giovedì 1 novembre 2012

Modena, Teatro Comunale Pavarotti

 Don Carlo di Giuseppe Verdi 

(17 ottobre 2012)


Il dramma dell’incomunicabilità e dell’infelicità in un clima di cupa religiosità.


Il 17 ottobre 2012 ho festeggiato il mio compleanno al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena con  Don Carlo, l’opera verdiana che ha aperto la stagione lirica 2012-13 con un nuovo allestimento del Teatro in coproduzione con Piacenza per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Verdi.
L’opera era quella in cinque atti nella versione di Modena del 1886 su libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle, tratto dal poema drammatico di Schiller. 
Traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini.
È vero che l’antefatto descritto nel primo atto è necessario per comprendere l’amore di Carlo per la futura regina (storicamente mai avvenuto), ma è anche vero che questo atto non è poi così tanto bello e sinceramente ci sentiamo proiettati dentro l’opera quando si ascoltano le note d’inizio del II atto.
Alessandro Ciammarughi ha scelto bellissimi costumi d’epoca sontuosi ed elaborati, nei colori nero, bianco e rosso; per le scene ha adottato velatini, proiezioni per i cambi rapidi, tele dipinte per fondali classici creati dal laboratorio modenese di Rinaldo Rinaldi, arredi e soppalchi in legno, una gigantesca luna sopra i giardini della Regina, la tomba di Carlo V (al centro come l’aveva posizionata Luchino Visconti) attorniata da ceri e una statua della Madonna come presenza funereo-religiosa, due sagome nere d’impiccati vittime dell’Inquisizione su un fondale rosso, che hanno creato gli ambienti richiesti col supporto delle luci e controluci di Nevio Cavina.

Per quest’opera corale con tanta gente in scena il regista Joseph Franconi Lee ha seguito una normale linea narrativa, prediligendo una certa compostezza dei personaggi e una certa staticità delle masse per il disegno di cromatici quadri scenici. Movimenti coreografici Marta Ferri.

Il cast ci ha lasciato abbastanza soddisfatti.
Giacomo Prestia (Filippo II, Re di Spagna), un basso cantante che sa cantare, ha esibito un bellissimo colore vocale e, pur avendo perso un po’ la salda fermezza di un tempo, è emerso per eloquenza e nobiltà del fraseggio nelle ampie frasi melodiche, morbidezza dell’emissione, imperiosità d’accento, scavo della parola scenica; l’intensa e dolente interpretazione (spogliato degli abiti regali e in ginocchio davanti alla statua della Madonna) della lugubre e stupenda romanza  Ella giammai m’amò, attaccata sottovoce, ha fatto scattare l’applauso.
Molto intensa ed emotivamente coinvolta nel ruolo di Elisabetta, Cellia Costea ha modulato a meraviglia una bella voce di soprano dal suono robusto e lunghi fiati.

Inossidabile il tenore Mario Malagnini (Don Carlo) per bella presenza scenica e per qualità canore; la sua voce non denuncia il passare degli anni: bella, grande, fresca, ha brillato per smalto e sicurezza dello squillo nelle impennate verso il registro acuto, per colore e per un accattivante modo di porgere nel cromatismo del fraseggio,  per saldezza della linea di canto; formidabile nel duetto con Rodrigo (Dio che nell’alma infonde).
Il giovane baritono Simone Piazzola (Rodrigo, eroe positivo) ha fatto sfoggio di un mezzo vocale ampio e scuro, potente nell’irruenza del fraseggio, morbido nelle frasi di larga cantabilità, luminoso negli slanci acuti; i suoni erano sostenuti ma talvolta  cupi e pesanti.
Il mezzosoprano Alla Pozniak, veemente ma non suggestiva nelle vesti della Principessa Eboli, ha fatto affidamento sulla potenza e sull’estensione di una vocalità che tocca bene tutti i registri e su un modo di porgere sfumato e intenso, ma il colore opaco, i centri gonfiati, i gravi intubati, gli acuti poco controllati, la dizione incomprensibile hanno infastidito l’ascolto.
Luciano Montanaro (Il Grande Inquisitore) ha voce ampia, sostiene bene il suono, ma non è un basso profondo, è meno grave di Prestia.
Paolo Buttol (Frate) ha voce scura un po’ impastata.
A completare il cast  Irène Candelier (Tebaldo e Voce dal Cielo),  Giulio Pelligra (Conte di Lerma),  Marco Gaspari (Un araldo reale).
Bravo il Coro Lirico Amadeus – Fondazione Teatro Comunale di Modena, preparato da Stefano Colò.
La temperie emotiva di questo dramma della solitudine affettiva e dell’incomunicabilità, frutto del pessimismo verdiano, non era al massimo neanche nell’Orchestra Regionale dell’Emilia-Romagna, a volte sopra il volume consentito, diretta da Fabrizio Ventura.


Curiosità del passato
Il 22 aprile 1869 il tenore Mario Tiberini e sua moglie il soprano Angiolina Ortolani debuttarono i ruoli di Don Carlo e di Elisabetta al Pagliano di Firenze (“I coniugi Tiberini furono artisti distintissimi i quali rendono testimonianza che la scuola di canto italiana ha ancora egregi rappresentanti” La Gazzetta di Milano, 25 aprile 1869, pgg. 144-145)

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