lunedì 20 gennaio 2020

PS T. Rossini Figlie di EVA prosa




  Stagione di prosa 2019-2020  




LE FIGLIE DI EVA
TRE DONNE ALLA RISCOSSA

16 gennaio 2020

Di Giosetta Guerra


Da circa un anno questo esilarante spettacolo, prodotto nel 2019 da Marioletta Bideri per Bis Tremila, gira l’Italia e finalmente è arrivato anche al Teatro Rossini di Pesaro, pieno fino al soffitto la sera della prima.
Tre donne e un giovanotto hanno incatenato il pubblico, che non poteva perdere neanche una battuta, per quasi due ore, strappando risate e applausi a scena aperta.
Non ci si poteva distrarre e non ci si voleva distrarre, perché battute argute e pungenti si susseguivano a raffica, tic e fobie si manifestavano all’improvviso, gag ed espressioni dialettali gonfiavano la tensione e i differenti caratteri si incrociavano e si sovrapponevano senza mai confondersi tra loro.
Il plot è leggero, ma il testo è scritto con sapiente ironia e calca la mano sulla caratterizzazione dei personaggi: Elvira è la segretaria tuttofare del sindaco, Vicky la moglie svampita del sindaco, Antonia la professoressa supplente affetta da sindrome di Tourette, che sta aiutando il figlio del politico a laurearsi, e un giovane attore bello e squattrinato che le tre donne ingaggiano come avversario politico del sindaco.
Maria Grazia Cucinotta, in minigonna o con lunghi abiti di paillettes oro brillante o con vestaglie sontuose bordate di piume, è Vittoria, ma si fa chiamare Vicky, la bella, ricca e vistosa moglie del sindaco, amante del gossip in tv e dello shopping, consapevole del suo ruolo di prima donna finché non scopre di essere stata più volte tradita dal marito, perciò vuole vendicarsi; Vittoria Belvedere con occhiali da vista, capelli corti, abiti modesti, aria spaesata, sacrifica il suo bell’aspetto per interpretare Antonia, la nevrotica insegnante ligia al dovere e alle regole che deve gioco forza trasgredire per non perdere il posto e non ce la fa più; Michela Andreozzi è perfetta nel ruolo di Elvira che tutto sa, tutto vede e tutto risolve, ma che è stanca di fare senza nulla avere. Tre donne che dipendono in modi diversi dallo stesso uomo, l’unico ad avere visibilità e importanza presso la gente, ma che in palcoscenico non compare mai.
Vi lascio immaginare cosa succede quando tre donne arrabbiate si mettono insieme con l’intento di demolire l’oggetto del loro malessere e della loro rabbia.
Non danno in escandescenze, ma tramano, ahimé.
Ingaggiano un giovane attore, interpretato dal bel Marco Zingaro, e lo manipolano, lo scrostano, lo ripuliscono, lo raffinano, lo manovrano, lo plagiano, lo istruiscono, lo sistemano, lo preparano, lo forgiano, fino a farlo diventare sindaco sbaragliando l’altro, ma alla fine lui si innamora della prof e non vuole fare il sindaco; per lui era stato solo un gioco, per cui si toglie la fascia e la fa indossare a Elvira, l’unica tra tutti in grado di occupare un ruolo di comando.
Se dietro un grande uomo c’è bisogno di una grande donna, la grande donna può benissimo occupare il posto del grande uomo senza aver bisogno di qualcuno dietro.
E le tre donne formano un partito chiamato “Le figlie di EVA”, che è l'acronimo dei loro nomi: Elvira, Vittoria, Antonia.
La più determinata e la più attiva delle tre è Elvira, interpretata da una incontenibile Michela Andreozzi con una comicità seriosa, tipo Franca Valeri al telefono e Geppi Cucciari in qualche battuta, ma in realtà l’attrice ha una sua linea recitativa che non ammette pause o esitazioni, entra con naturalezza nel fiume di parole e di energia del suo personaggio, che è anche frutto della sua penna essendo coautrice del testo insieme a Vincenzo Alfieri e Grazia Giardiello, scatenando più volte risate e applausi a scena aperta.
Maria Grazia Cucinotta fa bene la parte della svampita alla Minni Minoprio e dell’ingenua alla Sandra Milo, pavoneggiandosi nei sontuosi abiti di Renato Balestra.
Vittoria Belvedere delinea perfettamente il carattere della docente problematica, piena di paure e desiderosa d’amore.
Ben dotato fisicamente e scenicamente, Marco Zingaro si presta a questo gioco delle parti con recitazione spontanea e versatilità d’azione.
Naturalmente non mancano sferzate alla politica in riferimento alla situazione attuale.
Ad aumentare la comicità sono i tic delle tre donne: la segretaria ripete spesso “Elvira sa, Elvira vede, Elvira risolve, o Elvira non risolve”, Vittoria ogni tanto cade in catalessi, Antonia impreca e inveisce in calabrese in stile Antonio Albanese (e questo non mi è piaciuto).
Originale la divisione del palcoscenico in tre ambienti senza divisioni concrete, ma con tre porte d’accesso una diversa dall’altra e con un solo elemento caratterizzante: una scrivania per la segretaria, una cattedra per la professoressa, un divano al centro per la signora. Originale anche l’dea di far scendere dall’alto cartelli luminosi indicanti l’ubicazione della scena. Scene di Mauro Paradisi.
I costumi di Laura Di Marco rispecchiano le professioni: rigorosi per la segretaria, casual per l’insegnante, scintillanti e provocanti per la madama.
Il regista Massimiliano Vado è riuscito ad imbastire uno spettacolo estremamente divertente, azione frenetica, ritmo serrato e brillante, grazie anche a degli ottimi attori in grado di entrare nel meccanismo comico con grande serietà.
Ci siamo divertiti moltissimo. Grazie.

