiva di
ogni allievo - Analisi, studio ed esercitazione
dei brani in programma - approfondimento
e concertazione degli stessi);
Prove con orchestra (Ogni corsista avrà a disposizione
un tempo di almeno 45 m. con l’orchestra,
durante i quali proverà la parte del
programma del concerto finale assegnatagli
dal docente).
Le lezioni verteranno sul programma musicale
scelto per il concerto conclusivo; composto dai
seguenti brani orchestrali:
B. Bartok - Danze Rumene
L. van Beethoven - Sinfonia n. 2 in Re M. Op. 36
G. Bizet - Les dragons de Alcala - Seguidilla dalla
Suite n. 1 da Carmen
W.A. Mozart - Sinfonia n. 32 in Sol M. KV318
I. Stravinsky - Eight Instrumental Miniatures
A. Copland - Prelude dalla Symphony n.1
Inoltre, nel periodo del corso il Maestro Marcelletti
dirigerà a Mercatello sul Metauro due concerti,
uno per orchestra d’archi (7 agosto, A.L.
Dvořák, Serenata per archi in mi M. op. 22 - P. Čajkovskij,
Serenata per archi in do M. op. 48) ed uno
lirico-sinfonico (12 agosto, G. Rossini, Ouverture
de La Gazza Ladra - A.P. Borodin, Danza Polovesiana
con Coro da Il Principe Igor - E. Elgar, Pomp
and Circumstance Marches op. 39 - L. van Beethoven,
Sinfonia n. 5 in Do min. op. 67), nell’ambito
della stagione concertistica Musica&Musica. Sia
le prove che le esibizioni potranno essere ulteriori
esperienze di studio per i partecipanti al corso
che avranno libero accesso alle stesse.
Concerto conclusivo: Al termine del Corso, i corsisti
effettivi dirigeranno l’Orchestra Sinfonica G.
Rossini nella serata di chiusura della stagione
concertistica Musica&Musica 2010 - sabato 14
agosto. Il concerto verrà registrato e riversato su
DVD che sarà successivamente spedito ai direttori
partecipanti.
Durante la serata verranno inoltre consegnati gli
attestati di partecipazione.

Escursioni: Nei momenti liberi i partecipanti ed i
loro eventuali accompagnatori, oltre a godere
dell’ospitalità e delle bellezze di Mercatello sul
Metauro, cittadina pluripremiata per le sue attitudini
turistiche dal Touring Club Italiano con la
Bandiera Arancione, potranno agevolmente
trovare nelle vicinanze ulteriori momenti di
svago e di studio.
Il periodo del corso coincide infatti con il Rossini
Opera Festival di Pesaro, che vedrà impegnati
sia il maestro Lanfranco Marcelletti che l’Orchestra
Sinfonica G. Rossini nella preparazione e
messa in scena dello spettacolo Il Viaggio a
Reims di G. Rossini (con eventuale possibilità di
assistere ad una sessione di prove), e lo Sferisterio
Opera Festival di Macerata.
Sarà inoltre possibile raggiungere facilmente le
numerose località artistiche vicine, come Urbino,
città patrimonio dell’Unesco, o dopo un breve
viaggio in auto o autobus, città come Firenze,
Arezzo, Perugia, Assisi, Gubbio, ecc.

Sistemazione: A seguito di richiesta inoltrata ad
Aria Italiana, la stessa provvederà ad organizzare
il soggiorno dei partecipanti e dei loro
eventuali accompagnatori alle migliore e più favorevoli
condizioni.
L’arrivo è previsto per domenica 1 agosto.
Gli allievi e gli eventuali accompagnatori saranno
ospitati in camere singole o doppie, o in
appartamenti a seconda delle esigenze (quote
a partire da € 180,00 a persona). Tutti gli alloggi
si trovano nel centro di Mercatello sul Metauro.
La partenza è fissata per la mattina di domenica
15 agosto.

Modalità di iscrizione: La domanda di ammissione
dovrà pervenire per posta ordinaria ad
Aria Italiana, via Roma, 12 - 61040 Mercatello sul
Metauro (PU) - Italia, o tramite posta elettronica
all’indirizzo info@ariaitaliana.it, entro e non oltre
il 30 maggio 2010 e contenere i seguenti dati e
materiali obbligatori:
nome e cognome;
luogo e data di nascita;
nazionalità;
due fotografie recenti;
domicilio;
recapiti telefonici e telematici;
curriculum vitae attività direttoriale;
e i seguenti materiali facoltativi:
copia del diploma di direzione d’orchestra o
attestato di frequenza a corsi rilasciato da
conservatori di musica, college, accademie
musicali, Hochschulen;
attestati di partecipazione a corsi di perfezionamento
e concorsi di direzione d’orchestra;
lettere di presentazione.

Sono particolarmente graditi video e registrazioni
comprovanti l'attività dei candidati. Se già
presenti sul web possono essere segnalati all’indirizzo
e-mail lmarcelletti@yahoo.com, o inviati
direttamente (su VHS o DVD) al docente del
corso al seguente indirizzo - Marcelletti Lanfranco
Jr., 22 Rolling Ridge Road, Amherst, MA
01002, USA.

Conferma partecipazione: La partecipazione al
corso prevede la valutazione dei materiali trasmessi
con la domanda di partecipazione.
I candidati selezionati riceveranno comunicazione
entro il 20 giugno 2010.

Quote di partecipazione e obblighi: La quota di
partecipazione al Corso di Perfezionamento è di
€ 1.800,00 (milleottocento/00) per i corsisti effettivi
e di € 300,00 (trecento/00) per gli uditori.
Il versamento della quota dovrà essere effettuato
in due rate: la prima pari a € 900,00 (novecento/
00) entro il 30 giugno 2010 e la seconda
di € 900,00 (novecento/00) a saldo, entro il 31 luglio,
entrambe tramite bonifico sul conto corrente
bancario intestato ad Aria Italiana:
I T 8 1 C 0 8 7 0 0 6 8 3 5 0 0 0 0 1 4 0 1 6 7 1 9 7
SWIFT Code I C R A I T R R J G 0 .
La quota comprende la partecipazione a
quanto indicato nei precedenti articoli: programma
del corso e concerto conclusivo.
Per gli uditori, il pagamento avverrà in un’unica
soluzione da versare tramite bonifico bancario
entro il 31 luglio.
Le spese di viaggio, vitto, alloggio e delle eventuali
escursioni sono a carico dei corsisti.
Tutti i corsisti dovranno essere muniti di abito da
concerto.

Contatti:
Aria Italiana - musica, arte e creatività, Via Roma n. 12, 61040 Mercatello sul Metauro (PU)ITA
tel. 00393493427711 (italiano e inglese) 0039-3396436435 (italiano) - fax: 0039072289133
www.ariaitaliana.it - info@ariaitaliana.it
Marcelletti Lanfranco Jr., 22 Rolling Ridge Road, Amherst, MA 01002, USA
www.umass.edu/orchestra - www.ccoithaca.org/index.php?page=conductor
lmarcelletti@yahoo.com
Orchestra Sinfonica G. Rossini, Largo A. Moro n. 12, 61100 Pesaro (PU) ITA
tel. 00390721580094 - fax 00390721580095
www.orchestrarossini.it - saul.salucci@orchestrarossini.it - bruno.maronna@orchestrarossini.it

Link: Per conoscere il luogo dove si svolge il corso:
Comune di Mercatello sul Metauro - www.comune.mercatellosulmetauro.pu.it
Associazione Pro Loco Mercatellese - www.proloco-mercatello.it
Visita virtuale alle opere d’arte della città (anche in inglese): www.museodelmetauro.it
Per conoscere il festival musicale che ospiterà il concerto conclusivo del corso:
Sito ufficiale di Musica&Musica - http://musicaemusica.proloco-mercatello.it

sabato 29 maggio 2010

Concerti a Torino in tempo di Sindone
di Giosetta Guerra

Torino offre svariate occasioni agli amanti della musica classica di ogni epoca, perché oltre alle buone programmazioni del Teatro Regio, vengono organizzati concerti a ingresso gratuito nelle belle chiese della città in varie ore della giornata.
Abbastanza particolare mi è sembrata l’iniziativa del LUNCHTIME CONCERTS (seconda edizione), messa in atto da “Proposteconcerti” con il patrocinio della Città di Torino in collaborazione con l’Assessorato al Turismo: ogni venerdì alle ore tredici si possono ascoltare concerti strumentali e vocali nella chiesa del Santo Sudario (realizzata tra il 1734 e il 1764 e in occasione dell'ostensione della Sacra Sindone sede del Museo della Sindone) in Via Piave.
Il 23 aprile ho avuto la possibilità di ascoltare un giovane pianista dall’aspetto riservato e schivo, ma con una personalità artistica nel contempo sensibile ed energica. Un artista poco plateale, ma di sostanza.

