Cattolica, Teatro della
Regina
LA CENERENTOLA
di Gioachino Rossini
di Gioachino Rossini
(28 febbraio 2016)
Recensione di Giosetta Guerra
Passione
e spirito d'avventura guidano un gruppo di artisti più o meno
giovani che da qualche anno, capeggiati da un inossidabile Ripesi,
allestiscono opere liriche tra le Marche e la Romagna. I principali
teatri che li ospitano sono La Fenice di Senigallia, il Raffaello di
Urbino e La Regina di Cattolica, e proprio di ospitalità si tratta
perché non sempre la compagnia riesce a portare a casa le spese, ma
tanta è la passione e la convinzione che l'opera vada portata
ovunque che prevale lo spirito d'avventura nel rispetto della
dignità.
La
Cenerentola di Rossini presentata al Teatro della Regina di
Cattolica nel pomeriggio del 28 febbraio 2016 ha dimostrato quanto
possa fare un gruppo di persone determinate e quanto potrebbe fare di
meglio se avesse a disposizione tempo, denaro e personale e quindi
maggior attenzione da parte delle istituzioni, che dovrebbero
avvalersi, anche per la loro immagine, di queste forme di
volontariato.
Con
la brillante regia di Roberto Ripesi, ma anche affidandosi al
loro estro per mancanza di prove, tutti gli artisti si son mostrati
abili nell'arte del canto e dell'interpretazione, hanno vivacizzato i
personaggi di carattere senza calcare la mano, tranne un paio di gag
osé di Dandini, hanno superato con la tecnica alcuni passi di
maggior difficoltà vocale.
Vocalmente
si è distinta Julija Samsonova-Khayet nel ruolo di
Cenerentola per un particolare colore ambrato della voce, dal
suono denso e rotondo nelle tessiture media e grave, in grado di
espandersi nella luminosità del registro acuto, di modulare e
ammorbidire con grazia, di superare con naturalezza le "cento
trappole" del difficile canto di coloratura.
Daniele
Girometti, marito di Julija
Samsonova-Khayet nella vita, pur non essendo un baritono prettamente
rossiniano, ha affrontato bene il ruolo di Dandini,
con voce bella, sonora, duttile ed estesa, e con padronanza scenica.
Dotati
di consolidata tecnica di canto i due veterani del palcoscenico,
Patrizio Saudelli
e Roberto Ripesi.
Patrizio
Saudelli,
tenore di grazia dal timbro chiaro, nella parte di Ramiro
ha
evidenziato accurato modo di porgere e capacità di affrontare il
registro acuto e sovracuto anche con suoni tenuti.
Il basso Roberto Ripesi, vero animale da palcoscenico, è un Don Magnifico magro e scattante, con capigliatura bianchissima e mimica naturale. Vocalmente è come il vino doc, migliora col tempo, la voce è infatti ancora ampia, robusta e agile nel sillabato, il suono è pieno e la dizione chiara. Qualche scollamento con l'orchestra nei sillabati stretti si sarebbe evitato con qualche prova in più.
Basterebbe
un paio di mensilità di un parlamentare per tenere impegnati due
giorni in più una ventina di persone.
Il
soprano Anna
Caterina Cornacchini
come Clorinda e
il mezzosoprano Daniela
Bertozzi
come Tisbe
sono state due sorellastre teatralmente ineccepibili, agitate,
scontrose, litigiose, altezzose, la loro voce dal timbro leggero era
a volta coperta dal suono orchestrale.
Il baritono Massimiliano
Mandozzi
ha cantato bene la parte del barbuto Alidoro
con
un frac abbondante, il timbro è chiaro, ma i gravi sono buoni e poi
c'è ovviamente una bella apertura in acuto. Ha cantato bene anche il Coro Città Futura di Vallefoglia, scenicamente poco curato.
I
volonerosi Cameristi del Montefeltro formavano
l'Orchestra, affossata troppo in basso, diretta dal M° Stefano
Bartolucci posizionato troppo
in alto. Ben eseguita la Sinfonia con appropriati interventi
strumentali solistici, qualche sonorità alta in corso d'opera, ma in
generale la prova è stata soddisfacente.
I
costumi erano belli, ma di fogge e stili differenti.
La scenografia, su bozzetto di Cristina Cicetti e realizzata da Leonardo e Gianmarco Bordi, era la parte più artigianale dell'allestimento: una sorta di parete a semicerchio di media altezza sì da tagliare le figure, per entrambi gli ambienti, con un camino e qualche
screpolatura nell'intonaco
per la cucina (ma don Magnifico non era povero)
e con quadri e intonaco intatto per la sala del ballo, era piuttosto naïve,
per la cucina (ma don Magnifico non era povero)
e con quadri e intonaco intatto per la sala del ballo, era piuttosto naïve,
ma dava comunque il senso di
apertura e di ampiezza dello spazio. E poi c'erano i sopratitoli,
come nei grandi teatri. WOW!
Applausi
meritati, pubblico soddisfatto.
Un
augurio di maggior attenzione da parte degli organi istituzionali
preposti alla cultura.
Nessun commento:
Posta un commento