 







mercoledì 15 gennaio 2020

Fano Teatro della Fortuna-DON CHISCIOTTE, prosa




       Fano Teatro della Fortuna

   Don Chisciotte     


        20 dicembre 2019

        Visto da Giosetta Guerra         

«La follia è tanto superiore alla sapienza in quanto la prima viene dagli dei, la seconda dagli uomini» (Platone)

Sempre più frequentemente si mettono in scena non opere scritte per il teatro, ma sceneggiature tratte da film o da romanzi, forse per dare un’impronta più personale e più attuale ai testi o per far conoscere opere letterarie anche a chi non legge.

Per l’adattamento teatrale di questo Don Chisciotte Francesco Niccolini si ispira ovviamente al romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra, ma focalizza la sua lettura sul carattere dei personaggi, dalla follia del visionario sognatore Don Chisciotte alla concretezza di Sancho Panza, un contadino ignorante attaccato al denaro ma capace di sognare. Don Chisciotte è un uomo colto sulla cinquantina che, leggendo romanzi cavallereschi e poemi eroici, si è costruito un suo mondo distante dalla sua  contemporaneità, con la convinzione e la determinazione di poter resuscitare il passato glorioso della cavalleria errante. In questo suo bizzarro progetto non può essere solo, perciò convince un contadino del posto, Sancho Panza, a diventare suo scudiero con la promessa di nominarlo governatore di un’isola.

Il camaleontico Alessio Boni entra col corpo e con la mente nei panni del cavaliere errante, capelli biondi ricci alti sulla fronte, armatura senza pretese (casacca bianca e calzamaglia rosa un po’ logora, gambali e accessori vari), maestoso in groppa al suo Ronzinante rotea la spada alla conquista del mondo, in preda alla follia si rotola a terra, recita tra le nuvole o appeso ad una corda, sbarra gli occhi verso il vuoto, si pone all’ascolto di rumori sospetti e in lontananza vede e sente eserciti di guerrieri arabi da sbaragliare, ma in realtà sono greggi di pecore belanti, lotta contro i mulini a vento scambiandoli per giganti dalle braccia rotanti, si figura un mondo incantato, dove compare una duchessa con gorgiera, capelli rossi ricci e vede Sancho sul trono della sua isola. Inveisce contro la chiesa nemica della cultura e attacca la processione di incappucciati in bianco con una statua sacra sopra una barella. Dà in escandescenze quando si accorge che gli hanno bruciato tutti i romanzi cavallereschi, colpevoli, secondo gli altri, del suo vaneggiare. 
La recitazione è per tutti piuttosto tesa a volte gutturale e di tono alto, per esprimere la rabbia, la forza, la determinazione. 

