lunedì 28 marzo 2011



RAVENNA TEATRO ALIGHIERI

(venerdì 18 marzo 2011)

(Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Comunale Alighieri di Ravenna, Fondazione Teatro Comunale Pavarotti di Modena)


GIULIO CESARE di Haendel

Un gioco d’intrighi e di affetti su una scacchiera di passioni e vendette

Di Giosetta Guerra

A dire il vero intrighi e vendette, affetti e passioni non sarebbero stati comprensibili senza la conoscenza della storia e senza il supporto della musica, visto che in scena tempi e luoghi dell’azione non rispecchiavano quelli della vicenda, mancavano i sopratitoli e gli ambienti non erano proprio definiti.

In palcoscenico lo scenografo Michele Ricciarini ha posto un muro con sagome egizie (la cui base ogni tanto si apriva), una passerella orizzontale sopra una pedana verde nella prima parte e un enorme braciere pieno di non so cosa nella seconda parte. Il regista Alessio Pizzech ha spostato la vicenda in periodo coloniale (lo si è capito dalle sahariane indossate dai guerrieri romani), contaminandolo con aree geografiche ed etnie diverse (lo si è capito dai costumi femminili e da certi mascheroni in tenuta tribale che giravano attorno ai protagonisti), ha vagheggiato ambienti simbolici con proiezioni incomprensibili, dello scontro tra Romani ed Egizi ha rappresentato il momento iniziale con una rumorosa caduta di libri (bella idea) e quello finale con una distesa di cadaveri fra i quali si aggirava Cleopatra con flebo su sedia a rotelle (idea discutibile), ha ben assemblato gestualità e carattere dei personaggi, sempre armati di fucile o di pistola. Alla fine il regista è stato contestato.

Cristina Aceti ha ideato costumi molto belli, di fogge e stili differenti, eleganti e colorati per le donne e per l’eunuco, austeri e a tinta unita per gli uomini (prima beige poi neri), Marco Cazzola ha dato le luci (a volte poco).

Il gioco è stato invece comprensibile per via musicale e la perfetta macchina drammatica creata da Georg Friederch Haendel (compositore) e Nicola Francesco Haym (librettista) ha trovato il suo motore nella lettura di Ottavio Dantone, raffinato e rigoroso interprete della musica barocca, maestro al cembalo e direttore dell’Accademia Bizantina di Ravenna, il cui suono è sempre duttile e variegato pur nella sua densità e compattezza, e in una compagnia di canto specializzata nella musica del ‘700 e nella prassi esecutiva barocca. Tutte le arie hanno un’introduzione ed una chiusura orchestrale, che esprimono la poetica degli affetti, alcune arie di tutti i personaggi, tranne quelle di Cesare, sono state tagliate, forse per accorciare l’opera, che in questa versione dura già tre ore piene.

La superba scrittura vocale e i virtuosismi canori non sono stati un problema per le voci femminili e per i due bassi, qualche appunto si può fare per i tre controtenori.

Il contralto Sonia Prina ha un corpo vocale di rilievo, di timbro scuro, adatto per i ruoli maschili, una voce duttile, che le permette di saltare agevolmente dagli affondi gravi agli slanci acuti vigorosi attraverso la fittissima sillabazione del canto virtuosistico, una grande tecnica per cui il canto di coloratura e i tempi rapidi delle arie di bravura non le creano alcun problema. Nel ruolo en travesti di Giulio Cesare, primo imperatore dei Romani, ha affrontato con padronanza i fitti vocalizzi di come Presti omai l'egizia terra (I atto), arie cadenzate e trascinanti come “Va tacito e nascosto” (I atto) con morbidezze nella voce e in orchestra e lo splendido suono vellutato del corno, arie molto sbalzate come Al lampo dell'armi (II atto), aria di vendetta velocissima, fitta di vocalizzi nei vari registri e volatine degli archi, il suggestivo dialogo col violino (“Se in fiorito ameno prato” - II atto) con suoni pastosi e bruniti, le larghe frasi dell’aria di dolore “Dall’ondoso periglio” (III atto) dall’andamento lento, con l’orchestra che insiste su arcate tristi e ripetitive, che ha affrontato con suoni pieni e morbidi e un bel suono fisso con la messa di voce. Scenicamente la Prina mostra un piglio maschio e sicuro.

