Esteban von Mecher.
Nell’ambito dell’appuntamento annuale della Settimana di Musica Sacra dal Mondo, curata dall’Accademia San Felice di Firenze e sempre piena di proposte curiose e sorprese, abbiamo assistito a due concerti il cui programma era formato da opere popolari ma non per questo meno interessanti. Entrambi i concerti vedevano la partecipazione della Polska Iuventus Orchestra, diretta da Andrea Fornaciari, e del Coro Harmonia Cantata, diretto da Raffaele Puccianti. Il primo era interamente consacrato al Requiem in re minore KV 626 di W. A. Mozart e prevedeva anche la partecipazione di un eccellente quartetto di solisti: Erika Colon, soprano, Lucia Sciannimanico, contralto, Massimo Crispi, tenore e Antonio Marani, basso. Fornaciari, fin dall’inizio ha dato una lettura austera ma non grave, quasi operistica ogni tanto, dell’ultima e incompleta fatica mozartiana, privilegiando le sonorità oscure e misteriose dei clarinetti, mentre l’argentina voce della Colon declamava con eleganza il celebre Te decet hymnus, magia ripetuta nel finale. Nonostante la compagine di archi non fosse estesissima le intenzioni musicali di Fornaciari erano ben accentuate, così come si è potuto osservare nell’esecuzione efficace e piena dei brani Dies Irae e Confutatis, dove anche il coro ha dato buona prova di sé stesso, con belle frasi, intonatissime e pronunciate perfettamente, e dove l’articolazione risultava assai chiara. Non accade spesso di ascoltare una dizione così puntuale da cori italiani. Il quartetto vocale, sia nel primo intervento del Tuba mirum, autorevolmente presentato da Marani in dialogo col trombone, a cui faceva seguito l’esplosivo e dolente Mors stupebit del tenore Crispi, il deciso Judex ergo della Sciannimanico e la dolcezza rassegnata e contemplativa del Quid sum miser della Colon, sia nel successivo Recordare, ha dato un’ottima prova di fusione e sembrava che i quattro artisti svolgessero un merletto, in dialogo tra essi stessi e gli strumenti a fiato, l’uno senza mai prevaricare l’altro. Lo stesso equilibrio tornava nel pur spurio Benedictus, dove più che mai il bilanciamento di imitazioni, esposizioni, risposte, omoritmie delle quattro voci era perfettamente raggiunto dietro il controllo di Fornaciari.
Un piccolo elogio supplementare al tenore Massimo Crispi che esibiva talora un fraseggio un po’ più vario e pertinente rispetto agli altri (ha anche esibito un ottimo trillo), che da parte loro hanno comunque offerto una prestazione più che dignitosa. Molto buoni anche gli altri numeri Domine Iesu, Lacrymosa, e la fuga finale Cum sanctis tuis.
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