Si tratta di Simone Ferrero di soli 20 anni, già diplomato in pianoforte con dieci e lode presso il Conservatorio G. Verdi di Torino e già protagonista di numerosi concerti sia come solista che come membro di formazioni cameristiche e jazzistiche. Ha frequentato varie masterclasses, ricevuto premi in concorsi nazionali ed internazionali ed è risultato vincitore del progetto Fondazione CRT “Master dei Talenti Musicali”. Ovviamente, come ogni serio musicista, continua a studiare e a frequentare corsi di perfezionamento.
Nel recital pianistico del 23 aprile Ferrero si è addentrato nel virtuosismo e nel melodismo della pagina di Brahms “Variazioni su un tema di Paganini, libro II op. 35” con sicurezza del tocco, ora deciso ed incisivo ora delicato ed aereo, ha trasmesso imponenza e leggerezza con scioltezza delle dita, chiudendo in un crescendo di potenza e di movimento.
Il tocco è adeguato alla scrittura del lungo brano di Schuman “Carnaval op. 9” , irruente e veloce all’inizio, poi in rallentando nei tempi ma non nella forza, sviluppato soprattutto nelle tessiture centrali e gravi con qualche scintillio in zona acuta e atmosfere romantiche nel canto morbido e sommesso; il finale è possente con brevi intarsi di movimenti leggeri.
Incroci delle mani per i trilli e le scale cromatiche discendenti e ascendenti del breve, travolgente e trascinante “Studio trascendentale nr. 10 in fa minore” di Liszt: una prova di vera maestria.
Ferrero ha proposto come bis lo “Studio op. 25, n. 6” di Chopin: una pioggia di note sulla testiera.
Bravo! Un pianista da seguire.



2° concerto

Tutti i lunedì di aprile alle ore 21 nel magnifico Coro delle Monache Agostiniane attiguo alla Chiesa di Santa Pelagia (sorta a Torino attorno al 1740 e restaurata nel 1998) Via San Massimo 21, si sono tenuti concerti strumentali con gli allievi del Conservatorio G. Verdi di Torino, organizzati dall’Opera Munifica Istruzione in collaborazione col Conservatorio.
Il 26 aprile violino e pianoforte sono stati i protagonisti della serata. Giuseppe Locatto al violino e Giorgia De Lorenzi al pianoforte si sono esibiti con la Sonata in Do magg. K 296 di Mozart, ricca di brio e di leggerezza; Martina Amadesi al violino e Paolo Tolomei al pianoforte hanno ben comunicato la ricchezza musicale della Sonata in Fa magg. K 376 di Mozart; Cecilia Fabbro al violino e Junko Watanabe al pianoforte hanno espresso l’inquietudine, la forza e la densità musicale della Sonata op. 100 n. 2 di Brahms; Giuliana Toselli al violino e Silvia Gregoriani al pianoforte si sono cimentati nella Sonata in sol di Debussy, dalla musica molto variata e con salti di registro, priva di una vera linea melodica per prediligere lo studio dell’effetto sonoro.
Un’iniziativa lodevole che l’Opera Munifica Istruzione porta avanti da quindici anni, per dare ai futuri artisti la possibilità di fare esperienza di palcoscenico e di pubblico, peraltro sempre numeroso. Una delle tante, in quanto l’ente è sede di seminari, corsi di formazione e di perfezionamento, di scuole, la più tipica delle quali è il Nido della Musica, ossia l’asilo nido che predilige il linguaggio musicale come strumento educativo. Quest’idea mi fa impazzire. Magnifica!
Una curiosità: Santa Pelagia, che la leggenda ci tramanda come bellissima ballerina divenuta monaca, è oggi patrona delle attrici drammatiche. (Consultare www.santapelagia.it).

sabato 22 maggio 2010

Parma- Teatro Regio - Werther di Jules Massenet

Foto Roberto Ricci Teatro Regio di Parma
Parma - Teatro Regio - Werther di Jules Massenet
(Recita del 27 aprile 2010)
di Giosetta Guerra
Sulle note cupe dell’ouverture alleggerita dalle delicatezze dei violini un funerale nero visto in controluce attraversa la scena vuota pervasa di luce rossa. La bara, posata a terra e privata del manto nero, diventa prima un muretto nel giardino del borgomastro e poi si divide in panchetti usati dai bambini sia come sedili sia come vassoi. Sul fondale aperto giganteggia un albero investito da luci sempre diverse e poi abbattuto, le luci dai colori accesi cambiano continuamente in base agli ambienti, alle situazioni e agli stati d’animo e creano violenti contrasti, spesso si fa uso della tecnica del controluce e dell’azione nel retroscena. La stanza di Charlotte è ricca di mobili bianchi in confusione, vi domina un lettone sopraelevato e un inginocchiatoio più in alto ancora. La stanza di Werther morente sul letto è piena di libri ed è rischiarata da candelieri accesi, mentre fuori scende la neve su un albero di Natale steso a terra e contro un cielo nero squarciato da una luna bianca sfocata. Le scene sono simboliche e stilizzate, le pareti che si inclinano e si restringono sui personaggi simboleggiano la claustrofobia del dolore. Johann e Schmidt, biondissimi, arrivano in bicicletta e portano l’ombrello, Werther fa il suo ingresso in frac grigio, Charlotte nella sua stanza indossa un abito bianco con strascico e capelli sciolti, Sofie è una delicata figura, Albert un compunto giovine. Scene di Alessandro Chiti, costumi di Giusi Giustino, luci di Paolo Ferrari, regia di Marco Carniti. Allestimento ripreso dal Teatro dell’Opera Giocosa di Savona.



Sul piano vocale non si poteva avere un cast meglio assortito, a cominciare dal pluriosannato tenore Francesco Meli nel ruolo protagonista. Il suo Werther è un giovane pieno di slanci e di ritrosie, che si esprime con squillo sicuro e mezze voci sospirose, il mezzo vocale estesissimo e di bel timbro è usato prevalentemente sul forte, il canto a piena voce è trascinante, strepitoso nel finale del II atto; Pourquoi me reveiller è cantata con la giusta alternanza di smorzature e d’irruenze e tutta la scena è pervasa da maggior passione, complice anche l’intensità della musica. Tuttavia un’attenta opera di cesello sul canto sfumato renderebbe maggior giustizia al personaggio, più artista “ossianico” che titano romantico, e darebbe perfetta espressione al monologo interiore di Werther, costruito sul flusso di emozioni e di rapimenti. Sonia Ganassi regala suoni bruniti, espansioni liriche ed intensità d’espressione a Charlotte, il mezzosoprano è scenicamente e tecnicamente una brava artista, abile nel porgere, nell’usare le mezze voci, nello svettare nella tessitura acuta, ma mostra carenza di sonorità e di peso nella tessitura grave e poca chiarezza di dizione in quella media dove i suoni appaiono piuttosto chiusi.


Giorgio Caoduro nel ruolo del composto e razionale Albert, l'anti-eroe romantico, esibisce bel timbro baritonale, fiati lunghi e sostenuti con qualche ondulazione in zona acuta, correttezza, morbidezza e armoniosità del canto, buona dizione. Senza pecche e quindi perfetta la performance del soprano Serena Gamberoni: bella voce luminosa e tecnica ineccepibile, incursioni sicure e delicate nella zona acuta, scenicamente esprime perfettamente la freschezza della giovane Sophie. A completamento del cast ricordiamo il basso Michel Trempont (Borgomastro), il tenorino Nicola Pamio (Schmidt), il bravo baritono Omar Montanari (Johann), il mezzosoprano Azusa Kubo (Kätchen), il tenore Seung Hwa Paek (Brühlmann). Voci aggraziate quelle dei bambini del Coro voci bianche del Teatro Regio di Parma diretto dal Maestro Sebastiano Rolli. Il direttore Michel Plasson riesce a guidare l’Orchestra del Regio nel cangiante percorso sonoro che descrive l’evolversi della situazione: la musica frizzante e festosa all’arrivo dei bambini, delicata e romantica all’incontro di Werther e Charlotte, tormentosa e a dense arcate nella lettura della lettera, struggente e carica di tensione nell’intermezzo, si riduce a cupe arcate gravi e a un colpo di grancassa alla morte di Werther e muore con lui. Uno spettacolo positivo.

Puccini e Lucca a Buenos Aires


Puccini e Lucca a Buenos Aires

Puccini y Lucca en Buenos Aires sarà esposta nel foyer del Teatro Colón in occasione della sua riapertura dopo l'accurato restauro che ha riportato il Teatro agli splendori della sua apertura nel il 25 maggio 1908.
La mostra, realizzata grazie alla collaborazione con la Fundación Teatro Colón, il Teatro Colón, l'Ambasciata italiana in Argentina, Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires, l'Asociación Cultural Toscana di Buenos Aires, verrà inaugurata il 26 maggio, in concomitanza con la rappresentazione de La bohème e resterà aperta fino alla fine di giugno.
Per l'occasione è stato creato un apposito pannello, per la cui realizzazione è stata fondamentale la consulenza di Gustavo Gabriel Otero e Daniel Varacalli Costas, autori del volume Puccini in Argentina, dedicato al viaggio di Puccini a Buenos Aires nel 1905. Tra i viaggi compiuti da Puccini, quello in Argentina riveste un'importanza particolare, per la durata del soggiorno, dal 23 giugno all'8 agosto, per il carattere di Festival che il Teatro de la Opera aveva voluto dare alla stagione, per l'accoglienza ricevuta, e anche per il lauto compenso che gli procurò l'invito della Prensa.© Copyright 2008 - Fondazione Giacomo Puccini - Casermetta San Colombano 1, Mura urbane, 55100 Lucca Tel.: + 39-0583-469225 - Fax: 0039-0583-958324 -
info@fondazionegiacomopuccini.it


Miércoles, 26 de mayo de 2010 - miércoles, 30 de junio de 2010

MUESTRA EN OCASIÓN DE LA REINAUGURACIÓN DEL TEATRO COLÓNGIACOMO PUCCINI Y LUCCA EN EL MUNDO

Esta muestra, curada por la Prof. Gabriella Biagi Ravenni, directora de la Fondazione Puccini desarrolla a través de 20 paneles fotográficos el fuerte vínculo existente entre el compositor y su ciudad natal y dedica una atención particular a la visita que realizara Puccini a la ciudad de Buenos Aires entre el 23 de junio y el 8 de agosto de 1905.

