mercoledì 30 marzo 2016

Piacenza, Teatro Municipale: MACBETH

Piacenza, Teatro Municipale

20 marzo 2016

Macbeth di Giuseppe Verdi,

melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei dall’omonima tragedia di William Shakespeare.




Recensione di Giosetta Guerra

Emerge Anna Pirozzi, soprano drammatico dalla gola d'acciaio e di velluto.

Composta da Verdi nel 1847 e ampiamente riadattata diciott'anni dopo per il Théâtre Lyrique di Parigi, l'opera cadde a poco a poco nell'oblio e venne riproposta al pubblico solo nel 1952 in una memorabile interpretazione scaligera di Maria Callas.
In questa nuova produzione del Teatro Municipale di Piacenza l'allestimento di Macbeth è classico ed essenziale, talora captante talora deludente, alcuni quadri sono originali e resi belli dal gioco di luci e colori su disegno di Michele Cremona, ma gli ambienti e le situazioni non sono sempre comprensibili, inoltre manca la tinta velenosa dei protagonisti. Il regista Riccardo Canessa e lo scenografo Alfredo Troisi sintetizzano il bosco della Scozia, popolato di streghe nere, informi e contorsioniste, 
con un grande tronco nero biforcuto contro un cielo rosso fuoco e blu,

l'atrio del castello di Macbeth con un pesante fondale metallico decorato, squarciano il fondale verticalmente per lasciare intravedere i vari cadaveri e le anime dei  trapassati,














fanno uscire le figure spettrali delle tre apparizioni da un cratere fumoso nel pavimento, è il calderone delle streghe con le streghe che girano la materia in 
ebollizione con lunghi pali,
 
la scena del sonnambulismo passa così, e per la foresta che si muove........dov'è la foresta che si muove? Non c'è, scena saltata. E bravo il regista! Proprio qui l'aspettavo. C'è una certa staticità generale anche delle masse corali. I costumi di foggia classica sono opera di Artemio Cabassi. Silvia Rastelli performer.


Leo Nucci è un baritono di riferimento nel ruolo di Macbeth per resa scenica e padronanza tecnica; non eccede mai nel gesto teatrale, ma dalla mia posizione abbastanza lontana non riuscivo a vedere le espressioni del viso. La voce è ancora solida e vigorosa, anche se non sempre gradevole in zona centrale per suoni gutturali e carenza di armonici, buono il canto di forza per estesione e volume considerevoli con suoni ampi e ben tenuti nelle tessiture alte.

Anna Pirozzi, soprano drammatico di coloratura, presta una voce robusta e nel contempo carezzevole a Lady Macbeth; affronta il canto di forza con squillo sicuro, acuti taglienti, sovracuti sopra il coro e le arcate melodiche di ampio respiro con messa di voce, filati meravigliosi e dolcezza infinita, il colore screziato e la densità dei suoni medi e gravi ci ricordano Maria Callas. Vibrante ne "La luce langue", percorre tutti i registri e tutte le dinamiche con mille sfaccettature, trilli puliti, agilità non eccelse, sostegno del fiato sia nelle violenze che nelle delicatezze.
Scenicamente la coppia dovrebbe essere più cattiva e la lady avere più fiele.
Il basso Giovan Battista Parodi sostituisce Carlo Colombara malato nel ruolo di Banco, canta accuratamente ma la voce è poco robusta e poco voluminosa.
Gli altri interpreti: Federica Gatta Dama, Ivan Defabiani Macduff, Marco Ciaponi Malcolm, Mariano Buccino Medico/Domestico, Juliusz Loranzi Sicario/Araldo/prima apparizione, Anna Perotti seconda apparizione, Gloria Campioni terza apparizione, Agata Passerini Fleanzio.
Belle ed incisive le voci delle coriste, sonorità compatte e robuste della massa al completo per pagine corali bellissime, penetrante l'interpretazione di "Patria oppressa"; il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, istruito da Corrado Casati, è magnifico.

