San Lorenzo in Campo (PU) - Teatro Tiberini
Stagione di prosa
LA MANDRAGOLA
di Nicolò Machiavelli
Tragicommedia d’intrighi, d’inganni e d’ironia, dove il fine giustifica i mezzi,
entrambi non sempre nobili.
(22 gennaio 2015)
L’attualità del
passato fa riscoprire la contemporaneità dei classici
recensione di Giosetta Guerra
Pensate un po’ cosa potrebbe uscir fuori da un
gruppo di persone così assortite: un marito anziano forse sterile che vorrebbe ancora
diventar padre, un giovanotto innamorato della bella moglie dell’anziano
ritenuta sterile e quindi verginella repressa con una madre ruffiana, un frate
venale e senza scrupoli, un Figaro della situazione animatore d’inganni, tutti presentati
da uno speaker d’ordinanza.
State già sorridendo? Non vi affannate, ci ha già
pensato cinquecento anni fa Nicolò Machiavelli, scrivendo La Mandragola, capolavoro del teatro comico
cinquecentesco, scritto intorno al 1518.
Questa commedia prende il titolo da un'erba
medicinale “la mandragora” ritenuta capace di combattere la sterilità nelle
donne, ma in realtà erba velenosa che potrebbe essere scambiata con la
borraggine. Quindi attenti.
Ề ovvio che far credere ad un marito tradito che la
moglie sia rimasta incinta grazie ad un’erba miracolosa era un espediente per
giustificare una moglie fedifraga, ma per crear queste fantasie
occorreva una mente diabolica e creativa, e la satira di
Machiavelli si avvale proprio dell’astuzia e dell’intelligenza di alcuni suoi
personaggi per smascherare e condannare la corruzione della società del suo
tempo. Il sarcasmo di Machiavelli si traduce in satira pungente contro la
corruzione del clero e la superficialità del potere, contro la stupidità delle
donne e la falsità degli amici, delineando stereotipi immortali adattabili ad
ogni tempo.
Ecco il plot de “La Mandragola”.
Messer Nicia Calfucci è il marito anziano di
Lucrezia, di lei è innamorato Callimaco, che Ligurio, ideatore dell'inganno, presenta
a Nicia come famoso dottore conosciutissimo anche a Parigi e persino a corte in
grado di risolvere il suo problema; Callimaco, con arte affabulatoria e
sentenziando in latino convince l’anziano di avere un rimedio contro la
sterilità: una miracolosa pozione di mandragola da far bere alla moglie la sera
stessa prima di coricarsi per far avvenire il miracolo durante la notte. Purtroppo
quella bevanda ha una controindicazione: il primo uomo che giacerà con lei
morirà presto, quindi sarebbe opportuno prendere un “garzonaccio” sconosciuto dalla strada, per dar poi via libera
al vero marito. Il piano è machiavellico ma ben congegnato, Ligurio ottiene
anche la complicità di Fra' Timoteo che per denaro convince Lucrezia e la madre
Sostrata che non sarà commesso alcun peccato se la moglie passerà la notte con
uno sconosciuto, perché non lo fa per sua scelta.
Ovviamente lo sconosciuto è Callimaco, che riesce a passare la notte con
Lucrezia e, una volta rivelatosi, ne diviene l’amante col benestare del marito
ignaro e riconoscente, che invita lui e Ligurio a vivere nella sua casa come
amici di famiglia. Sicché dopo l’inganno anche la beffa. Siro è il presentatore
e complice dell’inganno. Tutti si ritrovano la mattina seguente in chiesa per “purificarsi”
delle loro colpe.
Per mettere in scena una simile fantasia di fuochi
d’artificio occorre una gran sintonia tra gli attori e una regia che non abbia
tempi morti o rallentati.
Al Teatro Tiberini di San Lorenzo in Campo abbiamo
avuto il piacere di ospitare la Compagnia U.R.T.-La Corte Ospitale che ha i requisiti
richiesti (ma dovrebbe cambiare nome perché non si capisce chi è).
La regia di Jurij
Ferrini è fluida e movimentata, ha un ritmo serrato, un po’ sopra le righe nei
toni a volte troppo alti ed esagitati delle voci, che comunque seguono il
crescendo dello sviluppo scenico della vicenda, fitta d’intrichi, di equivoci,
di doppi sensi, di gags esilaranti, di giochi di parole.
