STAGIONE D’OPERA 2013
UN DITTICO INUSUALE…AL BUIO…O QUASI.
Croci e crocefissi dappertutto anche in posti poco ortodossi
(domenica 13
gennaio 2013)
Di Giosetta Guerra
La Stagione Lirica
2012/13 di Ancona, curata dalla Fondazione Teatro delle Muse con la direzione
artistica del Maestro Alessio Vlad, si è aperta venerdì 11 gennaio alle 20.30 e
domenica 13 gennaio alle ore 16.00 con il dittico L’enfant prodigue di Claude Debussy e Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni.
L'enfant prodigue (1884), cantata per soli e orchestra su libretto di Edouard Guinand, è
una composizione che Debussy fece a 22 anni a conclusione degli studi al
Conservatorio di Parigi, fu rappresentata all’Académie de Beaux Arts e valse al
musicista il "Prix de Rome".
Cavalleria Rusticana (1890), opera in un unico atto, su libretto di Giovanni
Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, tratto dalla novella omonima di Giovanni
Verga, musicata da Mascagni ventisettenne, vinse il concorso indetto dalla Casa
Sonzogno.
Altri connotati in comune sono la
religiosità e la brevità: la prima è la parabola del figliol prodigo tratta dal
Vangelo di Luca e dura 35 minuti, la seconda si svolge nel giorno di Pasqua e
dura 70 minuti.
Sul piano operativo il nuovo allestimento dei due lavori ha avuto in comune
alle Muse regia, scene e luci
di Arnaud Bernard, la direzione musicale di Carla Delfrate alla
guida della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana e il Coro Lirico Marchigiano
“Vincenzo Bellini” preparato da
Pasquale Veleno.
Con lettura attenta e fin troppo
equilibrata Carla Delfrate ha guidato la brava orchestra nelle atmosfere
rarefatte della musica di Debussy e nella temperie lirico/drammatica della
musica di Mascagni.
La musica de L'enfant prodigue ha già
lo stile del Debussy più noto: sopra un tessuto sonoro sospeso si libra
un fluttuare ininterrotto di aeree linee melodiche che ora crescono d’intensità,
ora si arricchiscono di elementi giocosi e di varietà di colori espressi dai
differenti timbri strumentali.
La musica di Cavalleria Rusticana ha
pagine musicali distese di seducente bellezza, come il noto Intermezzo, e si
esprime con vigore ed esuberanza nella descrizione del vero e del quotidiano.
Nella Cantata di Debussy alla levigatezza della musica fa da
contraltare l’asperità del canto: il soprano
Elisabetta Martorana (la madre Lia) esibisce suoni densi da mezzosoprano, il
tenore Davide Giusti (il figliol prodigo
Azaël) ha una bella voce che usa bene e con generosità, i loro acuti sono
sempre tesi; il baritono Gianfranco Montresor (il padre Siméon) tiene
un’emissione morbida e dizione francese chiara.
In Cavalleria
Rusticana la tipologia vocale di stampo verista porta alcuni cantanti,
specialmente i tenori, ad emettere suoni aperti, a cantare col fiato e non sul
fiato, trascurando la “maschera” nel passaggio alla tessitura acuta, con il
rischio che la voce a forza di tirare si spezzi. È quanto è successo al
tenore Kamen Chanev (Turiddu), che già nella Siciliana fuori campo esibisce quella
che sarà la sua linea di canto per tutta l’opera, emissione di gola e di fibra,
declamato a mezza voce fatto sottovoce, acuti tesi, fino a steccare l’acuto nell’addio
alla madre (era logico, l’avevo capito fin dall’inizio che sarebbe finita così),
eppure la voce c’è ed è di bel timbro e non sarebbe difficile imparare una
tecnica giusta. Boh!
Gianfranco
Montresor (Alfio) ha invece una buona linea di canto e usa in modo espressivo
una bella voce di baritono.
Magnifico il Coro
Lirico Marchigiano “V. Bellini” specialmente nella sezione maschile che ha voci
di grande spessore, quella femminile dovrebbe ingentilire la zona acuta.
Tra le donne c’è
una gran confusione di registri. Lucia
dovrebbe essere un contralto e qui Giovanna Donadini non si capisce cosa sia
perché è una Lucia piuttosto sfiatata, Lola
dovrebbe essere un mezzosoprano e Aliona Staricova è un soprano, corretta nel
canto ma di poca presa, Santuzza è un
soprano e qui la canta Anna Malavasi, che era soprano ma oggi è mezzosoprano e interpreta
Carmen e Azucena. Comunque la Malavasi ha il temperamento e i mezzi vocali per
essere una viscerale ed intensa Santuzza,
ha voce piena, possente negli affondi, duttile e di bel colore brunito, gonfia
un po’ i suoni medio-gravi e spinge gli acuti, ma sa modulare, interpretare e
dare spessore drammatico alla frase pur con una dizione poco chiara. Anche scenicamente la Malavasi è molto
espressiva, purtroppo, quasi al buio e coperto da uno scialle, non le si vede
mai il viso. Che ci volete fare? Il regista ha deciso così: poca luce, poco
colore, poca scenografia, scelta che danneggia soprattutto Cavalleria rusticana, dove manca l’assolata e calda Sicilia, manca
l’evolversi della luce dall’alba al tramonto, manca la piazzetta su cui si
aprono le porte della chiesa e dell’osteria. Scenicamente non ci si può
limitare al colore della morte, ma si deve valorizzare anche il colore della
vita, che in quest’opera è presente col sole della Sicilia, con la densità
delle passioni, con la luce della Resurrezione.