Sensibilissima, possente, delicatissima, struggente l'Orchestra regionale dell'Emilia Romagna, diretta con gesto sicuro e attento da Francesco Ivan Ciampa.

















 

domenica 27 marzo 2016

Fano, Teatro della Fortuna. Il Barbiere di Siviglia

Fano, Teatro della Fortuna

(12 marzo 2016)

IL BARBIERE DI SIVIGLIA
opera buffa di Gioachino Rossini su libretto 
di Cesare Sterbini, tratto dalla commedia 
omonima di Beaumarchais.


recensione di Giosetta Guerra

Troppa roba per Rossini già ricco di suo.

Distrazioni visive e privazioni uditive.

In coproduzione col Teatro dell'Aquila di Fermo e il Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, il Teatro della Fortuna di Fano entra nei festeggiamenti dell'anno rossiniano mettendo in scena Il Barbiere di Siviglia.
Rodion Pogossov è un Figaro mobilissimo e versatile con l'ironia e l'aspetto del comico televisivo Ficarra, è un barbiere atletico che tiene la scena con grande padronanza del palcoscenico e gestisce in modo appropriato una voce baritonale estesa e flessibile, la dizione nei recitativi non è sempre chiara.
Il tenore Giulio Pelligra non ha le qualità né fisiche né vocali per impersonare il conte d'Almaviva: ha il timbro chiaro ma non è un tenore contraltino né un tenore di grazia, mette una certa cura nel porgere, ma spesso canta di fibra e di gola e non tiene gli acuti se non in qualche raro caso, fa le mezze voci ma non ha la fluidità rossiniana, la dizione è carente e la voce a volte non supera l'orchestra. Prova schiacciante di tale inadeguatezza: ha tagliato l'aria finale "Cessa di più resistere".
Bruno Praticò è una vera icona nel ruolo di Don Bartolo; la spontaneità del gesto e la padronanza del palcoscenico si affiancano ad una voce di baritono ferma e robusta, che si espande con sicurezza e si flette con facilità nel sillabato fitto, dove però la parola è incomprensibile.
Il basso Alessandro Spina è uno spilungone che veste bene la tonaca di Don Basilio, possiede voce estesa di bel colore scuro, ampia in acuto e morbida nella coloratura, ma "la Calunnia" richiede maggior spessore vocale ed incisività d'accento.
Josè Maria Lo Monaco è una Rosina malvestita e monacale, ha voce pastosa di mezzosoprano, di bel colore brunito e di normale spessore, suoni pieni e densi in zona medio grave e belle espansioni in acuto, conosce la prassi esecutiva del canto di coloratura, riesce ad eseguire il canto veloce, ma nel farlo la voce diminuisce di volume.
Felicia Bongiovanni è una Berta vamp che giunge a cavallo, il soprano ha un buon mezzo vocale con note gravi dense, acuti lanciati, fa variazioni in sovracuto, ma deve imparare a pronunciare il trigramma "gli" (moglie, non moje)
Daniele Terenzi (Fiorello, poi ufficiale) ha voce baritonale un po' impastata.
Alberto Pancrazi, noto giornalista marchigiano si è prestato per calarsi nei panni di un immobile e caratteristico Ambrogio dalla capigliatura schizzata.
Belli i concertati per il buon amalgama delle voci e dei suoni.
Brava e rispettosa della scrittura rossiniana la FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana diretta da Matteo Beltrami, che dà giusti attacchi alle sezioni orchestrali, corretti gl'interventi del corno tanto amato da Rossini e da...me.
Fantastica per la levigatezza e la levità del suono nella Sinfonia e per la frizzante leggerezza nei concertati. Al fortepiano Elisa Cerri.
Il Coro del Teatro della Fortuna "M. Agostini" diretto da Mirca Rosciani, contribuisce alla resa sonora delle parti d'insieme ed è impegnato anche scenicamente.
Elementi scenici infantili e a volte inappropriati, video e proiezioni originali ma eccessive, costumi moderni, tutto progettato e realizzato dagli allievi dell'Accademia delle Belle Arti di Urbino per l'allestimento del ROF di qualche anno fa.
La regia di Francesco Calcagnini è cervellotica e sovrabbondante con qualche illuminazione. Davide Riboli è l'assistente regista.
Quasi tutti entrano dalla platea dove si dilata l'azione scenica, Fiorello si mette a cantare tra la gente, addirittura tutta la prima scena coi cantori mascherati è schiacciata nel piccolo spazio tra la prima fila di platea e l'orchestra in semioscurità, Lindoro canta le due prime arie in piedi su uno sgabello a un palmo dalla faccia degli spettatori e poi sulla scaletta laterale, il balcone di Rosina è un palco di loggione da dove viene calato e tirato su un pallone, Figaro è seduto in platea, poi sale in palcoscenico e canta davanti ad un velatino opaco dove s'illuminano due porte per far comparire Rosina e Bartolo, mentre un foglietto sale e scende attaccato ad un filo, e dove vengono proiettati gli oggetti della bottega di Figaro; 
quando, dopo un insopportabile lungo periodo di chiusura, il velatino si alza, compaiono dei modellini raffiguranti sezioni di palchetti in miniatura, tipo costruzioni col lego, messi in ordine sparso (soluzione piuttosto infantile) e un maggiordomo strano costantemente seduto in silenzio,
 
