Bologna
Teatro Comunale
ATTILA
dramma
lirico in un prologo e tre atti, testo di Temistocle Solera e
Francesco Maria Piave, musica di Giuseppe Verdi.
Recensione
di Giosetta Guerra
ATTILA
CON DUE ATTILA
(31 gennaio 2015 ore 15.30)
Attila
è un'opera che m'illumina d'immenso. Ha un ritmo così serrato, una
musica così coinvolgente, arie così incisive, cabalette così
scintillanti, personaggi così sanguigni che mi sento
irrimediabilmente avviluppata in questo nodo dalla prima all'ultima
nota. Il faut respirer, d'accord, ma piano per non perdere nulla.
In
questa edizione bolognese orchestra e voci hanno operato all'unisono
per restituire l'atmosfera
mistico-politica, il fervore patriottico, il respiro epico, l'afflato
religioso presenti nell'opera.
Sommesso
l'avvio del preludio, lento e dolente, seguito da un'illuminazione
che irrompe in un fortissimo; sonorità alte per l'aria d'ingresso di
Attila, ricamo orchestrale all'arrivo di Foresto, pennellate musicali
nel sogno di Attila si aprono ad una coralità universale avvolgente,
delicatezza nel sottolineare i sentimenti di Odabella. Nella
descrizione della tempesta si sente il ghigno delle streghe di
Macbeth. Acclamatissimo Michele Mariotti
che ha diretto con la testa e col cuore la brava Orchestra del Teatro
Comunale di Bologna.
Il
cast vocale è stato più che soddisfacente per le qualità e la
professionalità dei cantanti, in più in questa ultima serata
abbiamo avuto l'opportunità di ascoltare due Attila entrambi
di lusso: Ildebrando d'Arcangelo nella prima parte e Riccardo
Zanellato nella seconda.
Ildebrando
d'Arcangelo, che avevo ascoltato per intero alla televisione, è
un artista dalla presenza scenica accattivante e dalla vocalità
scura rotonda e sensuale, il suo Attila è penetrante, la voce ricca
di chiaro scuri, lo scatto felino, aspettavo di rivederlo dal vivo,
purtroppo Ildebrando si è sentito male e nella tenda di Attila
abbiamo trovato Riccardo Zanellato.
Grande voce, maestosa e profonda, colore magnifico, padronanza
assoluta del fiato in ogni registro, dalle note gravi alle poderose
salite, rotondità del suono, morbidezza della linea di canto, giusta
imponenza del personaggio.
L'ingresso
folgorante di Odabella è un must del soprano drammatico
d'agilità, esteso, robusto, svettante e
Maria Josè Siri non
ha avuto problemi nell'affrontare a voce fredda le maestose frasi, la
coloratura di forza, la spericolata scala discendente e gli acuti
astrali dell'introduzione e cavatina “Santo
di patrio indefinito amor”.
Ma
Odabella oltre che eroina indomita è anche
amante
smarrita, e la Siri
è stata in grado di passare dai suoni scuri e decisi al canto
sfumato e al virtuosismo più intimo dell'aria
”Oh, nel fuggente nuvolo”, ricca
di vocalizzi e volatine.
Lei
canta molto bene, ha voce densa e screziata che porge in modo
penetrante con messa di voce e bellissimi filati, capace di grandi
slanci e magnifica nel canto sfumato, tiene una linea di canto
ineccepibile sia nel canto sostenuto che in quello delicato, ha
grande resistenza vocale, come dimostrato nel grande duetto con
Foresto. Scenicamente è statica.
Simone
Piazzola è
un
Ezio
di prestigio, il piglio teatrale e l'accento eroico fanno da
corollario ad un mezzo vocale ampio, esteso, robusto e di bellissimo
colore, le ampie arcate, le lunghe espansioni acute, le morbide mezze
voci, l'arte di rinforzare e tenere il suono sono frutto di
sensibilità e padronanza tecnica.
L'incontro
di Attila con Ezio è un grande duetto verdiano di voci scure,
sostenuto da una melodia atta a far emergere le voci, dilatati i
tempi della proposta di Ezio al nemico, seguita dai tempi stretti
della risposta di Attila.
Finalmente
un cantante “con la canna”, quasi d'altri tempi, per Foresto,
Fabio
Sartori,
un tenore con una bella gettata di voce, di bel colore, suono fermo,
squillo sicuro e potente, bel modo di porgere, canto sempre in
maschera, ottima gestione del fiato sia nel canto spiegato a piena
voce e nelle tensioni acute che in quello sfumato.
Gianluca
Floris è
un bravo tenore nel ruolo di Uldino.
Antonio
Di Matteo è
un papa Leone
troppo giovane con voce di basso ampia e poderosa, dalle belle sonorità e
note gravi cavernose, gestita con morbidezza.
Sonorità
magnifiche quelle del coro del Teatro Comunale di Bologna, che
all'inizio esce dalla nebbia, coralità diffusa ovunque, compatta
potenza dell'insieme nell'incontro di Attila col papa. Maestro
del Coro Andrea Faidutti.
La
messa in scena è piuttosto cupa ed austera, cielo plumbeo, nuvoloso
o nebbioso, busti posteriori di statue acefale sedute in
palcoscenico, ammassi di prigionieri nudi, moduli architettonici
geometrici si compongono in modi differenti, in due quadri c'è una
grossa campana quale simbolo dell'atmosfera mistica, in altri quadri
ci sono corde e pali di legno, ma gli ambienti non sono chiari, più
comprensibile è l'arrivo di Foresto ed è anche la scena più bella
con le vele issate a vista.
Non è stata sfruttata la prestanza dei
due Attila sempre abbondantemente vestiti, non si è capito il
significato di quegli stracci neri semitrasparenti sulla testa di
alcuni coristi che avevano abiti piuttosto sporchi.
Luce
dall'alto, bel gioco di luci nella tempesta.
Regia
di Daniele Abbado,
scene e luci di Gianni
Carluccio, costumi di
Gianni Carluccio e Daniela
Cernigliaro.
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