Ancona,
Teatro alle Muse
Molto colore per Falstaff
(23
ottobre 2014)
di
Stefano Gottin
Proprio
un bel Falstaff (ovviamente di Verdi) quello
proposto dalla Fondazione Teatro delle Muse di Ancona quale secondo
titolo della breve stagione lirica 2015.
La
produzione era quella di “Ravenna Festival”, con regia e
ideazione scenica di Cristina Mazzavillani Muti, light
designer Vincent Longuemare, scene di Ezio Antonelli,
costumi di Alessandro Lai, visual designer Davide
Broccoli.
Bello
spettacolo, si diceva, tradizionalmente padano con le sue osterie, i
vini e i salumi, con la casa natale di Verdi, alle Roncole, a fare da
sfondo all’inizio del terzo atto, col busto del Gran Vecchio che
troneggiava sulla destra del palcoscenico, quindi il romantico
giardino della Villa di Sant’Agata con la fuga dei pioppi che a
perdita d’occhio si sperdono nelle nebbie della “bassa”.
Falstaff,
ultima opera di un Verdi ottantenne, giovane, scattante, di una
lucidità impressionante nell’imbastire, con il librettista Arrigo
Boito, questa sua unica opera comica (a parte il giovanile e
sfortunato Un Giorno di Regno), tutta impregnata di
significati che sarebbe stucchevole e pretenzioso cercare di
riepilogare, perché i capolavori nascondono tra le loro pieghe
sempre qualcosa di nuovo cui non avevi pensato e che mai avresti
immaginato. Falstaff, remake shakespeariano da
fare invidia a Shakespeare, e non sarebbe la prima volta se è vero,
come è vero, che il grande Lawrence Olivier, dopo un Otello
verdiano al Covent Garden (con Tito Gobbi come Jago), ebbe a dire che
non sarebbe più riuscito a pensare all’omonima tragedia di
Shakespeare senza tenere conto dell’opera di Verdi.
Verdi,
assoluto genio del teatro che solo dopo il Falstaff
(Teatro alla Scala, 9 febbraio 1893), commedia lirica paragonabile
solo a
Die Meistersinger von Nürnberg
di R. Wagner, precedente di un trentennio, trova il coraggio di
definire se stesso musicista, finalmente consapevole della
tanta sapienza e ricchezza musicale profusa in questa opera in tre
atti, dallo straordinario passo teatrale e dotata di un’incredibile
caratterizzazione dei personaggi chiamati a rappresentare tutte le
età della vita e tutti gli strati sociali.
Buona
era la direzione del maestro Nicola Paszkowski a capo della
persuasiva FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, attenta
alle dinamiche e varia nei timbri, sempre scattante e “a piombo”.
Positiva anche la prova del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”
sotto la guida di un’istituzione come il maestro Carlo Morganti.
Ad
Ancona sir John Falstaff era Kiril Manolov, baritono
dall’ottima dizione e dotato di una voce facile e importante, come
la presenza fisica, in tutto coerente col ruolo. Una gradita sorpresa
era rappresentata dal baritono Federico Longhi, che come Ford
ha esibito una voce nettamente sopra la media per volume e
morbidezza, ma anche una capacità interpretativa per dare il giusto
risalto e le necessarie sfumature a un personaggio che vuole gabbare
Falstaff per sentirsene poi gabbato e perciò trascinato nei gorghi
di un’immotivata gelosia verso la moglie Alice, per poi ricredersi
ma tornare gabbato per mano della figlia Nannetta che giustamente
vuole sposare il giovane Fenton, ch’ella ama, e non lo stridulo e
attempato Dr. Caius come il padre invece vorrebbe.
Ottima
Mrs. Alice Ford nell’interpretazione del soprano Eleonora
Buratto, ricca di verve e di classe, sicura vocalmente,
bella a vedersi, così da poterla annoverare tra i migliori soprani
lirici del momento. Ugualmente sugli scudi le altre Comari di
Windsor: Mrs. Meg Page interpretata dall’avvenente
mezzosoprano Anna Malavasi, dotata di voce assai bella e in
ordine, ormai avviata a una luminosa carriera sui principali
palcoscenici internazionali; gustosissima la Mrs. Quickly
ottimamente resa dal mezzosoprano dal colore contraltile Isabel De
Paoli, spiritosa e caricaturale nei limiti di un gusto
inaffondabile; fresca e sicura la Nannetta del soprano Damiana
Mizzi che ha saputo capitalizzare la difficile ma anche
remunerativa aria del Terzo Atto “Sul fil d’un soffio etesio”.
Positiva anche la prova del tenore Giovanni Sebastiano Sala
come Fenton, sufficientemente sicuro vocalmente e in grado di
gestire con coerenza scenica e con elegante fraseggio il giovanile e
pur aggraziato ardore di un personaggio poco più che adolescente. Ottimi anche i caratteristi Giorgio Trucco quale Dr. Cajus,
Matteo Falcier quale Bardolfo e Graziano Dallavalle
come Pistola.
Eccellente,
alla fine dell’opera, la risposta del pubblico, davvero caloroso
dopo la “stretta” che chiude la magistrale e salace fuga “Tutto
nel mondo è burla”, che sempre mi commuove pensando che si
tratta delle ultime note che Verdi ha composto in un’opera, genere
teatrale e musicale che, senza Verdi, non sarebbe ciò che è…..come,
del resto, l’Italia, che trova nel Genio di Busseto una delle
figure più alte e nobili.
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