i protagonisti spesso si esibiscono su una passerella laterale che collega la platea al palcoscenico, on stage c'è un interminabile andirivieni di personaggi mascherati e camerieri che apparecchiano e sparecchiano (forse eravamo a casa di Don Pasquale?), portano perfino una testa mozza di un cavallo (boh!), la "forza" è in abiti civili, 


durante l'aria di Bartolo and company "Freddo ed immobile" son tutti attorno ad un tavolo che infilzano spilloni su un cervello messo al centro, il finto maestro di musica sbuca da uno sportellino che si alza sulla piana del tavolo dove è seduto Bartolo e 
imbocca il vecchio,
 
Bartolo disinfetta tutti, anche il pubblico, con la pompetta del ddt prima di fare la barba, Berta biondissima entra come una star in groppa ad un cavallo, mentre Rosina indossa sempre un misero e castigatissimo vestitino nero sì da sembrar lei la serva, confusione e azioni di disturbo. UFFA! Non se ne può più di queste regie arzigogolate e cervellotiche, che cercano i cavilli e non badano all'essenziale, ingigantiscono i particolari e mettono in scena troppe cose. Rossini non ha bisogno di essere arricchito, lui è già ricco di suo e di tanta bella musica che non va assolutamente disturbata. Sono invece originali le trovate per la lezione di musica col vecchio addormentato, l'ingresso dalla platea di Don Basilio in portantina a forma di confessionale, il passaggio in platea e in palcoscenico di gente con l'ombrello e con la scala in una mezzaluce blu durante il temporale








e la proiezione sui palchi di scritte e disegni in tema (un po' troppe a dire il vero) per il trionfo della tecnologia. 




Il pubblico si è divertito, ma Rossini è Rossini 
e Il Barbiere è particolarmente accattivante.


sabato 19 marzo 2016

Ostra (AN) La serva padrona

 Ostra (AN), Palazzo Pericoli
(13 marzo 2015)

LA SERVA

PADRONA



di Giovan Battista Pergolesi


Recensione di 

Giosetta Guerra



Ostra è una cittadina nell'entroterra anconetano con vari palazzi antichi che stanno per essere riaperti al pubblico.
Domenica 13 marzo 2016 il palazzo gentilizio Pericoli ha offerto una location esclusiva al gruppo FAI di Ostra, coordinato da Federica Fanesi, per l'allestimento estemporaneo de La serva padrona di Giovan Battista Pergolesi. 
