Informaciones: Fecha: miércoles, 26 de mayo de 2010 - miércoles, 30 de junio de 2010Horario: 26 de mayo de 2010 a las 19.30Lugar: Foyer del Teatro Colón (Cerrito 618)Organizado por: Fondazione Giacomo PucciniEn colaboración con: Teatro Colón, Fundación Teatro Colón, Associazione Culturale Toscana di Bs.As., Ambasciata d'Italia/Istituto Italiano di Cultura, Comune di Lucca, Assoc. Lucchesi nel Mondo

martedì 18 maggio 2010

Simon Boccanegra - Teatro alla Scala, Milano.

Fotografie di Marco Brescia, Archivio Fotografico del Teatro alla Scala

Massimo Viazzo

Doveva essere il Boccanegra di Domingo e per Placido si è trattato di un vero trionfo! Dopo l’intervento a cui è stato sottoposto un paio di mesi fa si temeva per la sua salute e invece… eccolo lì, il tenorissimo, sul palcoscenico del Teatro alla Scala a dominare la scena dall’alto di quel carisma che l’ha sempre fatto amare dal suo pubblico. Placido Domingo ritrae un doge autorevole, ma sfaccettato che sa anche intenerirsi e commuovere, in un allestimento tutto sommato abbastanza anonimo e innocuo coprodotto con la Staatsoper unter den Linden di Berlino e curato da Federico Tiezzi (perfino l’entrata dei popolani nella Sala del Consiglio è risultata scenicamente fiacca). Certo, vocalmente a questo Simone manca il colore baritonale e soprattutto negli insiemi, come lo splendido finale del secondo atto, l’equilibrio fonico tra i registri viene compromesso, ma Placido, intelligentemente, non tenta di manipolare il proprio strumento vocale scurendolo artificialmente puntando invece sempre su musicalità e naturalezza.

Sontuosa, al suo fianco, l’Amelia di Anja Harteros, appassionata nel fraseggio, sicura e fermissima negli acuti, in grado di emozionare anche per mezzo di un colore vocale caldo e luminoso. Spavaldo, anche se non variegatissimo in quanto a linea musicale, il Gabriele Adorno di Fabio Sartori, ancora carismatico nonostante un palese prosciugamento timbrico Ferruccio Furlanetto come Fiesco e non molto rifinito il Paolo Albiani di Massimo Cavalletti. Daniel Barenboim trova in questo Simon Boccanegra la sua più compiuta realizzazione verdiana da quando è maestro scaligero. L’inizio dell’opera, ad esempio, è memorabile in quanto a morbidezze e ricercatezza timbrica e spesso gli accompagnamenti risultano soffici ed estremamente pregnanti. Qualche fragore di troppo (specie negli ottoni) non ha pregiudicato una resa strumentale spesso ammirevole. Superba, in tal senso, la prestazione dell’Orchestra del Teatro alla Scala che, assieme al compattissimo Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni, si è meritata grandissimi applausi in una serata che era cominciata con 10 minuti di ritardo per la lettura di un comunicato sindacale (con orchestra, coro e tecnici tutti sul palcoscenico) in cui si evidenziavano le ragioni di una protesta che sta interessando tutte le istituzioni musicali italiane attinente agli ultimi tagli alla cultura del governo Berlusconi.

lunedì 17 maggio 2010

Carmen a Città del Messico

Foto: Alejandro Amezcua / Cultura D.F.
Ramón Jacques

L’Opera de Bellas Artes, la compagnia nazionale d’opera del Messico ha offerto la riproposta di Carmen, la celebre opéra comique di Georges Bizet nella versione coi recitativi cantati introdotti da Ernest Guirard per la prima dell’opera a Vienna nel 1875 anziché la versione originale coi dialoghi parlati. La compagnia ha patito due anni di instabilità e di complicazioni nello svolgersi delle sue stagioni, a causa principalmente della chiusura per restauri del Palacio de Bellas Artes, il teatro lirico più importante del paese, la cui riapertura è prevista per il prossimo settembre. Il Palacio de Bellas Artes, è un edificio eclettico, miscuglio di stili Art nouveau e Art déco, in marmo bianco di Carrara, il cui progetto fu ideato dall’architetto italiano Adamo Boari nato a Marrara (Ferrara). Tutti i teatri lirici del mondo possono vantare aneddoti e storie memorabili e, quando si pensa a questo teatro, ne sovvengono immediatamente due: il primo è che questo luogo è stato la culla e il focolare di uno dei principali cantanti della storia dell’opera: Placido Domingo; il secondo è che su questo palcoscenico Maria Callas emise un celebre mi bemolle nel finale del secondo atto di una rappresentazione di Aida.

La rappresentazione a cui abbiamo assistito si è svolta in maniera assai soddisfacente nell’antico Teatro de la Ciudad, in una passata ma rinnovata produzione ideata e diretta dal regista José Antonio Morales, che si ispirò ai dipinti e alle incandescenti tonalità di rosso della Spagna vista da Goya. Con pochi elementi scenici, costumi adeguati, brillanti luci e una processione religiosa all’inizio del primo atto, così come pure con autentici cantanti e danzatori di flamenco, Morales ha fatto della vicenda dell’opera una miscela di fantasia e realismo, coerenza e vivacità.

Il ruolo di Carmen era affidato al mezzosoprano romano Veronica Simeoni, che ha dato alla zingara entusiasmo ed energia, cantando con una freschezza vocale e un suono morbido e sempre ben timbrato, dal colore uniforme e di qualità. Il tenore Fernando de la Mora ha ideato un Don José espressivo, di stile forte ed eroico, assecondando la sua voce penetrante ed eroica e con pertinenza scenica. A sua volta, il basso-baritono spagnolo Rubén Amoretti ha messo in risalto il ruolo di Escamillo rendendolo elegante, seducente, colla arroganza richiesta al personaggio, sfoggiando voluminosi e profondi mezzi vocali. Enivia Mendoza era una Micaela vivace per partecipazione e in buona forma vocale. Il resto del cast e il coro sono stati puntuali in ogni loro intervento. La direzione dell’Orchestra del Teatro de Bellas Artes era affidata al bulgaro Ivan Anguelov che ha condotto tutta la macchina bizettiana con professionalità e precisione ma senza nessun brillo particolare.

Luisa Miller al Teatro Regio di Torino

Foto: Ramella & Giannese- Fondazione Teatro Regio di Torino

Di Giosetta Guerra

Quando in un’opera il padre è più bello del figlio o l’antagonista più accattivante del protagonista, sarebbe meglio ascoltare e non vedere, se poi anche la scenografia è generica e senza tempo tanto vale chiudere gli occhi o fare l’opera in forma di concerto, fermo restando che le voci siano adeguate. Per Luisa Miller (la vicenda è ambientata in Tirolo, nella prima metà del XVII secolo), andata in scena al Teatro Regio di Torino, dopo la lunga e bellissima ouverture, il sipario si apre su un tetro interno ligneo (eppure c’è una festa di compleanno), che si ripete nel corso dell’opera ogniqualvolta si deve figurare un ambiente chiuso (a volte rischiarato da alberi frondosi agitati dal vento dietro le finestre, quasi a richiamo del Tirolo) e che si alterna con pannelli scorrevoli a disegni geometrici quando l’azione si svolge all’aperto. Il vecchio Miller, padre di Luisa, è qui giovane e aitante, Rodolfo, amante di Luisa, è basso e pienotto, il conte di Walter, padre di Rodolfo è alto, slanciato e bello e Wrum, castellano di Walter che vorrebbe sposare Luisa perché ne è innamorato, è anche un gran bell’uomo. Credibilità scarsa.

