domenica 26 maggio 2013

JESI - FESTIVAL DELL’OPERA DA CAMERA



JESI
GRANDE SUCCESSO AL FESTIVAL DELL’OPERA DA CAMERA
“Pimpinone” ridà vita a Palazzo Pianetti
(12 maggio 2013)

Una rara partitura di Albinoni agli albori dell’opera buffa

Servizio di Antonio Revelli

 
Erano già diversi giorni che il centro storico di Jesi risuonava di musica dalle finestre dei palazzi antichi: sotto Palazzo Colocci e Palazzo Pianetti i passanti alzavano gli occhi incuriositi e sorpresi da quella piacevole e strana novità. Poi, finalmente il disvelamento del mistero: non era altro che il nuovissimo Festival dell’Opera da Camera –promosso dalla Fondazione “Lanari” e dal Comune di Jesi- di cui nei diversi palazzi si stavano tenendo le prove musicali, di regia, di allestimento, del primo titolo in cartellone. E proprio nella magnifica Galleria degli stucchi di Palazzo Pianetti, domenica 12 maggio 2013 se ne è avuta la première: in scena l’intermezzo buffo in tre parti “Pimpinone”, un piccolo capolavoro di Tomaso Albinoni, autore assai poco rappresentato ma che meriterebbe invece un recupero di interesse. 
Il Festival si distingue infatti proprio per la proposta di un repertorio storico di rara esecuzione, realizzato non in spazi teatrali istituzionali bensì nei “saloni della musica” delle più belle e importanti dimore storiche della Città. Lo spettacolo inaugurale del Festival non poteva essere più stimolante e significativo dal punto di vista artistico e culturale: “Pimpinone” di Albinoni è un lavoro non solo molto bello ed elegante musicalmente, ma importantissimo dal punto di vista storico e musicologico perché ben 25 anni prima di Pergolesi e della sua “Serva padrona" apre la via alle dinamiche sociali che anticipano in teatro l’affermazione femminile nella società. Tra le poche composizioni teatrali di Albinoni giunte fino a noi, “Pimpinone” debutta a Venezia nel 1708, al Teatro San Cassian, come intermezzi buffi per l’opera “Astardo” di Albinoni stesso: accolta con grande favore, la deliziosa partitura ha avuto poi all’epoca diffusione in molti teatri d’Europa. Si tratta davvero di un piccolo gioiello musicale e teatrale, che anticipa il tema serva-padrone di tanti lavori successivi, con un tratto però di ancor più moderna spregiudicatezza nella realizzazione sociale femminile, grazie a un senso civico della “libertà” avanzato e consapevole, forse proprio a motivo dell’ambiente culturale veneziano per il quale l’opera è scritta. Vespetta, il personaggio femminile dell’operina, arriva infatti a fare al coniuge esplicita richiesta di libertà sociale (“già lo sai, vo’ libertà”) e a dichiarare apertamente che “compagne son le mogli e non già schiave”, denotando tutto un mondo che è assolutamente impensabile nella “Serva padrona”, come nelle stesse società del tempo di altri Stati, quali il Regno di Napoli in cui debutta nel 1733 il capolavoro pergolesiano. Da notare, in aggiunta, che la consapevolezza civica di  Vespetta giunge ad affrontare il marito non con le consuete armi femminili della seduzione o delle lacrime, ma in punta di diritto: minacciandolo di chiedere il divorzio! Una modernità del racconto teatrale ben appaiata a quella del tessuto musicale che lo incarna, in una corrispondenza estrema tra gesto scenico e frase musicale che già anticipa il realismo successivo dell’opera buffa, peraltro attraverso una raffinatezza di scrittura non comune: ce n’è davvero non solo per rilanciare all’attenzione un autore dimenticato qual è Albinoni, ma anche per  guardare con occhi nuovi la stessa periodizzazione storica dell’evoluzione dei generi operistici come oggi li consideriamo. Di questo va senz’altro dato merito agli organizzatori del Festival. Lo spettacolo, per la regia di Gianni Gualdoni, si è inserito alla perfezione nell’incantevole scrigno coevo di Palazzo Pianetti, con una tale naturalezza da far sembrare ai presenti che il Palazzo fosse tornato ad avere vita propria con momenti di quotidianità dell’epoca: il palcoscenico sistemato in una delle due esedre, con mobilia dell’epoca e la magnificenza stessa delle pareti decorate a fare da scenografia reale, ridava sapore teatrale al Palazzo come nelle serate musicali offerte al tempo dalla ricca Famiglia dei Marchesi Pianetti. Una regia molto elegante e raffinata, attenta a sottolineare al meglio il dettato della partitura, resa tanto più spettacolare dagli splendidi costumi appositamente realizzati da Giuliana Gualdoni. In scena due bravissimi cantanti marchigiani, la mezzosoprano Beatrice Mezzanotte (Vespetta) e il basso buffo Davide Bartolucci (Pimpinone). Artisti emergenti già in carriera in importanti teatri d’opera nazionali, che hanno reso un’interpretazione di alto rango: piena padronanza scenica della Mezzanotte, alle prese con un difficile e sfaccettato personaggio di “mentalità sopranile” ma scritto per la tessitura del mezzosoprano, di cui non ha mancato d'esprimere tutti i chiaroscuri musicali e le varie inflessioni, ora acute e ora gravi; grande mestiere di Bartolucci, nel disegnare un carattere buffo senza scadere nel grottesco (rischio insidioso, in questi casi) e nel sostenerlo con una cantabilità raffinata, ricca di sonorità grazie ad un materiale vocale importante che riesce a padroneggiare egregiamente. L’orchestra era l’Accademia dei Filarmonici, interessantissimo ensemble che suona con strumenti antichi, che ha fornito
un’esecuzione di grande qualità,con proprietà interpretativa di alta scuola.

Un folto pubblico ha gremito la platea, tributando calorosi consensi ad un appuntamento che si è rivelato davvero raro e certamente resterà a lungo nella memoria di chi ha avuto la fortuna di essere presente.