Un’eclettica Serra Yilmaz, attrice turca, interpreta il fedele e fiducioso scudiero Sancho Panza, umilmente vestito con pinocchietti larghi, casaccone scuro, pesante gilè e un cappellaccio a larghe falde sopra capelli blu cortissimi, che trascina camminando un asino di stoffa dentro cui è infilata. 



















Bassotta, grassotta, teatralmente fotogenica, ha accento straniero e usa verbi all’infinito, è una donna che dà credibilità e comicità a questo personaggio maschile al di fuori degli schemi.

Due donne affiancano idealmente o realmente i due girovaghi, la fantomatica nobildonna Dulcinea del Toboso, alias la contadina Aldonza Lorenzo, alla quale Don Chisciotte dedica le sue imprese e l’irosa moglie di Sancho che sbuca ogni tanto da dietro le quinte, come l’uccellino dell’orologio a cucù, ringhiando e latrando, come Cerbero, in dialetto calabrese.

Il terzo magnifico protagonista è Ronzinante, il cavallo di cartapesta dalle sembianze naturali, manovrato dal coraggioso Nicolò Diana, nascosto sotto la pancia, ma con le gambe ben visibili, che si porta sul groppone Don Chisciotte (sali, scendi, cammina) per tutto lo spettacolo.
Una trovata magistrale.

Con la drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer e dello stesso Francesco Niccolini, il cavaliere errante da quasi un anno è in giro per i teatri d’Italia con una compagnia di specialisti, formata da Alessio Boni, Serra Ylmaz, Marcello Prayer, Francesco Meoni, Pietro Faiella, Liliana Massari, Elena Nico, Nicolò Diana.

La regia, condivisa tra Alessio Boni, Roberto Aldorasi e Marcello Prayer, opta per una presentazione a quadri narrativi con cambi a vista o con abbassamento delle luci. Pennellate di sarcasmo e d’ironia, ma anche presenze inquietanti come la classica morte con la falce, il malato agonizzante sul letto e voci fuori campo che recitano le litanie fanno da zoccolo duro della consapevolezza, dalla quale si stacca la geniale follia di Don Chisciotte.

Trovate sceniche geniali come il chiarore rossastro della pira dei libri visibile da uno squarcio del sipario semichiuso, o la grande pala di un mulino che compare davvero in palcoscenico nella lotta contro i mulini a vento, voci fuori campo, effetti scenici, tagli di luce, l’uso del controluce arricchiscono la scenografia minimalista di Massimo Troncanetti
La scena più illuminata avrebbe permesso una miglior visibilità delle espressioni dei visi.
Costumi maschili e femminili d’epoca con copricapo a cuffia di Francesco Esposito, luci di Davide Scognamiglio, musiche di Francesco Forni.

Un lavoro d’équipe ben condiviso che ha prodotto uno spettacolo interessante e coinvolgente.

Nel programma sarebbe opportuno scrivere il nome del personaggio a fianco dell’interprete, come si fa per l’opera lirica.


 

        foto di Gianmarco Chieregato         



mercoledì 8 gennaio 2020

Fano Teatro della Fortuna- Concerto di Capodanno



Fano, Teatro della Fortuna


 

CONCERTO DI CAPODANNO

(1 gennaio 2020 ore 17)
L’Orchestra Sinfonica Rossini, 
Il M° Daniele Agiman, 
il pianista Pietro Bonfilio
per un concerto di Capodanno 
più interessante di quello di Vienna


 



 By Giosetta Guerra 




Periodo di festa, periodo di musica nei teatri, nelle piazze, in TV, in eurovisione.