Belle idee registiche
per creare spettacolarità, come la danza degli ombrelli e l’uso
appropriato delle luci disegnate da Lamberto Pirrone, o per
strappare la risata, come Nicia che fruga nelle parti intime e non trova il bigolo e quel vasetto di urina pronto per le analisi che finisce in
faccia di qualcuno.
Il regista è presente anche
fisicamente nel gioco scenico in qualità di attore, perché è proprio Jurij
Ferrini ad impersonare Messer Nicia Calfucci il
vecchio marito cornuto, contento e coglionato. Impressionante la sua
espressività, la sua mimica facciale, l’aria attonita e spaesata del credulone,
l’aria schifata di chi aborre l’idea di essere sterile, l’intenzionalità dei
suoi silenzi e dei suoi sguardi, fisicamente caratterizzato da un aspetto
ingenuo e trasandato con quegli occhialini sul naso e i capelli brizzolati in
disordine e una deambulazione precaria, lui è l’elemento comico, meglio dir tragicomico, della compagnia, il Falstaff della situazione, perché sembra strano, ma in palcoscenico e nella
vita il burlato fa sempre ridere, anche se con un retrogusto amaro.
E grande sintonia c’è stata tra i
bravi attori ben calati nei loro personaggi con vis
comica naturale per questo esilarante sposalizio tra tradizione e
modernità.
Igor Chierici è un versatile servitore di
nome Sirio, molto sciolto sulla scena
e nella recitazione, Luca Cicolella è un Callimaco
dal gesto nervoso e dalla loquacità compulsiva e impetuosa, fluido è il
fraseggiar di Michele Schiano di Cola nel ruolo di Ligurio,
servo di Nicia, Angelo Maria Tronca, con la tonaca nera e il collarino da prete (ma non
deve essere un frate e quindi vestito col saio bianco?), è Fra’ Timoteo,
venale e sfuggente come Don Basilio de Il
barbiere di Siviglia, si muove con fare circospetto alla ricerca di qualche utile personale,
non abbandona mai la scatola nera delle LIMOSINE e fantastica con mimi
e mugolii sulla notte d’amore dei due amanti.
Meno caratterizzate le due donne:
Cecilia Zingaro è Madonna Lucrezia, una dama
alta coi capelli lunghi in libertà e un vestito rosso piuttosto castigato, che
denuncia più la sua vita composta che i suoi desideri repressi, (il regista
avrebbe potuto giocare un po’ sull’indecisione se mostrare o nascondere,
presentando magari una dama ritrosa ma vestita in modo provocante, anche
distinguendola con un costume d’epoca scollato al punto giusto); Claudia
Benzi con abito nero
profilato di bianco e un gran cappello nero, è Sostrata, la madre un po’ sciatta di Lucrezia.
L’azione è ambientata nel nostro presente, in scena
solo un lungo tavolo grigio con sedie nere, gli uomini sono in giacca e
cravatta e le donne con abiti un po’ retró (costumi di Nuvia Valestri), la recitazione pone
attenzione alla parola perché è sul gioco di parole e sui doppi sensi che nasce
l’ilarità, il testo è originale quindi in rima e in lingua medievale comprensibile
con intercalar di latino per le persone istruite.
Impreziosiscono lo spettacolo musiche importanti,
lontane dall’epoca della storia ambientata nella Firenze del 1494. In apertura una
musica da film introduce l’imbonitore Sirio che presenta i protagonisti, l’Adagio di Albinoni sottolinea l’entrata
di Nicia, Toccata e fuga di Bach
accompagna la digitazione del codice del bancomat sulla schiena del frate, Le Danze ungheresi di Brahms danno
inizio alla beffa, il Can Can da I racconti di Hoffmann di Offembach introduce il
maschio Callimano nell’impresa della seduzione e apre il ballo con gli ombrelli
aperti e gli ombrelli rotti, la danza
spagnola dal Lago dei cigni di Cajkovskij e per
chiudere il canone in re maggiore di
Pachelbel. (Consiglio di scrivere anche i titoli musicali in programma, perché il teatro, oltre che divertimento, è anche insegnamento).
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