Il mezzosoprano José Maria Lo Monaco nelle vesti di Cornelia, figura dolente cui sono riservate le arie di dolore per l’uccisione di suo marito Pompeo, dotata di colore scuro e agilità vocale, ha esibito un bel timbro denso nell’aria molto lenta del I atto “Priva son d’ogni conforto”, belle frasi lunghe e sostenute per la lamentatio davanti alla testa mozzata di Pompeo, sostenuta da dense arcate in orchestra.

Maria Grazia Schiavo (Cleopatra, regina d’Egitto, in abiti scollati di foggia indiana) è un bel soprano timbrato dagli acuti robusti e scintillanti e abbastanza agile (“Non disperar, chi sa?”), ha piegato la voce a suadenti mezze voci, a sbalzi, vocalizzi, espansioni acute vigorose, con giusto dosaggio del fiato (lunga aria di dolore “Se pietà di me non senti” II atto, con struggente accompagnamento orchestrale lento), ha esibito una delicata linea di canto con attacchi in pianissimo e messa di voce e slanci acuti misurati, ha eseguito a fil di voce il delicato recitativo “E pur così in un giorno” (III atto), che sfocia nell’aria di dolore “Piangerò la sorte mia” intramezzata da infocati slanci di furore.

Riccardo Novaro (Achilla innamorato di Cornelia, generale egizio consigliere di Tolomeo), dotato di bella voce di basso, ampia e ben gestita (“Tu sei il cor di questo core”), si è destreggiato egregiamente anche nelle arie fittamente vocalizzate, come Dal fulgor di questa spada” (III atto), e fa la sua bella figura in scena.

Anche Andrea Mastroni (Curio, tribuno di Roma) ha una bella presenza scenica ed una corposa voce di basso dal bel colore.

Alterna la prestazione del sopranista Paolo Lopez nel ruolo di Sesto, figlio di Pompeo e Cornelia, che ha voce molto chiara non sempre ben gestita, deve rifinire la tecnica di canto e regolare il fiato negli slanci acuti.

Nell’aria agitata con brio anche in orchestra “Vani sono i lamenti…Svegliatevi nel core” (I atto), ha esibito bei suoni fissi acuti, ma fiati corti e gravi vuoti o di petto, ha cantato bene le pagine lente, poco variate che si dipanano nel registro medio (“Cara speme, questo core” - I atto) e il duetto con Cornelia dolente e spianato “Son nato/a a lagrimar” (I atto), una sorta di lunga nenia con accompagnamento orchestrale struggente, ha esibito voce agile ma slanci poco controllati nell’aria moderatamente agitata anche in orchestra “L’angue offeso mai riposa” (II atto), ha gestito meglio il canto e il volume alla fine del II atto (“Seguirò tanto con ignoto passo…L’aura che spira”), nonostante una piccola scivolata nel grave.

Tolomeo, re d’Egitto, fratello di Cleopatra, prima col mantello nero poi a dorso nudo e con dei collant neri lucidi da ballerino e le mani lunghe sul posteriore di Cornelia (“Sì, spietata, il tuo rigore” II atto), è stato appannaggio del contraltista Filippo Mineccia, che ha un mezzo vocale di bel colore pieno e di certo spessore, una linea di canto buona dalla zona media all’acuta, guastata in basso da orrendi suoni gravi fatti di petto (fortunatamente solo nel primo atto “L’empio, sleale, indegno”), ha esibito ha una bella espansione in alto, ma gravi appena sfiorati nell’aria abbastanza spianata “Domerò la tua fierezza” (III atto).

Nireno, confidente di Cleopatra, è stato interpretato dal controtenore Floriano D’Auria, vocalmente un po’ fiacco, scenicamente perfetto negli abiti sgargianti di tipo arabo e petto nudo piuttosto in carne.

Complessivamente ci è piaciuta.

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