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Fano, Teatro della Fortuna, Nuda proprietà, prosa
Fano, Teatro
della Fortuna
Nuda proprietà
commedia di Lidia Ravera
(10 gennaio 2015)
di Giosetta Guerra
Quando si è in età avanzata e senza soldi, ma proprietari di una casa,
si vende la nuda proprietà, per avere denaro e abitazione assicurati fino alla
fine della vita e poi più nulla.
Così fa Iris che, per realizzare di più dalla vendita, si finge vecchia
e malandata con l’acquirente napoletano speculatore, ma in realtà è ancora
fresca e pimpante, capace di saltare con la corda e di…innamorarsi.
Senza
volerlo s’innamora di Carlo, uno psicanalista ancor giovane ma solo, a cui la
donna ha affittato una stanza per il suo studio, un amore pacato, fatto di
condivisioni, di complicità, di affinità, di sostegno reciproco, di
completamento, che matura a poco a poco e coinvolge prima lei poi lui e che
finisce con uno sberleffo della natura: lui più giovane si ammala prima di lei.
A movimentare questo nuovo menage ci pensa la giovanissima e spregiudicata nipote di lei, tornata
all’improvviso, che rivendica la sua cameretta ora diventata studio medico, e
naturalmente il nuovo proprietario della casa, ansioso di entrare
definitivamente in possesso del suo appartamento.
Questo il plot della commedia Nuda proprietà, estrapolato dal romanzo Piangi pure di Lidia
Ravera, giornalista, scrittrice
ironica, attenta al mondo femminile.
Visto l’argomento, è naturale che lo scavo
psicologico dei personaggi sia in prima linea e i dialoghi siano serrati, ed è
richiesta agli attori una capacità istrionica di trasformismo e di adattamento
ai cambiamenti anche improvvisi di situazioni.
Se si pensa ad un’attrice capace di alternare una
recitazione logorroica e compulsiva a momenti di silenzio e di contemplazione,
l’esuberanza di una giovane donna alla precarietà deambulatoria e gestuale di
una vecchia malata, di dialogare coi presenti e con gli assenti (un po’ alla
Edoardo De Filippo), di esprimere con la mimica facciale e con l’intonazione
della voce il dolore e la felicità, la
paura e la speranza, la rassegnazione e il desiderio, l’amore e la delusione,
il nome di Lella Costa
esce per primo. Iris è dunque Lella Costa, un’attrice dal fisico ancora giovane e scattante,
naturalissima nelle trasformazioni e nell’esternazione dei sentimenti
contrastanti, delicata nei rapporti col nuovo arrivato, incontrollabile
nel profluvio di parole permeate di
autoironia. Impressionante anche la trasformazione della bionda signora in
abito grigio perla e scarpe rosse in vecchietta con vestaglia, mantellina della
nonna, retina sulla testa, borsa dell’acqua calda, tremore alla gamba, voce
insicura.
L’affianca un composto e riservato Paolo Calabresi, che sa dare significato anche ai
silenzi con un’espressività comunicativa, un bel giovanotto mai invadente, ma ironicamente catastrofico che aumenta le ansie di lei e
finisce per darle tanta sicurezza. Dai loro sguardi e dai rari sfioramenti
delle mani e del viso s’intuisce un rapporto estremamente tenero.
La
regista Emanuela Giordano, responsabile anche di costumi e
luci, ha fortemente sottolineato le differenze
generazionali presentando una nipote scoppiettante e trasgressiva anche
nell’abbigliamento, ottimamente interpretata dalla giovanissima Claudia Gusmano,
mentre
ha dato a Marco
Palvetti i connotati di un subdolo jettatore,
innescando una serie di equivoci esilaranti. Musiche di Antonio di Pofi, scene minimaliste grigio perla di un interno di Francesco Ghisu, produzione La Contemporanea – Mismaonda.
Un
testo cervellotico, non privo di sarcasmo, d’ironia, di dramma, una recitazione
intimista, quasi un parlarsi addosso, adatta ad un ambiente raccolto, perché
non si possono perdere parole ed espressioni, come invece è capitato a me
dall’alto di un palco laterale.
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