L’allestimento, coprodotto con il Teatro Regio di Parma, si avvale di regia, scene, costumi e luci di Denis Krief, che a volte fa muovere coro e protagonisti ballando sulla musica e che mira a dar risalto alla differenza dei ceti sociali. Tra i cantanti, tutti bravi professionisti, le tre voci scure maschili hanno fatto proprio una gran figura. Molto belle e ben gestite le voci di Gazale, Iori e Anastassov. Il baritono Alberto Gazale (Miller) è una grande figura scenica e un grande personaggio con il dramma nella voce, l’eccellente modo di porgere, sostenuto dalla ricchezza del mezzo vocale in quanto a colore, peso, ampiezza, morbidezza, dà risalto all’intensità dell’interpretazione. Il basso Orlin Anastassov (Conte di Walter) domina la scena con l’autorevolezza della sua figura, la voce è importante, corposa e di buon peso e volume. Enrico Iori (Wurm) è un bravissimo basso dalla voce robusta e vibrante e dall’aspetto imponente. Il tenore Massimiliano Pisapia (Rodolfo) ha un bel getto vocale, robusto, squillante, sicuro, ma canta quasi sempre con impeto e, per essere un personaggio romantico, si concede poche morbidezze. Non sempre sicura risulta l’emissione del mezzosoprano Barbara Di Castri (la duchessa Federica); la contadina Laura è interpretata dal mezzosoprano Katarina Nikolic e un contadino dal tenore Dominic Armstrong. Poi c’è lei, Fiorenza Cedolins, bella, teatrale, brava cantante e brava interprete, con bella voce nel ruolo di Luisa Miller, che purtroppo non mi sembra completamente adatto alle sue peculiarità vocali. Sul podio dell’Orchestra del Regio c’è il bravo maestro Donato Renzetti, fedele interprete della partitura verdiana e con un occhio sempre attento anche al palcoscenico. Artefice di pagine corali di forte coinvolgimento è il Coro del Regio, diretto da Claudio Fenoglio.

Lugo: la cantata scenica di Rossini non va a Reims

Foto: Teatro Rossini Lugo

Il viaggio al manicomio

Athos Tromboni
LUGO (Ravenna, Italia) - La restaurazione borbonica, conseguente alla sconfitta di Napoleone Bonaparte e alla rinascita dell'assolutismo monarchico, cominciò in Francia il 6 aprile 1814, giorno in cui il Senato chiamò sul trono francese Luigi XVIII. A questi succedette, il 25 maggio 1825, il fratello Carlo X e il clima festaiolo dei giorni dell'incoronazione, in pieno periodo di restaurazione, offrì gli spunti a Gioachino Rossini per la composizione di un'opera buffa (su libretto di Luigi Balocchi), tesa a raccontare la frenesia e l'eccitazione suscitate nella gente dall'evento regio. Nacque così Il viaggio a Reims, una delle opere più originali e più misconosciute di Rossini. Nel libretto, che è una satira del costume dell'epoca, vi si immagina un gruppo di persone di nazionalità diverse che si trovano presso l’Albergo del Giglio d’Oro, nella città termale di Plombières, e decidono di organizzare una viaggio a Reims per assistere all’incoronazione. L’opera ebbe la sua prima rappresentazione il 19 giugno 1825, al Théâtre des Italiens di Parigi, con un cast stellare: praticamente tutti i più grandi cantanti di allora. Dopo quella leggendaria esecuzione l’opera non venne più eseguita, ma Gioachino Rossini riprese e riadattò la maggior parte della musica per Le Comte Ory. Abbandonata in un cassetto per volere dello stesso Rossini, l’originale partitura fu studiata e riportata alla luce solo nel 1984 dal Rossini Opera Festival di Pesaro, con un allestimento e una compagnia di cantanti altrettanto stellare, sotto la direzione di Claudio Abbado e per la regia di Luca Ronconi. Da allora l'opera (anzi, la cantata scenica, perché di questo si tratta, più che di un'opera vera e propria) è entrata stabilmente nel repertorio e viene frequentemente rappresentata non solo in Italia ma anche all'estero: non è privo di significato che Il viaggio a Reims abbia avuto l'onore, nel 2007, d'essere rappresentata al Marinskij di San Pietroburgo, nume tutelare Valerij Gergiev. Anche i piccoli teatri italiani l'hanno riscoperta, e così nel 2009 il Municipale di Piacenza affidò alla regista Rosetta Cucchi e al direttore d'orchestra Aldo Sisillo il compito d'una nuova produzione: quell'allestimento è stato ripreso, il 7 e 8 maggio scorsi, dal Teatro Rossini di Lugo di Romagna (Ravenna), riportando anche qui il grande successo di pubblico che già aveva avuto a Piacenza.

C'è una frase, nel libretto di Balocchi, che è fondamentale per definire l'assurdo che Rossini ha tramutato in farsa giocosa, la dice Don Alvaro, ed è questa: "Si parla di partir e si rimane qui". Infatti quel viaggio a Reims non sarà mai fatto, perché non si trovano cavalli e cocchieri liberi. Quella impossibilità d'uscire dall'Albergo del Giglio d'Oro accende l'inventiva della regista che immagina svolgersi la scena dentro un manicomio, da dove non si può uscire (e nel finale l'immagine di Carlo X che assurge al soglio regale, sarà sostituita dall'entrata in scena del Primario Psichiatra, il medico dei matti, accolto da tutti come un deus ex machina). Definita e creata l'ambientazione, i caratteri dei personaggi vengono da sé: così Madama Cortese sarà una isterica conclamata, Don Prudenzio un medico del manicomio completamente miope e tonto, la Contessa di Folleville una fisima che oltre a portare il cappellino stile Marlene by Coco Chanel deve appoggiare sempre i piedi sopra un cuscino di piume d'oca, il Barone di Trombonok un direttore d'orchestra con la bacchetta perennemente in mano, Don Profondo un antiquario che si porta appresso un inseparabile mappamondo, Don Alvaro un toreador dall'altrettanto inseparabile spada di legno, la Marchesa Melibea una donna attempata con un guinzaglio in mano a cui dovrebbe essere attaccato un cane che però non c'è, il Conte Libenskof un résumé della Grande Russia che invece vive ai tempi dell'Urss, Corinna una poetessa seguace del Mantra e dedita agli oppiacei, e via discorrendo. Ma le idee sono insignificanti se non sorrette dalle azioni a loro più consonanti: così il canto, ma soprattutto la recitazione, dei personaggi diventa un panegirico di trovate, gag, improvvisazioni estemporanee che - senza tradire lo spirito del libretto - hanno l'effetto di divertire molto il pubblico.
I colori di scena predominati sono, come ovvio, il bianco ospitaliero e il blu, mentre il rosso carminio e il nero vengono usati dalla costumista Claudia Pernigotti per alcuni abiti (Don Alvaro, Lord Sidney, Melibea, Libenskof) quale efficace contrasto cromatico. I cambi scena sono eseguiti a vista, con i coristi che entrano, spostano, insufflano, sventolano, trascinano l'attrezzeria, ma tale e tanto movimento contribuisce alla giocosità dello spettacolo, una sorta di variazione implementata alle geometrie prospettiche disegnate da Tiziano Santi. Le luci di Marco Cittadoni mantengono la scena luminosissima, solare, non sono né introspettive né simboleggianti, salvo che nella tiritera cantata da Don Profondo ("Medaglie incomparabili/Cammei rari impagabili") quando il fondale diventa fantasmagoria di bianco rosso e verde come la bandiera italiana.
In siffatta esattezza d'ambiente e puntigliosità di recitazione, la musica si è espressa con altrettanta efficacia e buona qualità. Il direttore Aldo Sisillo, sul podio dell'Orchestra dell'Emilia Romagna, ha trovato le migliori sfumature per il lirismo rossiniano (tempi comodi, non serrati) ed ha eseguito i crescendo e i concertati con il polso necessario all'irruenza musicale del Pesarese. Il cast, costituito da giovani artisti, è stato ineccepibile: tutti molto bravi, sia come attori che come cantanti, con un plauso in più per il tenore Enrico Iviglia (Libenskof) capace di sovracuti timbrati e svettanti (restando a Rossini, ci piacerebbe sentirlo nello Stabat Mater; passando a Bellini, l'andremmo a sentire se fosse Gualtiero del Pirata). Gli altri del cast erano: Natalia Lemercier Miretti (Corinna), Silvia Beltrami (Marchesa Melibea), Elena Bakanova (Contessa Folleville), Enrica Fabbri (Madama Cortese), Alessandro Luciano (Cavaliere di Belfiore), Graziano Dallavalle (Lord Sidney), Marco Filippo Romano (Don Profondo), Salvatore Salvaggio (Barone di Trombonok), Omar Montanari (Don Alvaro), Diego Arturo Manto (Don Prudenzio), Bettina Block (Maddalena), Alessio Manno (Don Luigino), Gloria Contin (Delia), Luisa Staboli (Modestina), Donato Scorza (Zefirino), Kwang Soun Kim (Antonio), Alessio Manno (Gelsomino) e Marco Vito Chitti (Primario Psichiatra, figurante). Caloroso, come si è detto, il successo di pubblico.

lunedì 10 maggio 2010

La Donna senz’Ombra ossia In amor vince chi dice no - LXXIII Maggio Musicale, Firenze