Non essendo ancora pronte le sale al piano superiore, è stato il lungo e vasto atrio ad ospitare un piccolo palcoscenico sopraelevato e il pubblico che non ci si aspettava così numeroso.















Capofila di questo solido carro dei Tespi l'artista locale Roberto Ripesi, protagonista e regista del grazioso intermezzo.
Posizionati i cinque strumentisti nella parte posteriore del palcoscenico e un divano con tavolinetto in stile antico sul davanti, i tre artisti, in costumi d'epoca, hanno animato il salotto musicale col dinamismo dei tre singolari personaggi della commedia che vivono sotto lo stesso tetto: l'anziano e ricco Uberto, suo cugino Vespone, la giovane serva Serpina che ambisce ad esser padrona sposando appunto il suo padrone. E per raggiungere il suo scopo inventa persino un pretendente, capitan Tempesta, che però pretende da Uberto anche la dote della sposa. E dove non poté l'amor poté il denaro e Uberto, che in realtà amava già la sua 
Serpina, accetta di sposarla.


Uberto era il basso Roberto Ripesi, specialista in ruoli di carattere sia per l'eccezionale mimica facciale e gestuale,
sia per la duttilità di un mezzo vocale solido ed esteso in grado di eseguire anche il tipico canto sillabato del buffo.


Serena Api, neofita ma già padrona del palcoscenico, è una Serpina vezzosa e determinata, porge in modo aggraziato una bella voce di soprano leggero, pulita e scintillante in tessitura acuta, il suono è un po' chiuso in zona medio grave e la dizione non sempre chiara.























Il mimo muto, servitore di Uberto e capitan Tempesta, è un versatile e dinamico Renzo Ripesi, veterano del ruolo.



Il quintetto d'archi "I Cameristi del Montefeltro" era formato da Eleonora Longoni e Massimo Sabbatini al violino, Michele Bartolucci alla viola, Colombo Silviotti al violoncello, accompagnati da Silvia Ercolani al continuo.
Tutti si sono divertiti, artisti compresi, che si sono esibiti a titolo gratuito. 
E questo non è giusto.

foto di Filippo Carboni e Giosetta Guerra








giovedì 17 marzo 2016

teatro Tiberini San Lorenzo in Campo: ILIADE

SAN LORENZO IN CAMPO (PU), 
TEATRO TIBERINI 

(venerdì 11 marzo 2016)

ILIADE, l’ira, la vendetta, la pietà.


Radioteatro di Luca Violini


di Giosetta Guerra

Quando si ascolta una favola o un racconto o un film alla radio è la nostra fantasia che crea ambienti, mentre le sensazioni sono create dal colore della voce narrante e dalla capacità del narratore di usare il mezzo vocale a fini espressivi. Luca Violini, attore, doppiatore, regista, speaker dei canali Radio, possiede questi mezzi ed ha usato il semibuio del teatro Tiberini per fare "radioteatro". Nella fattispecie si può parlare di radiodramma, visto che l'argomento è la storia cruenta della guerra di Troia. 

Luca Violini, solo in palcoscenico davanti ad un microfono e ad un leggio, dopo aver chiesto al pubblico di chiudere gli occhi, ha effettuato una lettura teatrale dell'Iliade di Omero, di quella parte che racconta l’ira, la vendetta, la pietà di Achille nei confronti di Agamennone che lo priva della schiava Briseide, di Ettore per l'uccisione dell'amico fraterno Patroclo e di Priamo a cui riconsegna il corpo del figlio Ettore. E lo ha fatto cambiando colore e registro per adattare la sua voce alle peculiarità dei personaggi. Bravo e bella l'idea, ma una regia più attenta ai volumi sonori e alla maggior visibilità delle espressioni del volto troppo nascosto e troppo in penombra, e, ripeto, qualche decibel in meno avrebbero favorito la godibilità dello spettacolo.