Della
chiesa c’è un interno, dove la gente si prepara alla funzione, si preparano gli
addobbi coi fiori bianchi, si vestono di bianco i chierichetti e le bambine,
c’è anche una macchina da cucire per
orlare un grande telo bianco. Tanti preti neri su fondo nero camminano o
corrono per la scena, un grande candeliere viene portato in giro, rosari, croci
e crocefissi dappertutto anche in posti poco ortodossi, proiettati sul fondale insieme ad una
bicicletta, sulle pagine di un libro aperto, sulla schiena nuda e sulle natiche
di una figura femminile proiettata per presentare Lola (contaminazione di sacro
e profano), tra le mani insanguinate di Turiddu assassinato; ci sono donne che
lavano il pavimento e la luce dà risalto alla pelle delle braccia e spessore
alle masse. Tante passeggiate di gente coi fiori, coi lumini, coi teli, tante
corse di persone, anche Santuzza all’inizio sfila sulla passerella attorno
all’orchestra. Alfio giunge su un
carrettino trainato da una vespa. L’uccisione di Turiddu viene gridata da una
donna che entra correndo dal fondo della platea
Tutto
è pesantemente nero e vuoto: i costumi dei preti (ma quanti preti!), quelli
delle due donne tranne Lola che è in chiaro e al di là di ogni tentazione, quelli
del popolo stemperati col bianco, i fondali, le scene, il velatino/sipario che (non
si capisce perché visto che dietro non c’è niente da cambiare) viene calato ad
ogni batter di ciglio, interrompendo l’azione e lasciando momenti e spazi di nero assoluto,
così nero che al ritorno in scena di Turiddu imbrattato di sangue rossissimo
alla fine dell’opera con proiezione delle sue mani insanguinate ho esclamato:
“Oh, finalmente un po’ di colore”!
Clima
tetro e opprimente, dunque, che la scena di sesso tra Turiddu e Lola in
apertura d’opera non lasciava certo intuire, comunque alcuni quadri sono
suggestivi, specialmente quando si usa il fermo immagine o immagini riflesse o figure
ispirate a composizioni pittoriche. Inoltre
non si capisce perché Santuzza auguri la mala Pasqua a Turiddu che se n’è
andato e non la può sentire e perché sempre Santuzza strappi istericamente dei
fogli bianchi durante l’intermezzo. Mah! Misteri della fede!
I figuranti di
Cavalleria rusticana provengono dalla Scuola di Teatro del Teatro Stabile delle
Marche.
È nera
anche la scena de L'enfant prodigue, ma qui il gioco delle luci crea l’atmosfera onirica che si respira in
una sontuosa camera con crocefisso luminescente e con un grande letto dalle
lenzuola nere, nel quale dormono marito e moglie (lei in preda agli incubi, lui
no) in attesa del ritorno del figlio, atmosfera adatta anche all’apparizione flash
del figliol prodigo che sbuca dal nulla, o meglio dal buio, a lato della camera
e la cui immagine viene proiettata ingigantita sul fondale. Ma poi il ritorno
del figlio è sogno o realtà? Il buio che non definisce gli ambienti ce lo fa
apparire come un sogno, il cambiamento del rapporto tra i due genitori
(distaccati nell’attesa e poi amorevolmente riuniti – lei gli lava perfino i
piedi) ci fa supporre che sia tutto vero, ma, se il figlio è ritornato davvero,
perché non esplode la luce? Comunque interessante questa indefinitezza.
Bellissima e nuova anche l’idea
registica di far danzare in aria le frasi tradotte dal francese in italiano, come
in una favola, fluttuante la lunga camicia da notte bianca un po’ trasparente
della madre, decisamente brutta la tutina chiara in maglina aderente indossata
dal padre, che fortunatamente aveva il fisico di Gianfranco Montresor, ma che
proprio per questo il regista doveva mandare a letto a petto nudo.
La seconda opera in cartellone sarà Madama Butterfly di Puccini,
in scena l’8 e il 10 febbraio 2013 al Teatro delle Muse con direttore
d’orchestra Renato Palumbo, regia, scene, costumi e luci di Arnaud Bernard. Speriamo
che nella terra del sol levante schiarisca i colori.
Nessun commento:
Posta un commento