Foto: Maggio Musicale Fiorentino

Massimo Crispi
L’amor coniugale, si sa, vince ogni sfida. Fidelio über alles. Chissà perché poi è sempre la donna che deve fare i grandi passi, all’uomo ne sono concessi altri e d’altro tipo, più spettacolari, magari, attraverso i quali, alla fine, l’uomo ci fa una figura scenica più evidente, e più comodi. E chissà perché è sempre l’azione della femmina a danneggiare il maschio, vedi il primo di tutti, Adamo, e vedi il povero Imperatore di quest’opera che, a causa della mancata acquisizione dell’ombra da parte dell’Imperatrice, pur non entrandoci nulla lui, si mineralizza, potendo solo roteare gli occhi spiritati nel proprio simulacro di pietra. Strauss e Hofmannstahl non avevano ancora sperimentato l’amor coniugale salvifico nelle loro opere. Anzi, fino ad allora di amor coniugale proprio non ce n’era stato, perbacco, tra Marescialle quasi pedofile, Clitennestre omicide, Arianne piantate in-Nasso, fino a quando i due non decisero di affidarsi a una complicatissima fiaba orientale frullandola col Faust, Le Mille e una Notte e tanti altri ingredienti, simboli, magie, maledizioni, cessioni di anime e di ombre e fuochi e fumi e acque e rocce e metamorfosi e prove e riti, e il cui risultato fu Die Frau ohne Schatten, la Donna senz’ombra. Dire che è una pietanza riuscita fino in fondo può essere azzardato, ma di pasticci riusciti parzialmente eppure innegabili capolavori della storia del teatro musicale ce n’è a bizzeffe: solo il Flauto Magico, pur scombiccheratissimo com’è, per fare un esempio, continua a far felici grandi e piccini.
Il Maggio Musicale Fiorentino alla sua LXXIII edizione ha deciso di aprire il festival proprio con quest’opera magica. E la casualità ha voluto che ci stesse proprio come il cacio sui maccheroni, in una situazione di disordine nazionale dove da un governo cieco e becero piovono, tra le tante cose e i VERI problemi da affrontare, decreti che penalizzano il teatro dell’opera in Italia, cioè proprio uno dei non pochi prodotti (com’è vilain parlare di “prodotti” quando si tratta di così alte manifestazioni dell’ingegno e della cultura, ma questi sono i tempi) culturali D.O.C. o meglio D.O.P. a cui si dovrebbe accordare tutto il possibile, per far sì che nel mondo, e anche nel nostro stesso paese, si parli di più d’opera, di canto, di musica, d’arte. Macchè, un “prodotto” come l’opera è inutile, meglio l’Isola dei Famosi, no? o qualunque altro reality show, a cui magari può capitare di partecipare a ex cantanti lirici in disarmo e in vena di vite campestri (ad alti cachet e obbligati alla continua zizzania delle “nomination”). Uno sciopero dietro l’altro delle nostre fondazioni, dove forse, va detto, ci sarà anche qualcuno che lavora meno degli altri ma molti meno che nelle pubbliche amministrazioni, ha annullato varie rappresentazioni in tutti i teatri, ma le maestranze di Firenze sono state le più dure e hanno continuato a incrociare le braccia e le ugole finché non è intervenuto, deus ex machina, il neosindaco di Firenze Matteo Renzi che con promesse, impegni, richiami, ha ottenuto la cessazione dello sciopero e il ripristino, almeno dell’ultima recita, della Donna senz’ombra nonché il proseguimento del festival.

Coup de théâtre che darà molta popolarità al sindaco, ben giocato. Zubin Mehta, direttore principale del Maggio e dell’opera in questione, ha espresso, prima di iniziare e con frullio di fotografi e telecamere intorno a lui, un duro commento nei confronti del governo e del decreto, appoggiando fortemente i lavoratori del Maggio e questo è assai emblematico. Un autorevole straniero, pur se fiorentino ormai da parecchio (sebbene della lingua di Dante e Petrarca sembra che gli sia rimasto attaccato poco), ha osato attaccare il sovrano assoluto, eletto e, a suo stesso dire, amato dagli italiani (ma chi si loda s’imbroda, si sa), e i decreti dei suoi ministri. Popolo di Pechino, la legge è questa, eccetera. È esemplare, l’intervento di Zubin Mehta, perché forse gli stranieri, così è stato per secoli nella storia, non si può negare, più che gli italiani amano questo paese e ciò che esso rappresenta nel mondo. In Un tè con Mussolini di Zeffirelli si vede come le angliche dame difendessero l’arte toscana avventandosi sui nazisti che volevano abbattere le torri di San Gimignano. Vedremo se ci sarà un tè con Berlusconi cosa succederà e chi si avventerà contro chi. E quando Mehta ha detto che Firenze (ma non solo, diremmo noi l’Italia intera) è una delle capitali della cultura nel mondo ha detto un’enorme verità, che sfugge evidentemente ai ministri - e ministri in senso lato sono anche tutti quegli amministratori e funzionari pubblici, dei Comuni, delle Province, delle Regioni, delegati a occuparsi di Cultura e che invece agiscono a un livello barbarico, spacciando per “cultura” la sagra della frittola o del fungo porcino o la presenza nella piazza del tronista o della velina televisivi di turno - che proprio la Cultura dovrebbero organizzare, tutelare, propagare. E quando Mehta ha aggiunto, dopo che dal pubblico qualcuno gridava “Bondi a casa”, che i nomi sono solo nomi, perché poi i politici passano ma i guai e i pasticci che hanno combinato rimangono e “noi restiamo qui a lavorare coi problemi”, l’ovazione nel grande teatro è stata, giustamente, incontenibile. La storia gliene renderà merito.

Perché mai la Donna senz’ombra sarebbe dunque inconsapevolmente opportuna a quest’occasione? Quando fu concepita dalla coppia Strauss-Hofmannsthal era il 1915, lo scoppio della Grande Guerra, anche se vide la luce in teatro anni dopo. Il concetto centrale dell’opera è che se non c’è una discendenza la vita è inutile, che la coppia può essere solo benedetta dai figli sennò è una sterile istituzione, meglio il libero amore. Accidenti, diremmo noi, è proprio l’opera per il Vaticano e il Movimento per la Vita, dovrebbero rappresentarla a ogni piè sospinto in Sala Nervi e in tutte le parrocchie del reame per educare questa progenie cinica, peccatrice e consumista. Ma il messaggio, uno dei messaggi, che emerge è che è la discendenza che garantisce il passaggio, la continuità, il legame tra il passato, il presente e il futuro. Esattamente quello che passava con una conflagrazione mondiale in quegli anni e quello che stiamo passando in questo momento nella nostra civiltà attuale, a un secolo di distanza. E il decreto ministeriale, penalizzando la perpetuazione della cultura e della musica attraverso le fondazioni, ne sancirebbe di fatto la scomparsa.

Basta così colla demografia, almeno per ora. Parliamo di come si è svolta la serata, iniziata col fervore garibaldino di pubblico e direttore e masse, per dovere di cronaca. Alla demografia torniamo dopo. L’opera di Strauss e Hofmannsthal è davvero mastodontica. Un cast con cinque interpreti principali da vocalità ultrafiabesche come ultrafiabesco è il libretto, più una schiera di seconde parti superiori per numero solo ai parenti di Cio-Cio-San, oltre ai cori, e ai bambini non nati, e alle ancelle e ai ballerini, a un’orchestra che non stava neanche nel golfo mistico e che, per l’occasione, ha straripato nei palchi di proscenio... mica facile metterla in scena. Eppure il miracolo è avvenuto, con dovizia di mezzi, va detto, e con un ottimo risultato sui vari fronti. Quello musicale, innanzi tutto, con delle voci sublimi, iniziando da Barak, Albert Dohmen, superlativo, l’Imperatrice, eccellente Adrianne Pieczonka, la Moglie di Barak, Elena Panktratova, oltre ogni immaginazione, e, in misura minore ma sempre d’alto livello, l’Imperatore, Torsten Kerl, e la Nutrice, Lioba Braun. Enumerare il resto del cast è impossibile per la quantità di ruoli, ma tutti hanno dimostrato gran professionismo. Solo una menzione d’onore, meritata, per il Messaggero, il sontuoso e terribile Samuel Youn. L’orchestra del Maggio, sotto la sapiente guida di Mehta, e forse anche galvanizzata dall’appoggio del pubblico e del direttore, ha suonato in stato di grazia, offrendo un immenso affresco, ora sinfonico ora cameristico, della sterminata partitura straussiana (sembra che contenga 180.000 note), interagendo efficacemente col palcoscenico, con momenti di autentica estasi.
L’impianto scenico e registico, oltre ai ricchi costumi, erano di Yannis Kokkos, che ha risolto i non pochi problemi che pone il continuo via vai dal mondo degli spiriti a quello terreno, con dei piani semoventi e dei siparietti di tulle, all’occasione schermi di proiezione, con degli enormi oblò circolari che a loro volta erano schermi, cortine, porte, finestre, specchi, occhi, sfera di cristallo, centro del vortice che trascina tutto agli inferi, sfruttando l’essenzialità delle linee e la geometria, con splendidi effetti luminosi e video scenografie di Gianni Mantovanini e Eric Duranteau. Citazioni su citazioni, dall’Isola dei Morti di Arnold Böcklin a certe atmosfere alla Gustave Moreau, soprattutto nelle danze, con squarci di luce e d’ombra inquietanti e funzionali all’azione. Talvolta, però e ahimè, alcune scenografie sembravano anche un acquario da ristorante cinese, vedi la foresta rossa. Incidenti di percorso, transeant.

