48^
STAGIONE LIRICA DI TRADIZIONE
DON
PASQUALE
Dramma
buffo in
tre atti
libretto
di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
musica
di Gaetano
Donizetti
Prima
rappresentazione: 3 gennaio 1843, Parigi, Théâtre
Italien
(recita
di
domenica
15
novembre
2015, ore 16)
Un grande Paolo Bordogna
nelle vestaglie di Don Pasquale
È del regista il fin ...la comicità...
Ma Don Pasquale non è un'opera comica, bensì un insieme di poesia, patetismo, ironia, sarcasmo, opportunismo e una punta di cattiveria che provoca dolore.
Servizio di Giosetta Guerra
Un
minuto di silenzio per solidarietà con i fratelli parigini vittime
dell'attentato del 13 novembre, poi la Marsigliese registrata.
La
cifra stilistica della scenografia è il denaro e l'obiettivo del
regista è la risata.
Il
sipario a metà palcoscenico è la porta con ingranaggio di una
cassaforte che a un certo punto si apre su un'enorme caveau pieno di
lingotti d'oro, banconote e monete d'oro. Una grande foto dice chi
ne è il proprietario, Pasquale da Corneto. C'è forte contrasto
tra la pesantezza metallica della cassaforte e la leggerezza floreale
del giardinetto, perché c'è forte contrasto tra i due mondi, quello
del vecchio taccagno e quello dei giovani innamorati.
Molto
colore e pochi arredi finché non ci mette le mani la neo sposa
Sofronia, che compra un sontuoso salotto bianco.
Norina
vien calata dall'alto aggrappata ad una corona di fiori, Ernesto
scende da una scala laterale, tutti
gli altri entrano ed escono da varie porte.
Freschi,
floreali, bamboleggianti col sottogonna, coloratissimi (magnifico
l'abito fuxia col boa per la signora biondissima che va a teatro),
gli abiti di Norina, che però è vestita di nero quando recita la parte di Sofronia,
casual quelli di Ernesto col classico pullover a V
profilato, tutti in stile anni '60; completo
e bombetta azzurri e grande fiore rosa all'occhiello, capelli
bianchi, occhiali per il dottor Malatesta, un po' mago un po'
affabulatore, con ventaglio o acchiappafarfalle.
Don
Pasquale indossa vestaglie da casa di lusso, ha anche una spilla col
simbolo del dollaro, ma è sempre scarmigliato e agitato, solo lo
schiaffo arresta l'azione per dar spazio all'incredulità e al
dolore, che esplode in una frase insolita per quel periodo:
“divorzio,
divorzio!”, parola
nuova per la Roma papalina dove l'opera è ambientata, ma non per la
libera Parigi dove l’opera fu data nel 1843 al
Théâtre des Italiens e dove si conosceva già la prassi del
divorzio. Divisa da camerieri per i componenti del coro.
La
regia è fantasiosa, sovrabbondante e con qualche imprecisione di
base.
Originale
l'idea della cassaforte che oltre al denaro tiene serrata anche la
vita del suo padrone, eloquente il voltafaccia della servitù che
approfitta dello smarrimento di Pasquale schiaffeggiato per
saccheggiare il caveau (con le tasche piene di soldi anche il curvo
maggiordomo si raddrizza), gradevole il mondo floreale dei due
giovani innamorati che si muovono con leggiadria, romantico il
piccione viaggiatore che porta a Norina un messaggio di Ernesto,
centrata la figura del vecchio avaro con smanie giovanili e pretese
da padrone (ma Bordogna è anche regista di se stesso), ci può anche
stare un notaro mezzo accecato e barcollante, ma un po' troppo
pompati sul versante comico Malatesta e il maggiordomo, che spesso
con le loro gags, peraltro datate, disturbano l'intimità dei duetti
d'amore e il clima estatico dei momenti di tristezza, di gusto
discutibile la foto di Berlusconi sulla copertina di Vogue che ha in
mano Norina mentre scende dall'alto (riferimenti alle smanie senili
di un ricco?).
Inoltre perché i servitori sono tutti sciancati?
Forse costano di meno? Il regista ha perso due momenti importanti per
dar rilievo al dettato musicale: l'aria “Povero
Ernesto”
è stata privata dell'atmosfera nostalgica e dolente e disturbata
dalle faccende del servitore, la
pagina molto dinamica,
di
gusto rossiniano con crescendo, “Che
interminabile andirivieni”,
che descrive il trambusto e la confusione esistenti in quella casa, è
stata cantata in assoluta immobilità, dopo l'accaparramento dei
soldi sparsi.
Scene
e costumi di Lorenzo
Cutùli, regia
di Andrea Cigni,
light designer
Fiammetta Baldiserri.
Sul
piano vocale domina
la figura di Don
Pasquale, pur non avendo
una grande aria, grazie alla versatilità di Paolo
Bordogna; il basso, noto
per la sua arte interpretativa e creativa,
conferisce credibilità al personaggio con gesti spontanei e
variegate espressioni del volto, con la solidità di un mezzo vocale
pieno e imponente in tutti i registri, sicuro negli appoggi,
flessibile e agilissimo nel canto sillabato fitto e serrato
(quartetto “Io son
tradito”, riferito
anche alla servitù che qui lo saccheggia dei suoi averi).
Gli
fa da buona spalla il baritono Pablo Garcia Ruiz, fantasioso
interprete di un lezioso dottor Malatesta.
Il baritono porge bene una voce
dal bel timbro scuro,
ampia,
rotonda e pastosa (“Bella siccome un angelo”),
ed è abilissimo nel canto sillabato.
Maria
Mudryak
è una Norina
vezzosa
e provocante che mostra le gambe, il soprano si
fa apprezzare per la tenuta scenica e l’arte interpretativa,
possiede un mezzo vocale di certo volume e possente negli acuti che a
volte sono gridati, trilla e gorgheggia con facilità, anche se il
timbro è piuttosto pungente,
il suono è secco e robusto.
Il
giovane tenore
Pietro Adaini
in abiti moderni nel ruolo
di Ernesto è
dotato
di vocalità chiara, decisa ed estesa, arriva
facilmente alla tessitura acuta, ma i suoni non sono in maschera e
a volte si inaspriscono e si stringono negli acuti che pertanto non
s'illuminano.
Il
notaio è il caratterista Claudio
Grasso.
Le
voci scure sono morbide, le voci acute sono puntute.
Il
Coro lirico marchigiano “V. Bellini”, preparato da Carlo
Morganti,
era misero di numero, quindi anche la resa sonora era ridotta.
Il
direttore Giuseppe
La Malfa
con l'Orchestra Filarmonica Marchigiana tiene tempi dilatati
nell'Ouverture,
il suono orchestrale è delicato e vivacizzato dai trilli
dell'ottavino. A volte però il volume aumenta e copre le voci, come
spesso succede in questo teatro.
Alla fine spicca una grande insegna luminosa di ROMA, città in cui è ambientata l'opera.
La stessa produzione con lo stesso cast era stata allestita al Teatro Donizetti di Bergamo lo scorso ottobre.
foto Binci
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