Purtroppo il testo non era di facile comprensione anche per chi conosceva l'argomento, specialmente nella prima parte dove si susseguono nomi e vicende, la recitazione, a volte insinuante, era per la maggior parte affannosa e violenta fino al limite dell'incomprensione della parola e l'ira del pelide Achille era accentuata da effetti sonori assordanti, mentre nelle altre due parti è stato più facile seguire la parola, perché i personaggi erano pochi e la narrazione era intramezzata dai dialoghi, fatti sempre da Violini cambiando la voce. Difficile e sconvolgente il dialogo tra Achille ed Ettore morente, commovente la voce piangente di Priamo sopra una musica morbida e suoni lunghi, intenso il dialogo con Andromaca sopra un tessuto sonoro sospeso. Suoni misteriosi dal potente effetto evocativo (alcuni da film horror) si alternavano a rumori della natura, quali il costante sibilo del vento, i gridi sinistri dei gabbiani che volano sopra i duellanti, il fragore della battaglia col suono ferrigno delle lance contro gli scudi. 

Le voci femminili di Andromaca, Cassandra, Ecuba, Elena erano registrate.

Il pubblico era composto prevalentemente da alunni dei Licei Torelli di Pergola, Mamiani di Pesaro e Nolfi di Fano, preparati dall'Amat nel pomeriggio, che hanno apprezzato lo spettacolo e la formula nuova di creare sensazioni, che sarebbero state più penetranti se non fossero state disturbate da sonorità di fondo così alte e deflagranti.

Voci femminili fuori campo di Caterina Rosi e Milena Costantini, musiche e post produzione audio di Gabriele Esposto, disegno del suono Claudio Cesini, regia di Luca Violini, produzione di Quellicheconlavoce.


lunedì 14 marzo 2016

Pergola (PU) Stagione di prosa 2016: L'uomo perfetto

Pergola (PU) Teatro Angel Dal Foco
L'UOMO PERFETTO
commedia di Mauro Graiani e Riccardo Irrera
(10 marzo 2016)
Recensione di Giosetta Guerra

Sesso, magistrale preparato galenico contro la depressione da aggiungere ai servizi sanitari gratuiti della ASL.



Una donna, che alla ricerca dell'uomo perfetto accumula un certo numero di "conoscenze" maschili, non è considerata sfortunata ma ......
E poi è inutile cercare, perché l'uomo perfetto non esiste.
Tanto vale allora comprarsi un robot, che, programmato tramite pulsanti e ricaricato attraverso una presa elettrica, esegue gli ordini senza protestare e senza pretendere, ti serve e non vuol essere servito e non ti abbandona mai.
È ciò che fanno due sorelle sulla quarantina, l'una un'attricetta bella svampita smaniosa e sgrammaticata sull'orlo del suicidio, l'altra una persona pratica razionale e acculturata, entrambe incuriosite dalla pubblicità letta su un giornale.
Su ordinazione arriva quindi un grosso pacco con due manichini da montare, uno nero e uno bianco, con tre teste, una nera e due bianche.
Trovata la combinazione giusta del robot bianco, lo stendono per terra dietro il divano per vestirlo e ...oplà...si alza un robot a dimensioni umane, che comincia a muoversi e a parlare naturalmente a scatti.
L'attricetta si proclama sua padrona e lui diventa il suo uomo tutto fare, servitore, domestico, accompagnatore ad ogni ora del giorno e della notte, senza nulla chiedere in cambio, perché ovviamente non mangia, non dorme, non si lava, essendo di plastica (anche se ad un certo punto l'attricetta dice, e non so perché, che lui ha un cuore di latta e braccia metalliche).
La sua verosimiglianza umana sia alla vista che al tatto è sconvolgente, ma manca qualcosa: la "parte bassa" è completamente piatta.
Dopo varie disquisizioni delle due sorelle sul come fare per dotare il robot di una protesi, è proprio la tecnologia a produrre il miracolo. Facendo zapping col telecomando, il robot s'imbatte in un film porno e una nuova parola entra nel suo vocabolario: SESSO, che lui subito programma e la "protesi" s'innesca da sola, lasciando le due sorelle a bocca aperta e non solo.
Dopo una notte di sesso sfrenato l'attricetta riacquista l'euforia e tutti i pensieri negativi sfumano grazie a questo collaudato preparato galenico.
Ma un altro impedimento scombina l'equilibrio della casa: il robot, tecnicamente privo di un'anima, comincia ad avere dei sentimenti, a sentire il bisogno della mamma e anche lui entra in depressione portando nel baratro anche la sorella più saggia, ormai entrata in sintonia con quest'essere meccanico che disquisiva anche di filosofia.