L’elegante Teatro della Fortuna di Fano ha inaugurato il nuovo anno 2020 con un magnifico concerto dell’Orchestra Sinfonica Rossini diretta da Daniele Agiman.
La prima parte si apre con un omaggio a Rossini, la Sinfonia da Bianca e Falliero che mette in luce la levigatezza del suono orchestrale anche nei crescendo, la gentilezza del canto dei violini, la possenza delle voci scure della sezione archi.
A seguire una grande composizione per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven, il concerto n. 5 in Mi bemolle maggiore, L’Imperatore, op. 73. 
Composto a Vienna tra il 1809e il 1810 e dedicato all'arciduca Rodolfo Giovanni d'Asburgo-Lorena, fu eseguito per la prima volta a Lipsia il 28 novembre 1811.
Il concerto suddiviso in 3 movimenti, Allegro, Adagio un poco mosso (in si maggiore), Rondò: Allegro, dura ben 38 minuti, durante i quali l’immensità di una musica sublime inonda il teatro della Fortuna attraverso la magistrale interpretazione del bravo pianista Pietro Bonfilio, con la complicità di un ottimo gran coda dal suono cristallino e della preparatissima Orchestra Sinfonica Rossini, guidata da un ispirato direttore.
Di grande impatto è l’apertura a carattere virtuosistico dell'allegro, affidata alle note argentine e splendenti del pianoforte, cui segue una maestosa esposizione dei temi da parte dell’orchestra con suono denso e arcate decise.

L’orchestra riesce a dare il giusto carattere ai diversi temi del percorso armonico, suonando col cuore e con la testa. Dialoga col pianista, che stupisce per la varietà del tocco, ora morbido e delicato, ora virtuosistico e scintillante, ora deciso ed energico, ora scandito e punteggiato, l’artista sfiora coi polpastrelli i tasti per magnifiche scale ascendenti e discendenti, poi li martella per trilli e picchettati liquidi che danno la sensazione di una musica sull’acqua. Chissà perché mi viene in mente Debussy.

Un’orchestra a mezza voce trasmette la dolcezza dell'adagio un poco mosso dall’estrema cantabilità e andamento cullante, il pianoforte accentua il clima intimistico in un’atmosfera sognante insieme alla voce evocativa del corno e alle lunghe arcate degli archi, poi il pianoforte si fa incalzante con trilli e abbellimenti, si fonde con l'orchestra, le sonorità totali si dilatano in ampi brani in cui domina sua maestà il pianoforte.
Nel Rondò finale scintillante e gioioso il pianista snocciola suoni brillanti e perlacei, ma anche accenti delicati, dimostrando una grande padronanza tecnica dello strumento, una conoscenza minuziosa della composizione e una partecipazione emotiva profonda, a cui l'orchestra risponde con imperio.
Un breve bis di Schumann ha accontentato il pubblico plaudente.

Purtroppo io ho avuto solo godimento uditivo, perché dalla mia posizione di prima fila in platea vedevo solo le gambe del pianista e del direttore. J


Il giovane pianista Pietro Bonfili, non ancora trentenne, si è diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, ha approfondito gli studi con Maestri del calibro di Michele Campanella e Lang Lang, è un vero virtuoso del pianoforte e si esibisce con successo in Italia e all’estero. 

Nella seconda parte del concerto i classici auguri di Buon Anno per tutti con due brani di Johann Strauss jr., Frühlingsstimmen op. 410 (Voci di Primavera) e An Der Schönen, Blauen Donau, Op. 314 (Sul bel Danubio blu) e due bis: la Radetzky March di Johann Strauss I e, chicca finale, l’Ouverture del Guglielmo Tell di Rossini.

Capirete…Adrenalina a mille in palcoscenico e tra il pubblico, che ha risposto con lunghi e concitati applausi alla magnifica performance dell’orchestra, guidata da un direttore “ballerino” elargitore di entusiasmo. 
Anche nei classici valzer viennesi, solitamente presentati con suoni staccati e smarcettanti, l’Orchestra Sinfonica Rossini, diretta dal M° Daniele Agiman, mantiene un andamento danzante e armonioso con linea morbida e sinuosa, suoni legati ed aerei che sfociano in fastosi finali.

Proprio un bel concerto per cominciare l’anno “vénti vénti” (con la e chiusa mi raccomando J).

  foto Luigi Angelucci

giovedì 2 gennaio 2020

Teatro Rossini Pesaro L'attimo fuggente



Pesaro Teatro Rossini

L'attimo fuggente


(recita del 12 dicembre 2019)

By Giosetta Guerra

La ripetitività dei movimenti e degli spostamenti 

finisce col diventare magnetica
















A trent'anni dal debutto cinematografico torna sulla scena L'attimo fuggente nella versione teatrale in un atto unico di 95 minuti di Tom Schulman, vincitore del premio Oscar per la sceneggiatura italiana del film. Prodotto nel 2019 da ErreTiTeatro30, STM Live, porta la firma del regista Marco Iacomelli e la magistrale interpretazione di Ettore Bassi nel ruolo del professor John Keating.