Il gran lavoro di Kokkos non è stato solo a livello scenico, bensì anche quello che il regista ha fatto con gli interpreti che, da parte loro, lo hanno assecondato nella sua visione onirica, affrontando le aspre vocalità scritte da Strauss con un’espressione corporea sempre aderente ed estremamente convincente e, soprattutto, mai inutilmente funambolica come molti altri registi usano fare. Le scene della casa del tintore Barak, assai colorate e vivificate dalla varia umanità che vi risiedeva, erano ben congegnate, quasi minimaliste nell’essenzialità delle linee, articolata come fosse più un villaggio del Maghreb che dell’estremo Oriente, e, nell’immenso spazio del palco del Teatro Comunale, sembrava un borgo intero. Bellissimo e magico, sul preludio orchestrale, l’arrivo in barca nel mondo degli spiriti dell’Imperatrice e della Nutrice, con effetti video d’onde e di nebbie sullo sfondo della porta del tempio, vagamente ispirato a Böcklin.

Il gran monologo dell’Imperatrice nell’ultimo atto, dove rinuncia all’ombra per la cui perdita sono finiti prigionieri, tra i geometrici ruderi della loro casa, la Donna e il tintore, era magistrale, da ogni punto di vista. L’isteria della Moglie di Barak e il suo successivo ridimensionamento nella prigionia sono state espresse benissimo dalla Pankratova, voce robusta e di gran bellezza timbrica. La pazienza, l’amore di Barak, anche nei piccoli gesti di Dohmen, venivano fuori ad ogni momento. I brevi interventi del Falco Rosso (Chen Reiss) erano efficaci e impreziositi da un bel costume e da movimenti ben scelti e la tonante voce del Messaggero di Keikobad, immobile in alto nella scena era davvero impressionante. La malvagità della Nutrice, fattucchiera infingarda e melliflua era resa col giusto piglio dalla Braun, pur se la sua voce era meno sonora nel registro grave, che invece caratterizzerebbe meglio un personaggio così demoniaco.

Però siccome ogni medaglia ha il suo rovescio, non proprio ortodosso, vogliamo soffermarci su vari punti, riguardanti soprattutto l’opera. Diamo per scontato che essa è davvero un capolavoro, sia per la musica, che di tanto in tanto apparirebbe quasi da colonna sonora cinematografica, sia per il ricchissimo, densissimo, barocco, forse troppo, testo di Hofmannsthal. Eppure ne avevano messi, lui e Strauss, di ornamenti e di abbellimenti nell’ultima comune fatica, Arianna. Qui, di più. L’intreccio è alquanto macchinoso, e se non ci fossero stati i sopratitoli sarebbe stato di difficile comprensione per chi tedesco non è. Ma poi, anche per chi tedesco è, nel parossismo del canto straussiano molto spesso i versi non si capiscono, figuriamoci in una scrittura così densa come questa. La vicenda, questo continuo andare e venire dal mondo degli spiriti alla Terra, questo insistere sulla necessità della progenie per la coppia, quasi che far sesso senza la procreazione sia poco edificante, è un po’ bacchettona, diciamolo pure. Perfino le sentinelle della città, nel loro canto notturno, esortano gli sposi a fare il loro dovere dandoci dentro e, con una metafora, di mettere al mondo tanti bei marmocchi. E si sentono pure le voci dei bambini non nati, petulanti assai, quasi che fossero stati scritturati dagli antiabortisti per cantare slogan di propaganda demografica. Anche il fatto che la housewife, desperate nonché parecchio scontenta, che si fa un mazzo così per la casa e per il lavoro senz’alcuna gratificazione, e che poi viene sempre tormentata dal marito, bravissima persona, per carità, che vuole però avere una schiera di bambini (che inevitabilmente sarebbero finiti sfruttati nella sua tintoria fin dalla più tenera età, altro che lezioni di danza e di pianoforte e di francese, specialmente in un villaggio orientale), che non possa manco avere una fantasia extraconiugale con un giovane e prestante maschio biancovestito, bello come un tronista della De Filippi, fattole cascare lì per incantesimo o anche solo per ipnosi dalla Nutrice/fintaserva, col quale peraltro non si tocca neanche di striscio, mi sembra davvero un po’ troppo. Addirittura la poveretta si sente in colpa per averlo solo pensato, quell’adulterio incompiuto, e la rinuncia all’ombra/anima/fertilità, il patto faustiano colla strega Nutrice, risulta, alla fine, assolutamente inutile perché non ha prodotto nessuno dei benefici millantati dall’imbonitrice un po’ ciarlatana, una sorta di Wanna Marchi incrociata col Mago Absea, bensì il crollo della coppia dei tintori e della casa e dei cognati e di tutto il resto, giù, nell’avello dell’escuriale.
Effatevenacànna! suggeriva la Marchesini tempo addietro. In fondo, nelle favole, almeno un po’ di sesso c’è, celato o rivelato, e non fa male a nessuno! Cosa pensate che facciano la Bella e la Bestia, i centrini? Che discutano su quale sia il terzo affluente di destra del Danubio? Quattro salti a piedi nudi nel parco? L’intoccabilità e la sacralità della coppia eterosessuale, colla benedizione dei figli, etc etc. ci ha un po’ rotto, si può dire? I quali figli (ci si pensa ogni tanto?) si potrebbero anche trasformare in mostri parricidi e matricidi, o diventare dei teppisti da periferia o da quartiere bene. Erika e Omar. Caino. Pietro Maso. Amanda... Qui, quelli ancora non nati cantano, addirittura, senza annunciare nessuna impresa futura, ma solo reclamando il loro diritto all’esistenza, e che vocine. Happy end con teatro impazzito.

sabato 8 maggio 2010

Firenze: tragica e comica - Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma

Foto: Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Ramón Jacques
L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, una delle principali orchestre sinfoniche italiane, ha eseguito in forma di concerto due opere di compositori differenti, assimilabili non stilisticamente, ma come ambientazione entrambe si svolgono a Firenze

Il progetto di mettere in musica A Florentine Tragedy di Oscar Wilde accomuna Giacomo Puccini e Alexander Zemlinsky, dato che che Puccini si era interessato per ben due volte al soggetto (desistendo in luogo del Tabarro, opera che narra una storia similare di adulterio, sangue e morte). Zemlinsky, invece, concretizzò il progetto componendo nel 1916 Eine Florentinische Tragödie. E proprio con questo lavoro ha avuto inizio il concerto, con quegli accordi orchestrali così sensuali e orgogliosi, una sorta di allegoria del rapporto tra amore e morte in cui la tragedia è già evidente. Mettendo in scena un semplice triangolo amoroso la tensione drammatica cresceva anche per merito di una orchestrazione evocativa influenzata notevolmente da Strauss, Mahler e Wagner.

Il direttore ruso Vladimir Jurowski è riuscito ad estrarre dall’orchestra romana l’esuberanza coloristica contenuta nella partitura, così come il lirismo dell’imprevedibile e irreale finale, anche se in alcuni passaggi la sua lettura è parsa poco calibrata, carente di sottigliezze, rischiando in più di una occasione di coprire i cantanti posti dietro l’orchestra su un piano rialzato Il ruoolo di Simone è stato interpretato in modo soddisfacente da Sergei Leiferkus che ha cantato la sua aria con autorevolezza e bella timbrica. Il soprano tedesco Heike Wessels ha saputo adattare il suo ampio e omogeneo strumento vocale alle esigenze del canto di Bianca, un personaggio intenso, soave e commovente Il tenore Nikolai Schukoff ha donato la sua voce robusta e di linea raffinata a Guido Bardi, il nobile che viene assassinato da Simone.

Nella seconda parte della serata e fin dalle prime battute è emersa la ricchezza orchestrale, la brillantissima armonia e l’energia che promana dalla partitura pucciniana. In questa occasione Jurowski ha concertato con sicurezza ed entusiasmo e l’orchestra ha risposto dilettandosi e dilettando. I solisti, questa volta posti davanti all’orchestra, hanno dato vita a personaggi a tutto tondo. Il ruolo principale è stato interpretato dal baritono spagnolo Juan Pons, uno Schicchi gioviale, burlesco e ciarlatano di voce omogenea e pastosa. Come Rinuccio il tenore Saimir Pirgu ha esibito timbro caldo e fraseggio elegante e Adriana Kučerová ha impersonato una leggera e lirica Lauretta Il resto del cast è parso di buon livello in particolar modo la Ciesca di Anna Maria Chiuri dalla voce opulenta di esuberante colore scuro, il basso Luigi Roni, un divertito Simone, il baritono Giulio Mastrototaro un Marco espressivo e la musicale Nella di Rosanna Savoia.

Salome di Richard Strauss - Teatro Real de Madrid

Foto: Javíer del Real /Teatro Real de Madrid

Ramón Jacques

Il Teatro Real di Madrid ha presentato Salome l’opera che ha consacrato Richard Strauss come operista, una tappa importante per un compositore dedito principalmente fino a quel momento al genere del poema sinfonico, e lo ha fatto con la produzione ingegnosa di Robert Carsen, rappresentata un paio di stagioni fa al Teatro Regio di Torino.
L’azione si svolge alla nostra epoca, con costumi moderni, richiami scenici romani ed egizi, e cassette di sicurezza piene di soldi e oro situate nel seminterrato di un casinò a Las Vegas che rappresentava il palazzo del Tetrarca. L’idea di Carsen di trasferire il modello di città nel deserto dove la gente pretende di arricchirsi divertendosi, senza tralasciare le allusioni bibliche, è servita come metafora che amplificava il carattere di eccesso e declino di una società moralmente corrotta, simile a quella della vicenda. Inclusa la famosa Danza dei sette veli, che iniziava con un ballo erotico della protagonista terminando con la danza goffa di sette uomini (spogliati) ossessionati e frastornati da Salome.