Non è difficile immaginare quante situazioni esilaranti scaturiscano da questo plot, e non è difficile immaginare cosa succeda in palcoscenico con due attrici come Milena Miconi ed Emanuela Aureli, affiancate da un bel ragazzo come Thomas Santu.
La prima parte è incentrata sulla presentazione caricaturale delle due sorelle: Milena Miconi, una bella rossa, alta, ben fatta, gambe lunghe e tornite, 
mostra le sue grazie indossando gli abiti spumeggianti o succinti dell'attricetta sognante e a volte esaltata, enfatizza il personaggio con atteggiamenti da sciantosa con recitazione brillante e padronanza scenica, suscita ilarità storpiando le parole come Frassica, che sua sorella prontamente corregge, e il divertimento aumenta perché la sorella è Emanuela Aureli, la nota imitatrice, che, come attrice, pur non avendo una voce teatrale, s'impone per la naturalezza della recitazione e della gestualità, la tenuta della scena e l'immediatezza dell'espressività, ha attirato ovviamente applausi a scena aperta nelle tre imitazioni (della Venier, della Carlucci e della Pravo) inserite ad hoc nella pièce. Ne avremmo gradite delle altre, perché nell'arte dell'imitazione l'Aureli è unica e ne avrebbe guadagnato anche lo spettacolo.
La seconda parte, giocata tutta sull'esibizionismo erotico del robot con conseguente effetto positivo sull'umore di tutti, è un susseguirsi di esilaranti colpi di scena, con effusioni amorose e nudità più suggerite che viste, magistrale l'idea registica di far aprire di scatto al robot l'asciugamano che lo avvolgeva per mostrare le sue doti maschili alle signorine, peccato per noi che lo abbia fatto di spalle ... ah ah ah! 
perché Thomas Santu è proprio un bellissimo giovanotto, aitante e vigoroso, ma è anche un bravissimo attore, che ha stupito per la naturalezza con cui ha eseguito la deambulazione a scatti, la sillabazione staccata delle parole, la gestualità meccanica del robot sia nella modalità casalinga sia nella modalità "homo eroticus". 
Ogni azione e ogni parola son servite per far riferimenti anche all'attualità e per creare ilarità. Quindi la ricarica del robot si fa tramite una presa messa nel di dietro, le attrici ricevono il premio quando interpretano parti mute, il sesso favorisce il buonumore quindi si poteva aggiungere una battuta sulla prescrizione medica di tale rimedio.
Considerato il target della pièce, io mi sarei tenuta eslusivamente sul versante comico-ironico, senza tentativi moraleggianti, come si fa invece nella terza parte col ritorno all'introspezione e quindi alla depressione perfino del robot (peraltro scientificamente impossibile). Ogni spettatore, ridendo, sarebbe giunto alla conclusione che l'uomo perfetto non esiste, neanche se lo si costruisce.
Esilarante e coinvolgente la regia di Diego Ruiz, bella ed elegante l'ambientazione, un salotto da bambola, realizzato da Mauro Paradiso, molto belli e adeguati i costumi di Martina Cristofari, perfette le luci di Giuseppe Magagnini

Uno spettacolo da vedere e da rivedere.
Teatro pieno di Pergolesi con l'aggiunta di alcuni Laurentini.

Prima dello spettacolo ricco buffet per tutti.