Ramón Jacques
La ripropoposta a Los Ángeles del sempre divertente Barbiere di Siviglia è stata realizzata utilizzando l’allestimento ideato da Emilio Sagi e proveniente dal Teatro Real di Madrid come parte integrante dell’accordo di interscambio tra le due istituzioni musicali.Per l’allestimento delle opere ispirate alla Spagna (El Gato Montes di Manuel Penella, Luisa Fernanda di Moreno Torroba, o Carmen di Bizet) si è ricorso nuovamente al lavoro del regista asturiano: nessuno meglio di lui sa plasmare e far risaltare nelle sue produzioni il carattere, le sfumature e le tradizioni del suo paese. In questa occasione Sagi ha concepito una Siviglia moderna, luminosa, assolata (con l’illuminazione brillante di Eduardo Bravo e le scene funzionali di Llorenç Corbella), con pochi elementi, ballerini di flamenco ed edifici bianchi tipici dell’Andalusia, così come di un salone con giardino sullo sfondo. I costumi di Renata Schussheim, di color pastello per i protagonisti, e tipo Arlecchino in bianco e nero per il resto della compagnia (coro compreso) completavano con freschezza e visualmente in modo suggestivo la scena. La regia ripresa da Javier Ulacía, regista spagnolo, è parsa discreta, anche se, come è d’abitudine in questo tipo di opere, esiste la tendenza a forzare e ad esagerare la comicità (quando invece le trame rossiniane sono già di per sè briose). Il problema sorge quando le innumerevoli gags, alcune un po’ telefonate invero, incidono sulla fluidità musicale dell’opera, come nell’aria di Rosina “Contra un cor”, ad esempio, che è stata interrotta davvero troppe volte. Risultati alterni per la resa orchestrale.La direzione di Michele Mariotti, sicura per evidente consapevolezza stilistica, ha convinto meno in relazione alla scelta dei tempi, a volte molto dinamica e giubilante, a volte lentissima (il che sommata alle interruzioni sceniche ha dilatato il primo atto fino a durare quasi un‘ora e cinquanta minuti). Il ruolo di Figaro è stato interpretato dal baritono Nathan Gunn che ha messo in mostra buone qualità vocali e corretta proiezione, ma l’interpretazione è parsa pallida, carente di perizia e un po’ estranea all’azione. A sua volta, ha incantato Joyce Di Donato con la sua spiritosa e astuta Rosina, molto graziosa, di timbro splendido, omogeneo e sicurissima nella coloratura. Juan Diego Flórez ha creato un divertententissimo Almaviva, raffinato nel timbro, nella dizione e nel fraseggio, che ha coronato la su prestazione con una stupefacente interpretazione di “Cessa di più resistere” che ha suscitato l’entusiasmo del pubblico. Bruno Praticò ha dominato il ruolo di Don Bartolo sia vocalmente che attorialmente e il basso Andrea Silvestrelli che è ormai un basso molto apprezzato nel circuito nordamericano dei teatri lirici. Ha interpretato un simpatico e malizioso Don Basilio, ben cantato nei suoi interventi, anche se la sua potentissima voce davvero imponente, ideale per il repertorio wagneriano nel quale si è imposto, non pare troppo adatta alla leggerezza del canto rossiniano. Corretto il coro e il resto del cast, con una citazione per il prottente baritono messicano José Adán Pérez nei panni di Fiorello.
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