Vocalmente il ruolo principale è stato interpretato dal soprano svedese Annalena Persson che nonostante una voce ben proiettata, di bel timbro, omogeneo e suadente, non ha saputo evitare momenti di rigidità scenica e carenza di sensualità. Imponente il profeta Jochanaan del basso-baritono americano Mark S. Doss, di opulenti mezzi vocali per una prestazione sicura e convincente. Il ruolo di Herodias ha beneficiato della presenza energica di Irina Mishura, mezzosoprano di voce ampia e timbro scuro, mentre il tenore Peter Bronder ha dato vita ad un Herodes sconvolto e turbato, in completo accordo con la visione registica, anche se la sua emissione è parsa a volte non sufficientemente a fuoco. Il tenore Tomislav Mužek (Narraboth) e il mezzosoprano Jennifer Holloway (il paggio), entrambi vestiti come guardie della sicurezza, completavano un cast nel complesso affidabile.

L’esperto direttore Jesús López Cobos, responsabile dell’Orchestra Sinfonica di Madrid, ha saputo estrarre melodia e musicalità dalla partitura senza perdere di vista la tensione che progredisce incessantemente dalla prima all’ultima nota.





martedì 4 maggio 2010

IL FANTASTICO MAGO DI OZ – TORINO – TEATRO ALFIERI, Torino

TORINO – TEATRO ALFIERI
IL FANTASTICO MAGO DI OZ – Musical di rara piacevolezza
(23 aprile 2010)

Di Giosetta Guerra

Una scolaresca si aggira nella platea del teatro e sale in palcoscenico, ascoltando l’introduzione de Il Mago di Oz di Lyman Frank Baum, narrata dalla maestra. Così inizia Il fantastico Mago di Oz, ispirato al celebre romanzo di Baum, rivisitato da Germana Erba e Franca Dorato, messo in scena, con musiche di Bruno Coli e allestimento della Fondazione Teatro Nuovo e Torino Spettacoli, al Teatro Alfieri di Torino, in collaborazione col Teatro Stabile di Pubblico Interesse Torino Spettacoli, col patrocinio di AIACE Torino e del Museo Nazionale del Cinema di Torino nell’ambito di Sottodiciotto Film Festival.

Di questo gruppo di bambini fa parte Dorothy che esordisce cantando la nota canzone “Rainbow” e per magia, ma soprattutto grazie a fantasiose ambientazioni e a sapienti giochi di luci, entra in un mondo incantato di fate buone e streghe cattive, di pupazzi e animali parlanti, di maghi imbroglioni e temuti, mondo nel quale sono proiettati i desideri nella speranza di realizzarli, ma che invece si possono attuare con la forza della volontà. I protagonisti lo capiscono passando attraverso varie peripezie e illuminati da quell’imbroglione del Mago di Oz diventato improvvisamente buono. Ciò che colpisce in questo allestimento è l’ottimo risultato di un lavoro enorme fatto dai docenti e dagli alunni del Liceo Teatro Nuovo di Torino, una realtà scolastica unica in Italia a tre indirizzi: coreutico, corale e artistico. Magnifico! Qui certamente si riesce ad attuare la tanto agognata “formazione integrale dell’alunno” e lo si fa in un clima di gioia.

Ma torniamo allo spettacolo. Tutto in palcoscenico scorre con scioltezza e con naturalezza. Gli attori/cantanti/danzatori sono veramente molto bravi. La fresca e ingenua ma determinata Dorothy (una ragazzina del Kansas) è interpretata da una frizzante e spigliata Miriam Schiavello, una diciassettenne vestita e acconciata da dodicenne, che canta con voce aggraziata e ben impostata, si muove con scioltezza e balla con ritmo, è sempre in scena perché è la protagonista e muove i fili dell’azione alla ricerca della sua casa e degli affetti familiari. Per la via incontra molti personaggi particolari: uno snodato, molleggiato, esilarante spaventapasseri interpretato da Pietro Mazzarino, un bel ragazzo alto e slanciato, ben truccato e vestito da uomo di paglia, bravissimo nel realizzare anche in modo comico l’instabilità dinamica e cinetica di un personaggio inanimato senza muscoli e senza cervello (direi quasi un contorsionista), che si unisce a Dorothy per potersi dotare di un cervello; un triste e grigio Uomo di latta in cerca di un cuore che non ha, appannaggio del bravo Mario Acampa, che passa con facilità dai movimenti a scatto propri di un robot al ritmo di fitti passi di danza tipici del tip tap dopo essere stato oliato; il Leone Codardo, che si accoda agli altri per cercare il coraggio, ben rappresentato da Giuseppe Raimondo, che rimbalza e si rotola come un pupo di gommapiuma e canta con bella ed estesa voce baritonale; la celestiale e buona Fata dell’Est, accompagnata da un corpo di ballo tutto bianco, interpretata e ben cantata da Micol Damilano dentro un sontuoso abito bianco, seduta su un trono bianco sopraelevato, con tanto di scettro e corona; la diabolica e inquietante Strega del Nord, tutta nera, attorniata da tre ballerini virtuosi ed elastici, impersonata dalla brava Lucrezia Collimato che canta ballando sulle punte; il goffo Mago di Oz in abiti clowneschi di Ettore Lalli, la Guardia interpretata da Edoardo Cavallo e la compunta maestra, all’inizio e alla fine della storia, che è Giada Conte.

Fanno da sontuoso ed indispensabile contorno il coro di voci bianche (acute e ben impostate) “Nuove Voci Ensemble” del Liceo Teatro Nuovo, le danzatrici bianche della Fata (Pale Nord) e quelle colorate della Strega (Pale Sud) con in mano enormi leccalecca come stendardi, le Passanti Verdi e i Mastichini del Mago, le Scimmie e i Servi di scena, le ragazze del tornado e i piccoli Bambini della fiaba. Tutto si svolge dentro una scenografia fiabesca accurata e coloratissima, arricchita da bellissimi costumi e resa estremamente accattivante da un disegno luci preciso e mirato, che ha favorito anche i cambi di scena a vista, resi invisibili da fari puntati sui personaggi del proscenio. Nulla è lasciato al caso. Il lavoro registico di Franca Donato ha del miracoloso: la recitazione, la gestualità esagerata, l’espressione, i movimenti coreutici, le apparizioni, gli ingressi, le uscite, il balletto dei sipari per i cambi di scena, gli elementi scenografici costruiti dagli alunni sono curati con precisione certosina e con un rigore che non lascia tempi morti, se si pensa che tutta la preparazione è stata fatta in soli tre mesi, ma questo vuol dire che anche gli alunni sono bravi e credono in questo tipo di attività. Complimenti anche al preparatore vocale Paolo Zaltron, un applauso particolare alla regista coreografa Franca Donato. Uno spettacolo da far girare.

Powder her face di Thomas Adès - Teatro Rossini di Lugo

Foto: Diego Bracci
Athos Tromboni
LUGO (Italia) - Lugo di Romagna è una bella cittadina con palazzi rinascimentali, vicino a Ravenna, a poche decine di chilometri dal Mare Adriatico. Gioachino Rossini visse a Lugo con la famiglia dal 1802 al 1804 e, ancora ragazzino, studiò musica e canto alla scuola dei Canonici Malerbi, dove compose i suoi primi lavori, quali le Sonate a Quattro divenute celebri e il Gloria a Tre Voci. Quando Rossini abitava a Lugo, là era attivo un piccolo teatro d'opera che era stato inaugurato nel 1759. Quel teatro è divento Teatro Rossini di Lugo di Romagna nel 1859; nel Novecento, dopo un periodo di abbandono, è stato completamente recuperato e reso molto bello con i lavori di restauro terminati nel 1986. Da quella data del restauro in poi, il Teatro Rossini ha proposto al pubblico italiano ed europeo le più rare e interessanti opere da camera del repertorio contemporaneo, oltre alla musica della tradizione italiana. In tale veste, lo scorso 8 aprile il teatro ha messo in scena per il suo pubblico l'opera di Thomas Adès, Powder her face, musicata su libretto di Philip Henser.