La scena fissa ideata da Maria Carla Ricotti è minimalista e simbolica. Due pareti bianche ricurve in fondo e sul lato destro del palcoscenico rappresentano due pagine di un grosso libro aperto, dove sono raffigurati i visi degli allievi degli anni precedenti, il testo manoscritto della poesia di Walt Whitman O Captain! My Captain, dedicata all’assassinio del presidente Lincoln e una grande effigie del poeta statunitense. Al centro un pavimento bianco rialzato con solo sei sedie scure. La scena di stretta essenzialità cambia funzione tramite lo spostamento a vista delle sedie e il cambio delle luci o l’uso di torce a mano, quindi funge da aula scolastica, refettorio, grotta per le riunioni segrete della Setta dei poeti estinti, teatro.
Protagonisti sono sei giovani studenti della Welton Academy, una scuola maschile elitaria e conformista ubicata sulle colline del Vermont nel 1959, diretta da un preside anziano all’antica, che frequentano le lezioni di un professore moderno e comunicativo.


L’attore Mimmo Chianese trasmette con piglio deciso l’autorità e la severità senza apertura del preside Paul Nolan, impartisce ordini a voce alta con tono militaresco e se ne va senza attendere replica; dietro le spalle si becca gli sberleffi e il sarcasmo degli studenti, che comunque ubbidiscono.
Uno degli studenti subisce la violenza psicologica del padre che lo costringe a rinunciare ai suoi ideali teatrali. Marco Massari interpreta con gesto forte l’ottuso ed egoista sig. Perry in perenne conflitto col figlio Neil, curioso e sognatore, interpretato con passione dal giovane attore Matteo Vignati.


Tutti indossano abiti scuri, tranne il professore che ha un completo marrone, una sola giovane donna si presenta alla fine in abito rosso.
Anima e motore della pièce è il professore John Keating, insegnante di letteratura, un uomo pieno d’entusiasmo e di libertà di pensiero, che entra subito in sintonia con i giovani studenti assetati di futuro, ma crea un certo sgomento nel preside Nolan e nelle famiglie per i suoi metodi assolutamente insoliti.


Ettore Bassi veste con disinvoltura i panni di questo docente che non dimentica di essere anche educatore, con convinzione riesce ad inculcare nei giovani studenti principi di vita spesso disattesi, fa capire loro che la violenza non paga, che non si può vivere per qualcun altro né avere una vita di quieta disperazione, come spesso succede. L’attore sottolinea con decisione l’importanza di far nascere negli allievi la curiosità del nuovo, esalta la positività di questo personaggio, che purtroppo non ha avuto la bacchetta magica per impedire l’atto tragico del giovane incompreso Neil.
La deflagrazione di uno sparo e un’improvvisa fiammata espansa squarciano la penombra della scena.
La ripetitività dei movimenti, degli spostamenti, delle entrate e delle uscite, del cambio luci, inizialmente monotona, finisce col diventare la cifra magnetica dello spettacolo.
L’intensità dei silenzi, la naturalezza della recitazione, l’incisività della parola, la profondità dell’argomento, la capacità di comunicare sentimenti hanno tenuto il pubblico in religioso silenzio e devota attenzione. Tutti gli attori sono stati molto bravi, espressivi, credibili.
A fianco dei protagonisti hanno recitano: Alessio Ruzzante nel ruolo del timido Todd Anderson, compagno di stanza e confidente di Neil, Matteo Napoletano in quello di Charlie Dalton, Leonardo Narini come Richard Cameron, Edoardo Tagliaferri nel ruolo di Steven Meeks e Matteo Sangalli in quello del timido Knox Overstreet innamorato della bella Chris interpretata da Sara Giacci.

Luci di Valerio Tiberi ed Emanuele Agliati, fonico Donato Pepe, video Massimiliano Prticari, Musica Marco Iacomelli, foto Giovanna Marino.
Organizzato da: Comune di Pesaro, Amat, Regione Marche.