Si tratta di un'opera da camera, la cui prima esecuzione avvenne al Festival di musica contemporanea di Cheltenham (Gran Bretagna) il 1° luglio 1995. Fu subito un successo che diede al compositore la celebrità. Powder her face è ispirata alla vita dissoluta di Ethel Margaret Whigham, nata in Scozia nel 1912, divenuta la Signora Sweeney col suo primo marito, poi Margaret Campbell, duchessa di Argyll col suo secondo matrimonio. Ricca, bella e piena di successo, la duchessa affrontò una lunga e sensazionale causa di divorzio conclusa nel 1963, quando il giudice Lord Wheatley emise un crudele verdetto di 65mila parole in cui la descrive letteralmente come "una donna sessualmente sfrenata che ha smesso di sentirsi soddisfatta dai normali rapporti sessuali e ha iniziato disgustose pratiche sessuali per soddisfare un suo degradato appetito sessuale". Divorziata, ma irriducibile e coraggiosa, la duchessa di Argyll risalì all'onore delle cronache dando una grandiosa festa per l’ottantesimo compleanno del suo amico Paul Getty nel 1972 e ricevendo il principe Michael di Kent l’anno seguente. Ma nel 1990 venne espulsa dalla sua suite all’Hotel Dorchester, lasciando un debito di 33mila sterline. Morì nella casa di cura St. George, Pimlico, nel 1993.
L'opera scritta da Adès era stata rappresentata in Italia una sola volta, a Roma nel Teatro Olimpico. La partitura è contraddistinta da un grande eclettismo, come tutte le musiche del secondo Novecento: contiene velate citazioni della musica popolare (tango, tea-dance, Cole Porter, musical) ma anche da opere di Alban Berg (Lulu), Richard Strauss, Kurt Weill (L’opera da tre soldi), Igor Stravinsky (The Rake’s Progress). L’orchestra è di 15 elementi, con clarinetti, sassofoni, ottoni, strumenti ad arco, fisarmonica, arpa e percussioni varie: un ensemble simile cioè alle orchestrine di musica da ballo del secondo dopoguerra. Sul piano musicale, come ha scritto il critico del New York Times, Bernard Holland: “l’opera traspira l’epoca delle swinging bands e delle canzoni di Cole Porter, trattate in modo che la brillante parodia della loro musica segnali il periodo specifico. Richard Strauss e l’operetta viennese si mostrano in forma frantumata, mentre La morte e la fanciulla di Schubert, citata in tonalità diverse dall’originale, dà il proprio breve saluto”.
La messinscena vista nel teatrino di Lugo, curata dal regista Pier Luigi Pizzi, ha raccolto le numerose sollecitazioni e provocazioni che derivano dal testo e dalla musica e le ha riunite in una rappresentazione dove emerge non tanto la vita sfrenata e lussuriosa della duchessa di Argyll, non il gossip che ha alimentato la sua figura di donna sfrenata, non la riflessione morale che ne potrebbe derivare, ma l'horror vacui che prende ogni creatura all'apparire del nulla. Quando la duchessa, nell'opera, è ormai vecchia e, nelle parole del libretto, dice: "Non c'è nessuno che parli con me. E le uniche persone che sono state buone con me io ho dovuto pagarle perché fossero buone" fornisce al regista la chiave di lettura dell'intera messinscena. Infatti il senso di vuoto e d'abbandono si respira fin dall'inizio, in quella camera rosa che diviene di volta in volta la stanza del castello di Inverary (Scozia), l'aula del tribunale, la suite dell’Hotel Dorchester, mentre mai si assapora la sensazione della libidine, né al primo apparire in scena della figura della duchessa, magra, bella, slanciata, né durante il rapporto sessuale che lei offre con la bocca ad un cameriere dell'hotel, pagando come sempre perché lui fosse buono e consenziente. L'atto sessuale si intuisce soltanto, dai mugolii della duchessa e dai sospiri del cameriere, perché avviene dietro le tende del letto a baldacchino, mentre l'orchestra dà sfogo a tutta la rumenta (pattume) musicale che solo una mente feconda come quella di Adès poteva produrre. Molto bella la regia, dunque, e misurata, perché non spinge sugli eccessi lascivi. L'orchestra, affidata a Philip Walsh, ha svolto con bravura il proprio compito, dando modo ai cantanti di esprimersi anche nei sussurri gutturali senza coprire la loro voce (come, invece, succede nella musica vocale del Novecento là dove ci siano dei direttori meno attenti e poco competenti). Il personaggio della duchessa era affidato al soprano Olga Zhuravel, molto brava nella caratterizzazione e nel canto; altrettanto brava è stata l'altra soprano, Zuzana Markovà, bellissima donna che Pizzi ha offerto nuda sotto la doccia; a lei erano affidate le parti di amante del duca, cameriera, confidente, giornalista,. Anche il tenore Mark T. Panuccio si è distinto per bravura nei ruoli di elettricista, dandy, cameriere e fattorino. Il basso-baritono Nicholas Isherwood, cui era affidata la parte vocalmente più difficile, non si è imposto come avrebbe richiesto il suo ruolo, soprattutto nella scena del giudice che pronuncia la sentenza: ma di questo bisogna probabilmente incolpare il regista, non il cantante, che veramente ce l'ha messa tutta. Pubblico soddisfatto, alla fine, e tanti meritati applausi per il cast e per l'orchestra.

domenica 2 maggio 2010

Manon Lescaut di Giacomo Puccini - Teatro Comunale Luciano Pavarotti, Modena

Foto sono di Rolando Paolo

Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti
Manon Lescaut di Giacomo Puccini.
(recita del 18 aprile 2010)

BRAVI BRAVI BRAVI!
Di Giosetta Guerra
Tutti bravi sia vocalmente che scenicamente gli artisti di Manon Lescaut di Giacomo Puccini al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, con una punta di eccellenza per i due protagonisti, Amarilli Nizza (Manon) e Walter Fraccaro (De Grieux). Il soprano Amarilli Nizza, dotata di voce importante e duttile, di eccellente tecnica vocale e di grandi doti interpretative, riesce a toccare vertici di indiscussa bellezza in ogni registro e a dare la dimensione della sensualità, della frivolezza, della passione e del dramma nelle differenti situazioni. Nella romanza “In quelle trine morbide” la densità del suono nel registro medio e grave si scioglie in lunghi acuti e in aerei splendidi filati sostenuti. Nello scambio di effusioni con il suo amato, penetrato furtivamente nella casa dell’amante di lei, le voci sono lanciate al massimo come in un grido disperato che la Nizza in parte addolcisce. In “Sola, perduta, abbandonata” lo strazio, la disperazione emergono grazie all’intensità dell’interpretazione.

Il tenore Walter Fraccaro, in possesso di una vocalità sana e robusta, ampia ed estesa, canta di fibra e non conosce ostacoli, ha una canna infuocata e una marea inesauribile di voce e il canto sgorga come un fiume in piena dall’inizio alla fine, per disegnare un De Grieux sanguigno, passionale e determinato, ma anche travolto dalla disperazione nel tragico finale. José Fardilha (Lascaut fratello di Manon) esibisce buona voce di baritono, sonora e ricca di armonici nelle grandi arcate, estesa e di buon peso, bella in zona grave, ampia e corposa in ogni registro. Alessandro Spina gestisce bene in ogni registro una voce di bella pasta scura e recita bene la parte del vecchio e sciancato Geronte (ma in realtà dovrebbe essere proprio un bel giovanotto). Ben timbrato e sonoro il mezzo vocale del basso Stefano Cescatti nel doppio ruolo dell’oste e del comandante di marina. Disinvolto in scena e bravo cantante il tenore Andrea Giovannini nel ruolo di Edmondo Federica Carnevale (un musico) è un soprano con vibrato.
Tutti si esprimono con dizione chiara.

Le scene della Fondazione del Teatro Massimo di Palermo (i nomi dello scenografo e del costumista non sono in locandina) sono datate e costantemente offuscate da un velatino, ma fedeli al libretto (taverna e diligenza nel primo atto, lussuosa camera di Manon nella casa di Geronte, con alcova, toilette, paraventi e una vasca da bagno dalla quale Manon si alza mostrando le sue nudità posteriori nel secondo; un cancello di ferro, una nave in attesa, un carcere nel terzo), tranne quella dell’ultimo quadro, che non è una landa sperduta ma un tetro canyon con fondale ora rosso ora blu ora con immagini del passato da ricca di Manon e totalmente nero con scomparsa della scena alla morte di lei; scene storiche riprese da Maestrini nel 1999 e che hanno fatto il giro del mondo. Belli i ricchi costumi settecenteschi della Sartoria Teatrale Arrigo di Milano, con parrucche di Mario Audello di Torino, naturalmente bianche per gli uomini e boccoli biondi ora raccolti in un’alta acconciatura ora fluenti per Manon. Responsabile degli allestimenti è Gianmaria Inzani e il direttore di scena Marco Galarini.


L’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, che dalla fossa mistica si dilata sui due palchetti di proscenio, esegue attentamente la lettura del direttore Gianluca Martinenghi, dall’espressione melodica dei sentimenti all’impasto sonoro e timbrico della passionalità nel primo atto, dal ricco tessuto orchestrale sotto il duetto di Manon col fratello nel ricordo dell’amante nel secondo atto, che si chiude su un ricamo musicale di assoluta delicatezza, al Preludio del terzo atto, dove la tristezza degli archi è seguita da un’esplosione di solennità che ricorda l’Intermezzo di Cavalleria Rusticana, dal progressivo crescendo di tensione del canto delle prigioniere e dell’implorazione di De Grieux del terzo atto all’introspezione psicologica dei personaggi nel quarto atto, dove domina il senso di solitudine e di disperazione. Possente il Coro Lirico Amadeus della Fondazione del Teatro Comunale di Modena, diretto da Stefano Colò. Funzionali le luci di Bruno Ciulli. Coerente al libretto la regia di Pier Francesco Maestrini, che rispetta la natura dei personaggi e nel secondo atto mette in scena la geriatria, giocando sull’arrugginimento delle articolazioni dei vecchi che circolano nel palazzo di Gerente. Spettacolo soddisfacente, che ha ottenuto il consenso del pubblico.